INSISTENZA

 

 

Il discorso inaugurale in occasione dell'apertura della nuova  succursale, tenuto dal  dott. Pensa, direttore generale della nota società di elettrodomestici "Elettra", volgeva ormai al termine e  gli applausi, come al solito, non sarebbero certo mancati.

Il  dottor  Pensa sembrava nato per  fare l'oratore  e l'argomento dal  titolo  "Tecnica  e  psicologia  nell'arte  vendere"  era  il  suo  cavallo  di  battaglia.. Decisamente gli piaceva e  ogni  volta  che l'affrontava,  si  sbizzarriva nell'arricchirlo di   nuove esperienze,  di analisi e  di sintesi ardite  legate a sistemi  avveniristici e a tecniche nuove. L'uditorio  attento seguiva sempre con  curiosità   e interesse le sue idee perché il dottor Pensa  sapeva come cattivarsi la simpatia del pubblico, anche quello più sprovveduto ai sistemi dei piazzisti e venditori. Era stata la lettura di una  rivista  americana  di  merchandising   a  suggerirgli  come  affrontare il tema e lui, rielaborandolo a suo uso e  consumo,  vi aveva  costruito tutto attorno un metodo quasi scientifico, basato su esperienze personali.

Durante  i  suoi numerosi  discorsi  aveva spesso  notato che l'uditorio non   sempre   riesce  ad   interessarsi  interamente all'argomento:  talvolta   si   distrae   per   qualche   tempo, abbandonandosi  ad altri pensieri.  Il dottor Pensa aveva, quindi, tracciato   un   grafico   che  aveva  denominato   "il   grafico dell'attenzione" e aveva notato, osservando l'indice tortuoso, che nella  prima  mezz'ora  il pubblico  sta  attento,  ma poi  la sua concentrazione comincia a  scemare  e a  disperdersi  e  allora l'indice  del grafico  cala paurosamente,  finché non  si  ha  una ripresa che coincide generalmente con la fine del discorso.

Il dottor Pensa, quindi, infarciva la parte centrale  dei  suoi discorsi,  quella  che  coincideva col  calo  dell'attenzione, con motti, aneddoti, barzellette che avevano lo scopo  di  interessare il pubblico e di impedire all'attenzione di cadere.

E anche quel giorno tutto era andato secondo le previsioni.

‘ E’ proprio vero – pensava prima di attaccare il finale – un metodo scientifico e matematico non può in nessun caso essere suscettibile di varianti o di errori.’

- …occorre – riprese con la sua voce piena e persuasiva – occorre sempre  una preparazione  psicologica  approfondita, una  conoscenza dell'animo  umano  quale  possono avere  solo i  filosofi. Ma  non basta,  perché i filosofi sono  dediti ad una vita  contemplativa mentre i venditori conducono una vita oltremodo dinamica e attiva. Il  fatto di agganciare  un probabile cliente  é solo un  successo parziale, perché poi  occorre convincerlo della bontà  della merce, trovare la frase lo slogan adatto,  l'argomento  persuasivo  senza,  però,  mostrarsi petulanti  o  troppo  insistenti, e  badate  che  su questo  punto insisto,   perché altrimenti l'effetto che si ottiene é proprio il contrario  di  quello  desiderato.  In  conclusione,  occorre dare l'impressione non di fare, ma di far fare un affare al cliente.

Mentre   scrosciavano  gli  applausi,  il   dottor  Pensa  si compiacque   per quella  iterazione del  verbo fare  con cui aveva concluso il suo discorso. Era, in fondo, il suo slogan preferito, il credo che lo aveva portato da semplice piazzista a direttore generale.

Seguirono il solito brindisi, le solite frasi di circostanza, qualche piccolo appuntamento d’affari e un invito a pranzo. Il dottor Pensa, prima di abbandonare la sala, scambiò ancora qualche parola con i suoi amici, confutò alcune idee e poi uscì per una passeggiatina serale sul lungomare alla quale non aveva mai rinunciato.

Il sole rossastro si avvicinava sempre più alla lontana curva dell'orizzonte  e allungava a  dismisura le ombre  degli  ostacoli contro  cui i  suoi raggi  battevano. Alcune  barche con  le  vele afflosciate per mancanza di vento si cullavano dolcemente  tra  le onde  a  cui  il  sole  morente  conferiva  un  colore  sanguigno, interrotto qua e là   da qualche barbaglio più chiaro.

La  punta  di  Portofino,  immersa  in  una  leggere foschia, lasciava trasparire i contorni indefiniti e vaghi che le conferivano un aspetto anonimo e irreale; e tutto appariva irreale in quella luce falsa,  in quell'ora che  del giorno non  aveva più lo  smagliante colore ma non possedeva ancora i toni cupi e profondi della notte.

Il dottor Pensa amava quell'ora perché, a suo giudizio, era la  più completa: né caldo né freddo, né luce piena né buio completo.  Ogni cosa rasentava l'impreciso, eppure era ancora perfettamente  visibile. Gli piaceva in quei momenti abbandonarsi a pensieri che il suo lavoro gli precludeva durante la giornata e, allora, brani  di  poesie  studiate,  di pagine lette  sui banchi di  scuola gli ritornavano  freschi, vivi alla memoria  e si rendeva conto  della loro bellezza.

Quanta  prosaicità   nella  vita di  ogni giorno! Nessuno  si accorge di sfiorare continuamente la bellezza, nessuno si soffermava a guardarla, eppure essa è sempre lì, a portata di mano.

Ora il dottor  Pensa riusciva  ad intravederla attraverso  i ricordi, la  coglieva  in mezzo a brani di prosa e di poesia che gli su affacciavano alla mente e si stupiva di come non se ne fosse mai accorto  prima.  Ma si  sa, da giovani tutto é bello e la bellezza é una parte di quel tutto per cui passa inosservata. Occorrono le  disillusioni  della vita  per poterla  cogliere, le  amarezze di  tutti i  giorni  pronte a buttar giù alcuni miti e a lasciarne altri, forse quelli inutili e di poco conto.

- Cerviakov,  Ivan Dmitric Cerviakov ! Ma chi é  costui ? - mormorò ad un tratto, fermandosi vicino al parapetto.

Il  nome  gli  era venuto  in mente  durante  la  conferenza, proprio quando aveva affrontato il tema dell'insistenza e dei suoi pericoli.  Se n'era  poi dimenticato,  ma il  nome  doveva  essere rimasto lì, fisso come un chiodo. Di certo doveva trattarsi di una reminiscenza  di vecchie letture scolastiche affiorata per caso A. che cosa poteva riferirsi ? Non v'era dubbio che si  trattasse  di un  nome russo, ma da quale recesso profondo della memoria venisse e a chi appartenesse proprio non lo rammentava.

Si  appoggiò   al parapetto  e si concentrò   su quel nome con  caparbietà   e con quell'impegno che di solito metteva in  ogni  suo pensiero... e finalmente ricordò.

‑ Ecco a chi appartiene ! - esclamò . - La novella di Cechov... La morte dell'impiegato!

Cerviakov ! Proprio  quella specie  di individuo  che lui  non poteva  soffrire:  un  insistente.  Quella  categoria  di  persone l'aveva  sempre ferocemente combattuta perché  la reputava noiosa, petulante e importuna

Ora ricordava il Cerviakov che, involontariamente, a causa di uno  starnuto (aveva sputato sulla testa del suo capufficio) e  per  aver voluto  insistere troppo  nello scusarsi,  era morto  di crepacuore.   In fondo non era accaduto nulla di grave, tranne una spruzzatina  di saliva sulla pelata  del suo superiore. Buon  Dio, che colpa ne aveva?

Si può forse trattenere uno starnuto ? Be’, a pensarci  bene sarebbe bastato  mettere l'indice sotto  il naso  e spingere  un poco  in su! Ma  in fondo  lo starnuto  é  un  moto inconsulto  e la spruzzatina di saliva che di solito l'accompagna, suvvia,  non é la fine  del mondo! Basta  scusarsi. E a dir  la verità   Cerviakov l'aveva fatto. Ma poi aveva ripetuto le sue scuse e aveva insistito nel farle: primo errore. Per di più  aveva  dato troppa  pubblicità   alla faccenda: secondo e più grave errore. Qui, infatti,  stava lo sbaglio  del povero impiegato,  perché, pensava sempre  il  dottor  Pensa, l'eccessiva  insistenza  e  l'eccessiva  pubblicità   nuocciono sempre.

Una  persona esasperata nel  sentirsi ripetere alla  noia  la stessa  cosa  va fuori  del seminato ed  é pronta a  fare tutto il contrario, anche se é sicura di andare incontro a seri guai. Se un rappresentante  insiste troppo, ottiene l'effetto  opposto. Questo l'aveva appurato durante il suo  lungo tirocinio di  addetto  alle vendite.  Se  un  prodotto é  buono,  si  afferma da  solo. Certo, occorre   farlo   conoscere,   occorre  invogliare   il  probabile acquirente,   ma   non   divenire  importuni   con  una  eccessiva insistenza.

- Dottò , vogliamo fare un ottimo acquisto?

A  distrarlo dai suoi pensieri  era stata una vocetta  acuta, quasi da signorina. Il dottor Pensa si voltò e vide davanti  a  sé un  ragazzotto mal  rabberciato, che  teneva sotto  il braccio  un rotolo  di tappeti. Posato negligentemente su una spalla, a mo' di poncho, ne teneva uno penzolante anteriormente e posteriormente fin  sotto  la  cintola. Sembrava un  piccolo messicano.  Un  fez  rosso con  un  grosso  pompon blu  posato  di traverso  sulla testa, lasciava liberi sulla fronte alcuni riccioli ribelli.

‑ Quale  acquisto?  -  gli  chiese  il  dottore   dopo averlo attentamente squadrato

- Un ottimo affare, dottò! Guardi - aggiunse svolgendo il rotolo di  tappeti e  stendendoli sul  parapetto. -  Osservi la  qualità Guardi  questo Bokhara ! Che disegno, che trama, che lucentezza di colori! Autentico, sa? Glielo assicuro, arrivato  fresco  fresco da Smirne. E quest'altro... accidenti, come si chiama? Ah, sì, un Mosùl, stupendo eh dottò? E che ne dice di questo ? E' uno Shiraz, sa ?

Il  dottor Pensa guardava stupito non i tappeti, ma la faccia tosta di quel moccioso e si stupiva della sicurezza  con cui esibiva la merce e la catalogava.

- Ma che ne sai  tu di Bokhara e  di Mosùl? -  disse guardandolo fisso.

- Lasci perdere, dottò, non  sto vendendo la mia  cultura, ma dei tappeti.  Allora, le va questo Shiraz? L'ho vista, sa? L'ho vista guardarlo con  particolare attenzione. Dica  la verità,  le piace, eh?

 -  Sì, mi piace, ma non mi serve - gli rispose, facendo  l'atto allontanarsi.

 ‑ Come  non  le serve, dottò? - fece quello trattenendolo per un braccio.  - Sotto un tavolinetto nel salotto farebbe una figurona. E  poi  una  persona come  lei  in  salotto deve  avere un tappeto persiano,  perché  il  tappeto persiano  dà    lustro  alla  casa  e valorizza il padrone. Allora lo compera?

- A quanto lo venderesti?

- Un centone, dottò; se preferisce una "lingua". Con la vecchia lira le avrei detto un "Caravaggio"; oggi le dico cento euro.

- Ma tu sei matto! Quel tappeto é  usato, non vedi che  é tutto sfrangiato e liso agli orli. E poi, ti ripeto, non mi serve.

- Non le serve   Questo non lo deve  nemmeno pensare. E poi,  mi scusi  sa?, ma lei di tappeti persiani proprio non se ne intende. Mi  dice  che é  sfrangiato e liso;  ma perbacco é  questo il suo pregio!   L'antichità   dove la  mettiamo, dottò? 

 Il  ragazzetto tacque un istante e poi riprese: - Guardi, proprio perché  é  lei, non   voglio   approfittarne  e  le  vengo  incontro.  Mi  dia  un "pappagallo", un "Bernini" vecchia lira, un  biglietto da cinquanta euro tanto per capirci

- Cala, cala, troppo caro, amico!

Il  dottor  Pensa cominciava  a  divertirsi. Gli  piaceva  la spigliatezza  di quel moccioso e il suo strano modo di esprimersi, così naturale e immediato. 

- Impossibile, dottò! Ho  già   dimezzato il prezzo.  Che vuole di più? Lei sta disprezzando la mia merce.

-  Io non disprezzo la tua merce, caro, mi limito a contrattare sul prezzo. Permetterai che cerchi di fare il mio interesse, no?  In fondo  é questo che conta nel commercio: tu offri della merce e io contratto  l'acquisto.

-  Dottò , lei mi piace, mi sta simpatico e voglio favorirla. Mi dia un "Volta" e l’affare è fatto.

- Ritengo  che  un "Volta"  siano le diecimila  vecchie lire, no?  Che ne diresti,  invece di un "Bellini"? - gli rispose  il dottor Pensa sempre  più  divertito,  traendo di  tasca il borsellino e pescando  tra le monete un pezzo da due euro e uno da uno. Guarda, sono persino generoso ti offro sei euro. Il “Bellini” vecchio valeva cinquemila lire, queste monete ne valgono circa sei.

Il  ragazzetto  ci  pensò un  poco e fece  l'atto  di raccogliere i tappeti, poi, con viso amareggiato, disse:

-  Ah  dottò,  come viene  poco  valutata  la lirica! Valutare un Bellini solo seimila  lire! Ma  in fondo, che  m'importa? Ci  sto: affare fatto! Il tappeto é suo; mi dia pure tre euro, ma tenga presente che ci guadagno ben poco.

 Mentre  il  dottor Pensa,  sorridendo,  stava per  porgere le due monete  al ragazzo, si accorse  tutto ad un tratto di contravvenire alle sue idee e di essere cascato in trappola. Ci rimase male. Dove era andata a finire la sua  teoria  sull'insistenza? Spazzata  via  da  un moccioso  in quattro  e  quattr'otto. No!  Questo non  poteva  assolutamente permetterlo  e volle correre ai ripari. Da un punto di vista etico c'era stata da parte sua una offerta accettata  dalla contro  parte, quindi l'affare doveva ritenersi concluso; ma si poteva pur sempre trovare qualche difetto nella merce e fare marcia iindietro.

- A ripensarci – disse , tenendo le moneta tra le dita – non mi conviene.

-Perché ? - chiese il ragazzo guardandolo stupito

-Ma perché questo tappeto puzza! - rispose arricciando il naso.

-Oh,  ma se  é solo per  questo, - disse  il moccioso raggiante, sfilandogli le monete dalle dita, - non si stia a preoccupare, dottò : non é il tappeto a puzzare,  sono io.

E  dopo aver rifatto il  rotolo con i tappeti  rimasti, se lo mise sotto il braccio e si allontanò fischiettando allegramente.

Il dottor Pensa rimase immobile come un allocco.  Il  tappeto steso  sul parapetto,  di fronte  a lui,  era la  prova  evidente, tangibile che la sua teoria sull'insistenza faceva acqua, acqua da tutte le parti.  Anche con l'insistenza e un po' di  faccia  tosta si riesce a piazzare qualsiasi prodotto.

‑ Perdinci, - si ribellò brontolando - questo non é possibile! Ho  troppa esperienza alle  spalle per poterlo  ammettere. La  mia teoria é giusta: l'insistenza ostacola il commercio. Tutta colpa  di quel  moccioso! E’ stata la  sua età   a rendermi  accondiscendente e vulnerabile! Birbante di un ragazzo!

E in un impeto di rabbia afferrò il tappeto e  lo  scaraventò sulla spiaggia sottostante.

Il  tappeto non aveva ancora  toccato la sabbia che  una voce secca,  autoritaria rimbombò   alle sue  spalle e  lo inchiodò   sul posto.

‑ Alto là   e non si muova! Documenti!

Il   dottor  Pensa  alzò   inconsciamente  le  mani,  come malfattore colto sul fatto, poi, lentamente, si voltò . Due agenti, la mano appoggiata alla fondina della rivoltella, gli  stavano  di fronte con fare minaccioso e lo squadravano dall'alto in basso.

‑ Sono Pensa, il dottor  Pensa, - farfugliò con  voce tremante, -  direttore della Società   Elettra.

- Documenti! - ripeté uno dei due agenti tendendo la mano.

 Dopo   aver  frugato  in   varie  tasche  alla   ricerca  del portafoglio, glieli porse. L'agente vi diede un rapido sguardo.

‑ Perché ha buttato quel tappeto sulla spiaggia, eh? - Poi, senza attendere  la risposta, rivolto  al compagno: -  Va' a  prenderlo: sarà   il corpo del reato.

- Ma  quale  corpo  del  reato!  -  sbottò il  dottor  Pensa cominciando a scaldarsi e a  trovare quella situazione sempre  più assurda.

- Lei stia zitto!

- Ma se mi ha rivolto una domanda!

- Le ho detto di star zitto: parlerà col commissario.

L'agente attese che il collega risalisse dalla  spiaggia  con "corpo  del reato", poi tutti e tre - il dottor Pensa in mezzo – si avviarono alla volta della Questura.

Al loro passaggio la gente si scostava, faceva ala e guardava incuriosita  il  terzetto.  Il malcapitato  dottore avrebbe voluto sprofondare  ad  ogni  occhiata che  gli  si  ficcava addosso  con malsana   insistenza,   mentre   brani  di   discorsi   giungevano spezzettati sino a lui.

-   Ma che dici!

- Te  l'assicuro:  ho visto  l'identikit  sul  giornale.  E'  lui sputato.

- Ma chi?

- Ma quello che assalta le banche.

-  Non guardare ! -  Era una  madre che  si  rivolgeva  alla  sua bimbetta di nove, dieci anni. - Quello é un mostro che  ha  rapito  una bambina.

E  la  bimba  si era  affrettata   a  voltarsi e  a guardarlo fissamente,  con curiosità, facendosi trascinare  per lungo tratto dalla donna.

- Guarda: una bella faccia interessante da depravato - disse una ragazza alla sua amica.

- Hai ragione, Gilli, sembra…  

A chi rassomigliasse, il dottor Pensa non riuscì a capirlo. Finalmente, come Dio volle arrivarono in Questura. Qui, in una stanzetta puzzolente di fumo stantio, dovette far anticamera per più di due ore  perché il commissario era occupato.­ Finalmente venne il suo turno.

Di  fronte al commissario, un  ometto calvo, rosso in  viso e con   grossi  occhiali  di  tartaruga,  il  dottor  Pensa  riprese coraggio.

-  Si può, sapere  - chiese -  con quale diritto  i suoi agenti  mi hanno prelevato? Di che cosa mi si accusa?

- Si sieda e si calmi, ora vediamo.

Il  commissario schiacciò un  pulsante e attese  in  silenzio, tamburellando con le dita sul tavolo. Poco dopo entrò un agente e,  porgendogli  una cartella, gli sussurrò   qualcosa all'orecchio. Il  commissario  si tolse gli occhiali,  guardò verso il dottor  Pensa con  le palpebre socchiuse poi,  aperta la cartella, rinforcò   gli occhiali,  lesse attentamente il verbale  e alzò il viso  verso il povero dottore.

‑ Dunque non lo sa, eh? L'accusa é di furto con  scasso.  Stamane all'alba, da un vagone ferroviario in sosta allo scalo merci della stazione di Brignole sono stati asportati i seguenti  oggetti,  le leggo  la lista: sei Beschìr, quattro Mujùr, tre Hamadan, un Mosùl, cinque  Shiraz  e  tre Bokara.  Ne  sa  niente?  -  ridacchiò   il   commissario.

Il dottor Pensa rimase con gli occhi sbarrati a  guardarlo  e quello, con un sorriso mefistofelico, riprese:

- Qualora non ne fosse  al corrente, quei nomi  si riferiscono ad altrettanti  tappeti orientali, tutti  di grande valore.  E guarda caso,  proprio lei, quando  ha visto  arrivare gli  agenti,  ne  ha gettato uno sulla spiaggia: per la precisione un  Shiraz.  Credeva forse di sbarazzarsi così facilmente del corpo del reato.

Il dottor Pensa reagì

- E basta con questo  corpo del reato!  Maledetto tappeto!  Io, stamattina, per sua norma, non ho rubato niente.

- E ieri notte? - ribatté il commissario col solito sorriso.

La battuta fece saltare la mosca al naso del dottore.

-Con chi crede di parlare, scusi ! Sono un onesto cittadino io! E non mi si accusa così impunemente e senza prove!

- Perché? Il tappeto di cui ha tentato di sbarazzarsi, secondo lei, che cos'è?

-  Il tappeto... il tappeto... L'ho comprato il tappeto,  sì,  l'ho comprato da un ragazzetto e l'ho anche pagato! – urlò esasperato.

 - E quanto  ? Cinque o sei euro?  - buttò   lì sarcasticamente  il commissario.

- Sì! Proprio sei euro - rispose il  dottor Pensa  a  voce bassa rendendosi conto dell'inutilità   delle sue parole.

- E  io  dovrei credere ad una stupidaggine simile? Così, per la sua bella faccia? Ma si tolga dai piedi! E tu riportalo i  guardina, - ordinò all’agente rimasto vicino alla porta, - la  notte gli  rischiarerà   le  idee. Adesso é tardi: domani ne riparleremo.

Il  dottor Pensa, inebetito, non sapendo più in qual mondo si fosse, uscì camminando come un automa.

Quella  notte non dormì affatto. Una rabbia sorda, impotente, sfogata dando calci  ad uno sgabello  e picchiando contro  la porta,  gli aveva tolto completamente il sonno. Un suo compagno di cella   lo guardò dapprima con  curiosità, poi con noia  e infine, rannicchiatosi  in un angolo,  prima di addormentarsi,  gli disse:

-  Senti, bello mio, ora smettila. Mi dai fastidio col tuo agitarti? Di quanto ti è capitato, me ne frego. Io voglio dormire!

Era  mattina  inoltrata  quando  vennero  a  prenderlo.   Gli restituirono  i lacci delle scarpe,  la cravatta, la cinghia; gli restituirono pure gli oggetti personali e accompagnarono il  tutto  con vaghe scuse Durante una retata notturna, gli dissero, era  stata arrestata una banda di ladruncoli. Uno di loro, il più giovane,  aveva ancora in tasca la bolla di accompagnamento su cui erano indicati i nomi dei capi trafugati.

Il ladruncolo, un ragazzino malvestito, colto mentre tentava di nascondere un rotolo di tappeti, aveva ammesso di averne venduto  uno per sei euro  ad un  "babbeo” - erano state le sue testuali parole – incontrato sul lungomare.

- Era rimasto affascinato da quegli strani nomi che avevo  imparato leggendo il foglio  trovato nel pacco rubato  allo scalo merci.

Il  dottor Pensa uscì dalla Questura  senza protestare, contento  solo della libertà  ritrovata. Si fermò un  attimo a guardare  il cielo terso e pulito. Si rialzò il collo della giacca per proteggersi dal vento di tramontana che aveva preso a soffiare e si avviò verso casa.