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TAGIKISTAN
1993 (24/26 + BF 2)
Sha-Nama (Poema)
Shāhnāmé o Shāhnāma tradotto come Il Libro dei
Re, è un vasta opera poetica scritta dal poeta persiano Ferdowsi attorno
al 1000 d.C. circa ed è l'epica nazionale del mondo di lingua persiana. Il
Shâhnameh racconta il passato mitico e storico del suo paese, l'Iran,
dalla creazione del mondo, fino alla conquista islamica del VII secolo. Questo
voluminoso lavoro, considerato un capolavoro letterario, riflette oltre alla
storia del grande impero persiano, i suoi valori culturali, le sue antiche
religioni (Zoroastrismo), le sue divinità, i miti, le leggende e il suo
profondo senso nazionale.
E’ il libro più importante per i restanti 200.000 zoroastriani sparsi nel
mondo.
Le copie illustrate dell'opera sono tra i più sontuosi esempi di miniatura
persiana. Diverse copie rimangono oggi intatte, benché due delle più famose la
Houghton Shahnameh e la Gran Mongol Shahnameh furono suddivise
in fogli venduti separatamente nel XX secolo. Un unico foglio (ora al museo
Aga Khan) è stato venduto per 1,7 milioni di dollari nel 2006. Il
Bayasanghori Shâhnâmeh, una copia manoscritta (Palazzo Golestan, Iran), è
stata inclusa dall'UNESCO nella lista della Memoria del mondo Secondo
una tradizione popolare, Ferdowsi venne incaricato dal
sultano Mahmud di Ghazna di scrivere un libro circa il suo valore e le sue
conquiste. Il poeta, tuttavia, pur dedicando al sovrano il libro per cui
ricevette i pattuiti trenta cammelli carichi di monete d'oro, decise di
raccontare la storia dei re che, attraverso i secoli, avevano portato la terra
di Persia a divenire un impero. La stesura del componimento richiese
trent'anni, durante i quali il poeta incluse il verso:
« ... Ho sofferto durante questi
trenta anni, ma ho fatto rivevere gli iraniani (Ajam) con la lingua persiana;
io non morirò e rimarrò ancora vivo, poiché ho sparso i semi di questa
lingua... »
Dopo la presentazione dello Shahnameh, il sultano Mahmud si infuriò per
il fatto di non essere il soggetto del libro, arrivando a denunciare l'accordo
a suo tempo stipulato con Ferdowsi, offrendogli trenta cammelli carichi
d'argento; tale offerta venne rifiutata dal poeta. Povero ed affranto, il
poeta ritornò a Tus, la città natale. Il sultano, accortosi dell'errore e del
vero valore dello Shahnameh inviò al poeta i trenta cammelli carichi di
monete d'oro, ma fu troppo tardi: quando gli animali arrivarono a Tus, la bara
di Ferdowsi veniva in quel momento fatta uscire dalla porta della città, verso
il luogo di tumulazione.
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2001 (167/8 + fog. 30)
Miti: 2700 anniversario dell’ “Avesta”, il libro santo dello zoroastrismo.
Divinità: La dea Anahita. Un sacerdote. La dea Haoma. Il dio Farroh. Il dio
Surush. La dea Din.
L'Avesta è il titolo
complessivo dei testi sacri dell'antico Iran, appartenenti alla religione
Zoroastriana. Ha un carattere non solo religioso, ma comprende anche elementi
di cosmogonia, astronomia, astrologia, oltre a tradizioni e norme familiari.
La prima traduzione in occidente dell'Avesta si deve all'orientalista
francese Anquetil-Duperron, e risale al 1771.
Anāhitā, ( "la pura") è un attributo utilizzato per alcune divinità
persiane. Anahita, ed è il nome della dea del pianeta Venere, venerata dai
Medi e dai Persiani prima che adottassero lo zoroastrismo. Il suo culto,
quindi, era parallelo a quello babilonese di Ishtar. Successivamente si
sovrappose largamente a quello della dea Aredvi Sura, dea indo-iranica dei
fiumi e delle acque limpide. Essa corrisponde alla divinità Vedica Sarasvati
("colei che possiede le acque"). Il termine sconosciuto "aredvi" dovrebbe
significare per motivi etimologici "umida", "piovosa", mentre "sūrā" è un
aggettivo che significa "forte", "potente".
Haoma è il termine che indica sia una pianta sacra da cui si estrae una
bevanda rituale (parahaoma), sia la divinità che questa contiene.
L' Haoma è proprio delle religioni iraniche praticate delle popolazioni
indoeuropee che, intorno al XV secolo a.C., si stabilirono negli altipiani
dell'odierno Iran provenienti da dall'area di Balkh (oggi in Afghanistan
settentrionale).Il rito dell' haoma fu successivamente inserito
all'interno della religione zoroastriana fondata, presumibilmente tra il X e
l'VIII secolo a.C., dal profeta e riformatore religioso Zarathuštra.
Jacques Duchesne-Guillemin evidenzia che, secondo queste credenze religiose,
la divinità Haoma contenuta nella pianta verrebbe uccisa dalla spremitura
della stessa atta a produrre la bevanda rituale. Per Duchesne-Guillemin, il
sacrificio dell' haoma-soma fu un sacrificio di "comunione".
L' Haoma è quindi un dio contenuto in una pianta, a cui vengono
sacrificate parti di una vittima cruenta di un precedente sacrificio e che
successivamente viene ucciso spremendo la pianta in cui esso è contenuto. La
bevanda sacra frutto di questa spremitura viene a sua volta offerta ad altre
divinità e assunta dai celebranti il rito per raggiungere l' immortalità, la
vittoria nelle dispute sacre o per conseguire beni materiali. Franciscus
Bernardus Jacobus Kuiper ritiene che tale sacrificio fosse celebrato in
occasione del solstizio invernale seguendo un mito cosmogonico di rinnovamento
che inaugurava l'anno nuovo.
Ahura Mazda è la divinità principale della
religione
zoroastriana o Mazdeismo,
raffigurata da un disco alato. Il nome significa "Dio supremo": Ahura
corrisponde al sanscrito Asura, nome di alcune divinità indù, e mazda
corrisponde al greco mégistos "il più grande". Da lui dipendono tutti
gli dei. Il nome della divinità varia leggermente nelle varie lingue:
Surush. E’ il nome
della divinità zoroastriana dell’Obbedienza e dell’Osservanza.
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2006 (361/9) Favole: Il paesano e l’orso. I tre
fratelli. Bogatyr Iradj uccide un drago Il lupo d’oro.

THAILANDIA
1973 (670/3) Personaggi di racconti fiabeschi:
Lilid Pralaw. Khum Chang Khun Phaen. Sang Thong.
Il racconto di
Khun Chang Khun Phaen è un classico della letteratura tailandese.
La trama è una storia d'amore, che si sviluppa su scenari di guerre e termina
in tragedia.
Questa epica popolare è stato sviluppato prima in forma orale popolare con un
mix frenetico di romanticismo, dramma e farsa condita di sesso, guerra,
avventura ed eventi soprannaturale. La prima stesura scritta avvenne
nel 1917-1918 ad opera del principe Damrong, che ricuperò un
centinaio di brani dalle versioni precedenti.
Il racconto di Sang Thong
è altrettanto conosciuto e apprezzato dal popolo Thai in varie regioni dove
era conosciuto sotto varie versioni regionali sia orali sia scritte. La
versione scritta più antica è Suwan Sangkha Chadok in Panyasa Chadok (Chadok
- Jataka racconti nel Buddismo). Altre versioni scritte esistono anche in varie
regioni della Thailandia, per esempio a Suwan Sangkha Kuman dalla regione
nord-orientale e il Sang Thong Kham Kap dalla regione meridionale,
La trama nelle varie versioni è simile. L'eroe si nasconde dietro un fisico
brutto e deforme, innamorato di una eroina d'alto lignaggio e di fronte
all'opposizione del padre, l'eroe deve dimostrare a tutti che sotto il suo
aspetto poco piacevole si cela un individuo che può essere accettato da tutti. Storie simili
sono numerose e popolari nel repertorio dei racconti popolari tailandesi. Oggi, la
popolarità di Sang Thong persiste in altre forme: libri di testo per studenti,
fumetti, libri di fiabe, cartoni animati, televisione racconto popolare drammi
o romanzi. IE
presentato nelle arti contemporanee, come la scultura moderna e il teatro. La storia dei
personaggi di Sang Thong si possono trovare anche come il nome di piante,
amuleti, i titoli di show televisivi, ecc. Sang Thong, sicuramente
come storia preferita del popolo tailandese, è un retaggio culturale,
intellettuale che ha resistito alla prova del tempo nel cuore del popolo.
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Phra Aphai Manee.
La storia, raccontata dal poeta Sunthorn Phu fa parte del folklore
thailandese, adattata in film e utilizzata nei fumetti. Narra le vicende di
due principi fratelli, Sri Suvan e Aphai Manee, allontanati da corte dal
padre, si mettono in viaggio. Tra i vari incontri si imbattono in una bella
donna che invaghitasi di Aphai Manee lo seduce e lo trascina via con sè.
Giunti in riva al mare la donna si rivela per quello che è: un’orca del mare
che ha la sia dimora in fondo all’Oceano. Aphai Manee la segue. Dopo un po’ di
tempo però il giovane si innamora di una bella serena e fugge con lei. L’orca,
gelosa, lo insegue col proposito di ucciderlo. In sua difesa interviene il
fratello Sri Suvan con unha schiera di guerrieri.
In alcune località thailandesi, come l’isola di Ko Samet
isola e Cha Am ci sono statue legate alla storia di Aphai Manee Phra.
[
1976 (795/8) Mitologia:
Kinnari. Suphan-Mat-Cha. Garuda. Naga,
La dea Kinnari nella letteratura Thai proviene dall’India, ma
è stato modificata per adattarla al modo tailandese di pensare. Thai Kinnari è raffigurata come una
giovane donna che indossa un costume da angelo ed ha la
parte inferiore del corpo simile a un uccello, cosa che le consente di volare.
La più famosa
Kinnari in Thailandia, conosciuta come Manora, è una eroina presente in
una delle storie raccolte in Pannas Jataka un’opera scritta da un
monaco buddista intorno al 1450-1470 dC. Si tratta di una raccolta di 50 storie sulle vita di
Buddha. Il racconto specifica che la Kinnari Manora era la moglie di Sudhana
Jataka, , il bodhisattva che era anche l'eroe della storia..
Le storie di Manora sono popolari in
Cina, Giappone e Corea. La sua figura è legata ad una danza chiamata
Manorah Buchayan, che è una delle più esoteriche tra le danze classiche
della Thailandia.
Naga
sono creature con busto umano e coda di serpente presenti nella mitologia
indù. Considerate semi-divinità, i
Naga discendevano da Kadru, moglie di Kashyapa e abitavano il
Patala, un’area infernale disseminata di fastose dimore e abitata da
bellissime donne.
Considerati da Krishna una
razza maledetta tanto da volerli annientare, i
Naga si presentano invece nella mitologia indiana e indonesiana
come esseri benevoli e di bellissimo aspetto. Soprattutto le femmine hanno una
bellezza smisurata e vengono chiamate Nagi o Nagin. Creature spesso associate
all’acqua, i
Naga sono i protettori delle sorgenti e dei fiumi; dispensano
fertilità alle donne e mandano la pioggia nei periodi di siccità. Talvolta
però questi esseri sono anche associati a grandi catastrofi naturali quali
alluvioni e tempeste.
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1977 (825/28) Scene da libri: Pha Bu Thong. Krai
Thong. Nang Kaew Na Ma. Pra Rot Mali.
Krai Tong
Krai Tong è presentato nella leggenda come un eroe, un Ercole invincibile
dotato di una forza e di una volontà straordinarie che utilizza durante le
battaglie. Deve la sua notorietà ad un episodio in cui affrontò il
coccodrillo più grande del mondo. L’animale, chiamato Chalawan, era un mostro
che abitava una immensa caverna piena d’oro nella quale, quando vi penetrava ,
assumeva sembianze umane. Un giorno andò in una città e fu completamente
affascinato alla vista di Tapaokaew, figlia di un ricco signore, tanto da
rapirla e tornare con lei alla sua caverna. Il padre, afflitto dalla scomparsa di sua
figlia, diramò un annuncio per trovare un uomo tanto forte da riportargliela,
promettendo una ricca dote e la mano della figlia. Per Kraj Thong fu facile liberarla anche se la lotta fu
lunga e finì con la morte del mostro.
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1996
(1657/60) Leggende: Il re Rama a caccia di cervi. Coppia in una caverna.
Coppia in una foresta. Personaggio seduto su un trono e una donna
inginocchiata.
Presso la
religione induista, Rama (ca. 7000 AC) è il settimo Avatar di Visnu,
manifestatosi nel regale principe per risollevare le sorti della morale degli
uomini, ormai soggiogati da Ravana. Il suo nome completo è Ramachandra, e
spesso viene preceduto dal titolo di rispetto induista, Shri. Egli rappresenta
la personificazione dell'Assoluto Brahman e l'incarnazione del Dharma, l'Uomo
Perfetto (Maryada Purushottama). È l'Avatar del Treta Yuga, l'età
dell'argento, caratterizzata dalla comparsa del vizio e della malvagità. Rama
è la più famosa e popolare manifestazione del Dio Supremo per una grande
maggioranza dei 900 milioni di induisti in tutto il mondo, incluse le nazioni
del Sud-est asiatico come Thailandia, Malaysia, Indonesia, Burma e Cambogia. È
riconosciuto come l'immagine, lo spirito e la consapevolezza dell'Induismo, la
religione organizzata più antica del mondo, e della civilizzazione umana dal
punto di vista indiano. La vita e le imprese eroiche di Rama sono narrate nel
Ramayana, un antico poema epico in sanscrito, che letteralmente significa "Il
viaggio di Rama". Una importante opera devozionale è il Ramcharitmanas di
Tulsidas, che si basa sui princìpi dei movimenti Bhakti, ossia la devozione e
l'amore per Dio.

2009 (2571)/8) Le avventure di Phra Abay Manee .
(vedi sopra)
2009 (2627) Dea Bodhisattawa Gaun Yin.
Madre
della misericordia, madre della compassione e della guarigione sono le
onorificenze che delineano le caratteristiche della dea Kuan Yin o Guanyin.
E’ "Colei che ascolta i lamenti del mondo", che libera dalle sofferenze. I
buddisti la venerano quindi come Bodhisattva della pietà, ma la sua figura
appartiene anche al taoismo, dove è la Dea della misericordia. E' conosciuta
anche come Quan Shi Yin, KuanYin, Quan'rsquo Am (Vietnam), Kannon (Giappone) e
Kanin (Bali).
Narra la leggenda che Kwan Yin era la figlia di un uomo ricco e crudele che
ambiva per lei a un matrimonio di interesse, volto ad aumentare il loro
prestigio sociale. Nella speranza di raggiungere l'illuminazione spirituale,
la dolce Kwan Yin ha disobbedito al padre, trovando rifugio in un tempio, dove
fin dall'inizio si è fatta apprezzare per il suo atteggiamento gentile e
caritatevole.
Nondimeno, tale è stata l'ira di suo padre a causa del gesto da lei compiuto,
che l'uomo la fece uccidere. In virtù delle buone azioni compiute durante la
sua breve vita, a Kwan Yin si sono dischiuse le porte del Paradiso dove
l'avrebbe attesa un'estasi eterna. Ma mentre si accingeva a varcare i cancelli
del Cielo, Kwan Yin ha udito un grido elevarsi dal di sotto. Era il grido di
una persona che soffriva sulla terra, il grido dì qualcuno bisognoso del suo
aiuto. In quel preciso istante, essa ha giurato di non abbandonare il mondo
degli uomini fintanto che tutti, nessuno escluso, fossero stati ancora in
preda a tormento e dolore. In seguito a questa promessa, Kwan Yin è stata
trasformata in una Dea. Oggi la dea Kwan Yin è oggetto di grande culto, in
quanto le viene attribuita la facoltà di guarire coloro che soffrono nel corpo
e nello spirito, proteggendo altresì madri e figli ridotti alla disperazione,
e addirittura i marinai sorpresi dalla burrasca.
 
2010 (2651/4) Sang Thong Fiaba
(vedi sopra)
   
2010 (2657/) Fu Hsing. Lu Hsing. Shou Hsing.
Le statuette dei tre
dei della felicità sono frequenti in molti ristoranti cinesi.
Essi rappresentano tutte le qualità che la maggior parte dei cinesi bramano. Sono Fu Hsing, dio della fortuna;
Lu Hsing, dio della ricchezza e prosperità familiare e Shou Hsing dio della
longevità. Shou Lao, che significa "stella del longevo" occupa il ruolo più importante. Viene
raffigurato come un vecchio calvo e sorridente, di solito porta una pesca,
simbolo di immortalità e, a volte una zucca, simbolo di prosperità. E’ assistito da un gruppo di animali - pipistrelli, cicogne
e cervi, simboli di felicità.
  
2011 (2767/70) Fiaba. Khun Chang . Khun Phaen.
(vedi sopra)
  
2011 (2775/82) Gli otto immortali del Taoismo.
Nel XII secolo, durante la
dinastia Jin, si assiste alla formazione, in Cina, della pleiade degli
inseparabili Otto Immortali che sono stati raggruppati e associati per
misteriose ragioni, e situati al centro del pantheon taoista.
Le storie degli otto immortali del Taoismo sono
il prodotto dell'antica arte dei cantastorie, a volte indovini, monaci o
anziani che le narravano nei templi e durante le festività. Alcune di queste
figure mitiche sembrano essere realmente esistite nell'epoca della dinastia T'ang
(618-906 d.C.). Gli Otto immortali sono:
LU TUNG PIN. E' il più popolare degli otto, la cui statua si trova in
moltissimi templi orientali e molte grotte sacre in Cina sono a lui dedicate.
Egli esplicita il suo potere per mezzo di formule, anche sugli spiriti
maligni. Il suo simbolo è una grande spada con la quale uccide i demoni, un
altro simbolo è lo scaccia mosche che tradizionalmente indica chi è in grado
di volare. La spada effettivamente è uno dei talismani cinesi più potenti,
fino agli anni trenta prima che venissero cacciati dal governo comunista, i
Maestri Celesti abitavano le grotte del monte Tien'mu e possedevano una magica
spada che secondo la leggenda era appartenuta all'immortale. All'ingresso dei
templi a lui dedicati c'è una brocca d''acqua che può curare piccoli malanni.
TI KUAI LI. Il secondo per popolarità, è collegato all'arte medica, il suo
principale simbolo, una gruccia di ferro, è spesso appeso fuori dalle
farmacie. E’ prediletto da esorcisti grazie alla sua zucca medicinale, altro
suo simbolo. egli vive come un mendicante, vestito poveramente e vive di
elemosine aiutando i poveri ed i bisognosi, per questo in molte leggende non
viene riconosciuto e viene trattato male dalle persone alle quali chiede
aiuto.
CHANG KUO LAN-Chile è rappresentato sul suo asino, stringe nella mano uno
strumento musicale di bambù, è propizio agli sposi e viene invocato dalle
coppie che vogliono avere figli.
Egli assicura la discendenza.
TS'AO KUO CHIU. Gli altri immortali godono di meno popolarità e raramente
vengono rappresentati da soli, Ts'ao fu membro della corte imperiale e
assassino, venne elevato all'immortalità per capriccio degli altri sette che
volevano riempire l'ottava caverna sulla loro montagna.
HAN HSIANG TZU. E' una figura molto amata: il suo simbolo è il meraviglioso
flauto di giada ed è considerato il protettore dei musicisti. Grande poeta,
artista e musicista, amante della natura, rappresenta l'uomo libero e sereno.
HAN CHUNG LI. Figura storica affascinante, durante la dinastia Han fece
carriera a corte e diventò generale e governatore provinciale. Famoso per aver
inventato la pillola dell'immortalità ed è collegato all'alchimia e alla
longevità.
LANG TS'AI HO.E' il personaggio più eccentrico del gruppo, a volte
rappresentato come uomo altre come donna. E' lunatico e squilibrato, amante
dei fiori e della natura è spesso raffigurato con un cesto di fiori. In
antichità figure come la sua venivano considerate toccate dagli dei.
HO HSIEN KU. E' l'unica donna fra gli otto immortali. Le venne concessa
l'immortalità grazie alle sue pratiche ascetiche, rarissime furono infatti
delle donne che praticarono l'ascetismo taoista. Regge fra le dita un fiore di
loto simbolo di apertura e saggezza.
Tra le leggende cinesi legate
agli otto immortali assai note sono le vicende che li ritraggono mentre
attraversano l’Oceano per partecipare a un banchetto organizzato nel Palazzo
Celeste dalla Regina Madre d'Occidente.
Un giorno decisero di recarsi
ad ammirare le meraviglie del mare, ma la divinità Lu Yuan pretese che
rinunciassero al loro abituale veicolo-cavalcatura, cioè una comoda nuvoletta.
Dovettero camminare sul mare, ognuno con l'aiuto di un oggetto magico, il suo
attributo personale. Per uno il bastone, per un altro la spada, per il terzo
il ventaglio, ecc. Strada facendo entrarono in conflitto con un re-drago, cui
inflissero una cocente sconfitta. Le loro peregrinazioni marittime poterono
quindi proseguire attraverso mille altre avventure in cui utilizzarono tutte
le loro possibilità tra cui quella di poter diventare visibili o invisibili a
piacimento, resuscitare i morti, trasformare in oro tutto quel che toccavano
per mezzo di una meravigliosa pietra magica...
Spesso sono anche
rappresentati mentre avanzano in gruppo lungo i sentieri tortuosi della
montagna della Longevità, o nel paradiso taoista, un paesaggio boscoso,
disseminato di stagni e di torrenti ingombri di rocce. Raggiunto un alto grado
di poteri magici, questi personaggi, generalmente solitari, dovevano
incontrarsi una volta l’anno nelle montagne della catena Kunlun Shan, tra il
Tibet e il Turkestan, luogo di residenza di Xi Wang Mu, la “Dama-Regina
dell'Ovest”, importante divinità dell'Olimpo cinese. Questa fata taoista,
detta “Madre d'oro”, presiedeva al loro incontro in mezzo a fiori di corallo e
ad altri splendori, come pesche dell’immortalità, che maturano soltanto ogni
3.000 anni!

2012 (2939/42) Giornata dell’infanzia. Il
racconto di Inao
I quattro personaggi della serie sono tratti dal Racconto di Inao,
un famoso poema epico della Thailandia che risale al periodo del re Rama II.
Il tema del racconto è stato trattato in seguito in canzoni e poesie, opere
teatrali e dipinti, dal popolare al classico. La loro storia è stata anche
raccontata in un poema molto lungo e molto ammirato, scritto da Re Rama II
(regnò dal 1809 al 1824), sotto il titolo Inao. Esiste pure una
canzone molto romantica, ben nota alla maggior parte dei thailandesi, con il
titolo di 'Bussaba Sieng Thien'.
Inao è uno dei figli del re di Kurepan ed è anche conosciuto come Raden
Montri. Bussaba (pronunciato Butsaba) è la figlia del re di Daha. Quando
nacque il re di Kurepan inviò regali di
fidanzamento per conto di suo figlio, affinché i due cugini potessero un
giorno sposarsi.
Quando Inao raggiunse l’età di 15 anni, sua nonna , sovrana del Regno di
Manya, morì. Inao partecipò ai funerale e conobbe, Jintara, figlia di un re,
della quale si invaghì tanto da decidere di non tornare piu a casa. Ma il
padre gli ordinò di rientrare per celebrare il matrimonio con Bussaba al
fine di evitare ulteriori problemi. Inao,
tuttavia, non era disposto ad ubbidire. Riuscì con uno stratagemma ad
entrare nella camera da letto di Jintara e farla sua. Bussaba, venuta a
conoscenza del tradimento di Inao, sentendosi disonorata, accettò di sposare
il re di Joraka, un uomo molto brutto.

2012 ( 294/5) Caishenye.
Caishenye o il Dio
della ricchezza è il termine con cui si designasi un insieme di divinità
cinesi al quale è attribuito il potere di migliorare la situazione
finanziaria. Dette divinità appartengono a due categorie: civili e militari,
ad imitazione della burocrazia imperiale. Ci sono ricchi commercianti la cui
esistenza storica è attestata, di personaggi oscuri risalenti a tempio remoti
e di eroi che hanno combattuto per la loro patria. Ognuno può scegliersi la
divinità che più gli aggrada. Alla lontana ricordano i santi della religione
cristiana il cui numero non è fisso ma aumenta nel tempo.

Anno 2013 Divinità cinese. Tai sui.
Tai Sui si riferisce a stelle direttamente opposto a Giove. Esse
influenzano lo zodiaco cinese e sono anche una teoria religiosa del Taoismo e
del Feng Shui.
Nello zodiaco cinese, ci sono sessanta generali celesti che aiutano l'
Imperatore di giada nel prendersi cura del benessere del mondo mortale.
Ognuno di loro rimane in carica per un anno. A causa della maggior parte di
loro avendo una derivazione militare, normalmente sono conosciuti come i
generali militari, o come la divinità del ciclo. Ciascuna delle loro
caratteristiche e le armi che prediligono significano il benessere di
quell'anno. Ad esempio, se il Tai dell'anno è uno che tiene una penna, indica
agitazione politica per quel particolare anno. D'altra parte, se la Tai
dell'anno tiene una lancia o una spada indica la necessità di lavorare sodo ed
superare le difficoltà di quell’anno. Nel Taoismo, se qualcuno è in conflitto
con il Tai di quell’anno deve
passare attraverso una sessione di preghiera
con un sacerdote taoista per chiedere benedizione al fine di ottenere pace e
buona fortuna per tutto l'anno. Esistono talismani che proteggono
contro Tai Sui, venduti in molte aree.

TRASNITRIA
2010 Europa Libri per bambini.
Racconti popolari
TRINIDAD
1982 (458/61) Lo spirito
dei demoni locali. Pa Pa Bois la diavolessa. Lugarhoo. Phantom e Soucouyant,
Il bosco del sole. Dwens e Mama dell’acqua.
Papa Bois (altrimenti noto come
"Maître Bois", che significa padrone dei boschi o "Papà Bouchon", che
significa uomo peloso), è un popolare personaggio immaginario presso le
pololazioni di i St . Lucia e Trinidad e Tobago . Spesso chiamato il "guardiano della foresta", è ritenuto il
protettore dei boschi, della flora e fauna. E’ sposato con la Diavolessa.
Ha l’aspetto
di un vecchio africano, con gli zoccoli (o almeno la sua gamba sinistra
termina in un grande zoccolo) e la barba di foglie, che, nonostante l’età
possiede forti muscoli e può correre più veloce di un cervo. Il suo corpo è completamente ricoperto di pelo
come quello di un asino e piccole corna spuntano dalla fronte. Egli è anche noto per scavar trappole per
catturare i cacciatori di frodo.
Egli è anche noto per avere il potere di tramutarsi generalmente in un cervo
per attirare i cacciatori nelle profondità della foresta e punirli. La sua controparte femminile è Mama DLO. Si dice che, se uno incontra Papa Bois, deve
essere educato, astenersi dal fissare gli zoccoli e rivolgergli un educato
saluto. Papa Bois si trova anche nel folklore di Grenada. Egli è di solito rappresentato come un enorme Manicou
(Opossum). I
cacciatori della foresta lo temono per la sua capacità di apparire e
scomparire all’improvviso.
Un Lugarhoo (Lagahoo o Loup Garou) è una specie di lupo mannaro noto
nel folklore di Trinidad e Tobago.
È una persona che si può tramutare in un mezzo animale dal torso in giù, e
può anche alterare le sue dimensioni da piccolo a molto grande in un istante.
Di notte è solito scuotere e trascinare catene e portare in mano una frusta,
un bastone o canne secche.
Mama Glow" o "Mama DLO" o "Mama Dglo" il cui nome deriva da"maman
de l 'eau" che significa "madre delle acque", è uno dei personaggi meno
conosciuti nel folklore di Trinidad e Tobago.
Si tratta di una donna di mezza età, metà serpente, con lunghi capelli che
pettina continuamente. La parte superiore del tronco nudo è quella di una
donna bellissima, la parte inferiore sono, invece, spire simili al serpente
anaconda che vive sott’acqua. Si ritiene che fosse l'amante di Papa Bois.
Ii cacciatori che si sono imbattuti in lei affermano di aver sentito un rumore,
una specie di fruscio prodotto da sua coda mentre affiora sulla superficie di
un laghetto di montagna o di una laguna. Gli uomini
che commettono crimini contro la foresta, come bruciare gli alberi o uccidere
indiscriminatamente gli animali o deturpare le sponde dei fiumi potrebbero
trovarsi uniti per sempre a lei sia su questa terra che nell’aldilà. Se
si dovesse incontrare Mama DLO il consiglio è quello di fuggire, ma , prima di
farlo è necessario calzare la scarpa sinistra a rovescio e camminare
all’indietro fino a casa.
Douens (Dwens) sono le anime dei bambini
morti prima di essere battezzati. Essi sono condannati a vagare sulla terra
per sempre. Sono visti giocare nei boschi e vicino a
corsi d'acqua e la cosa strana è che loro non hanno il volti e i loro piedi
sono rivolti all'indietro. Essi possono
avvicinare i bambini normali e li portano fuori strada nella foresta fino a
quando non si smarriscono o possono lasciarli in prossimità di case abitate
dove gemono e piangono. Gli anziani parlano suggeriscono che per
evitare che i Douens si avvicinino ai bambini occorre farli sempre rientrare
a casa al tramonto. E mai chiamarli ad alta voce se i Douen vi sentono,
impareranno il loro nome e li chiameranno per attirarli.
I Phantom
sono fantasmi maliziosi e creature malevoli. Vagano di notte nei luoghi
abitati e tentano di entrare nelle case.
Si
dice che per mantenerli lontani bisogna cospargere sale o riso tutt’attorno
alla casa, perché il fantasma, prima di poter entrare è costretto a contare
tutti i chicchi, uno per uno. Così, quando ha terminato, il sole è ormai
sorto e i fantasmi devono rientrare nel mondo dello spirito.
Il
Soucouyant (Sukuya), chiamato anche Old
Hag, è un essere soprannaturale che ha fatto un patto con il diavolo per
essere in grado di potersi tramutare in qualsiasi cosa e assumere forme
diverse. Di notte si libera della sua forma umana e si trasforma in una
palla di fuoco o in qualsiasi tipo di animale e lancia incantesimi su persone
per trasformarle esse pure in animali. Deve, però, rientrare nella sua forma
normale prima che sorgano le prime luci dell'alba e che il gallo canti,
altrimenti non sarà più in grado di tornare se stesso. Quando si sospetta, ad esempio, che il vicino
possa essere un soucouyant, si può andare di notte a casa sua per
distruggere la pelle che ha abbandonato, cospargerla di sale in modo che si
restringa così al suo rientro non potrà più indossarla e morirà.
Gli anziani dicono: se volete scoprire chi è il Soucouyant del tuo villaggio
metti 100 libbre di riso al crocevia del villaggio ; chi si soffermerò a
raccoglierlo chicco dopo chicco quello sarà un Soucouyant
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2005 (897/901+BF 70) Racconto di Anansi: La
partita di cricket.
     
TRISTAN
DA CUNHA
1980 (BF 11 9 valori) Natale. Racconti e canzoni per
bambini. Humpty Dumpty. Mary had a little lamb. Sing a song of six pence. Il
gatto e la civetta. Old king cole. Little Jack Corner. Tom Tom the piper’s
son. Hey diddle diddle. London bridge.
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TUNISIA
1982 (978/83)
Fiabe e filastrocche.
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1984 (1016/8)
Fiabe e filastrocche
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1985 (1035/7) Fiabe, filastrocche.
Il sole che si scalda. Giovane e sette ragazze. Zio Bisbane nel catrame
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TURCHIA
1991
(2691/93) Kelogan: Il genio del pozzo. Il pranzo dei notabili.
L’aratore all’opera
Kelogan (il bimbo calvo) dal 17° secolo è l’eroe di
numerosi racconti popolari turchi. E’ un ragazzino calvo, simpatico, astuto
(anche se a volte si finge tonto) e coraggioso. Non teme nessuno sia che si
tratti di un orco o di un mago cattivo, sia che si tratti di qualche ricco
potente e arrogante. Probabilmente è finito nelle pagine delle leggende
turche, trasferendosi da quelle delle Mille e una notte.
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1992 (2719/21) Scene da una fiaba dell’Anatolia.
Halikarnās Balinkçisi ("pescatore di
Alicarnasso") è
lo pseudonimo dello scrittore turco Cevat Sakir Kabaagaçli (İstanbul
1886 - Smirne 1973). A lui si devono alcune opere in cui sono raccolti
leggende e miti della Turchia. Tra essi , i racconti Ege Kiyilarindan
("Dalle sponde dell'Egeo", 1939), Egeden Hikayeler ("Racconti
dell'Egeo", 1972), le mitologie Anadolu Efsaneleri ("Leggende
dell'Anatolia", 1954), Anadolu Tanrilari ("Gli dei dell'Anatolia",
1955)
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Turchia 1997 Europa: I sogni di Cigdems dream
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2010 (3513/4)Europa Libri per bambini. Malik Cobani
(fiaba)Un contadino guarda un vecchio tronco d’albero pieno d’acqua. Dede
Korkut (racconto)Un cavaliere e una donna con un bimbo in braccio.
Il libro di Dede Korkut (o di Dede Qorqut o di Dada
Gorgud), l'epopea più famosa dei Turchi Oghuz, è una raccolta di raccont
in
prosadelle epopee delle tribù turche stanziate nel secolo VIII in Asia
centrale, soprattutto Azerbaigian e Turchia, centrato sulle lotte degli Oguz
con i cristiani.
Non è noto il periodo in cui i racconti orali sono stati raccolti e
trascritti; pare che la redazione sia avvenuta nel XV secolo. Il Libro di
Dede Korkut è stato dichiarato dall'Unesco opera letteraria dell'anno
2000.


UKRAINA
(Per conoscere il mondo folkloristico fiabesco
ucraino vedere Fiabe ucraine a
cura di Lorenzo Pompeo, Collana Lune Nuove, 73), 2008 Besa editrice.; Tetyana
Gordiyenko , Le mie favole dell’Ucraina. 2011, Sinnos Editore.)
2000 (402/4)
Fiabe:Il lupo travestito e il ragazzo pescatore. Un vecchio e una vecchia
tengono un’oca. Un gatto con una corda e un’ascia parla ad un gallo
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2002 (465/7)
Fiabe:Personaggi di tre fiabe: Una volpe, un gatto una gallina.
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2003 (493/5)
Fiabe:Una capra in abiti folkloristici. Un bue impagliato. La
volpe e la cicogna (vedi
La Fontaine)
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2004 (578/80)
Fiaba: Gatto e bambino al
bagno. Un pescatore. Personaggio con clava e dragone.
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2010 (970/1+ BF 73) Europa Libri per bambini. Testa
di giumenta. Le scarpe dorate.
2012
Fiaba Zaliznonosa Bosorkania.
Si tratta della fiaba in cui il
personaggio viene chiamato Zalinonosa (che significa “naso d’acciaio”) e del
suo compagno.
 
UNGHERIA
1916/17
(159)
Mitologia:
Turul, essere alato.
Il Turul , uccello mitologico legato alle leggende sull'origine
dei Magiari, è immaginato come un enorme falco. Il Turul apparve in sogno ad
Emese, la madre del principe Álmo e, dopo averla fecondata, le annunciò
che il figlio che avrebbe partorito sarebbe stato il fondatore di una grande
dinastia.
In seguito il Turul apparve di nuovo in sogno ai capi delle 7
tribù ungheresi e li aiutò a mettere in fuga le aquile che stavano attaccando
i cavalli delle tribù. Il significato attribuito ai sogni fu che era necessario
migrare verso nuove terre. Una volta in movimento, il Turul indicò loro la
strada, guidandoli verso la Pannonia che sarebbe divenuta la culla
dell'Ungheria.

1959 (1327/34) Una maestra racconta fiabe. La bella
addormentata (Perrault). Mattia e l’oca (racconto ungherese). La cicala e la
formica (La Fontaine). Machenka e l’orso (fiaba russa). Hansel e Gretel (F.lli
Grimm). Il pifferaio di Hamelin (Grimm). Cappuccetto rosso. (Perrault)
Mattia è un ragazzo povero e ingenuo, che passa le sue giornate in
compagnia della sua unica amica, un’oca pestifera. Un giorno un signorotto
locale, durante una battuta di caccia, se la prende con l’oca, facendo
arrabbiare Mattia. Ricorrendo a tutta la sua astuzia e ad un insolito talento
per i travestimenti, Mattia saprà vendicarsi dei soprusi subiti.
Machenka. Due
vecchietti vivevano in un’isba con la loro una nipote Machenka. Un giorno la
nipote fu invitata dalle amiche ad una passeggiata nella foresta dove,
purtroppo, si smarrì e non trovò più la via del ritorno. Girando per la
Foresta vide una casetta, bussò e le aprì un orso che disse di poterla
ospitare purché gli preparasse i pasti. La ragazza accettò. Ogni giorno
l’orso usciva e la lasciava sola, dicendole ogni volta che se l'avrebbe
mangiata se avesse tentato di fuggire. Ma Machenka voleva tornare dai nonni
e per sottrarsi a quella prigionia ebbe un’idea. Preparò dei biscotti, li
pose in una larga teglia di rame che mise in una gerla di vimini. Quando
l’orso ritornò gli chiese se li poteva portare ai suoi nonni. L’animale
rifiutò ma si disse disposto a portarli lui. Machenka accettò ma disse
all’orso: “Guardati bene: non dovrai mangiarne neppure uno perché sono tutti
per i miei nonni. Quando sarai partito, io salirò sull’albero più alto e
dalla cima controllerò se mi hai ubbidito. Prima che l’orso partisse la
ragazza disse all’orso: “Non vorrei che si bagnassero: va fuori a vedere se
sta per piovere”. E quello ubbidì. Approfittando della sua momentanea assenza,
prese la larga teglia ricolma di biscotti, se la pose sul capo ed entrò
nella cesta. Al suo ritorno l’orso si mise in spalla la gerla e si avviò verso
il villaggio. La gerla era pesante e ogni tanto si fermava, tentato di
mangiare un biscotto ma ogni volta una vocina gli diceva: “Orso, guarda che ti
vedo!!, Hai promesso di non toccarli!” E l’orso si rimetteva la gerla in
spalla. Quando arrivò dai nonni diede loro la gerla e quelli sotto il vassoio
trovarono la loro nipote. Riuscirono a cacciar via l’orso e da quel giorno
Machenka non andò più nella foresta.
      
1960 (1403/10)Fiabe: La
barbabietola gigante (fiaba russa). Biancaneve (F.lli Grimm). Il mugnaio suo
figlio e l’asino (La Fontaine). Il gatto con gli stivali (Perrault). Il corvo
e la volpe (La Fontaine). Lo zufolo di legno d’acero. La volpe e la cicogna
(Esopo).Momotaro. (fiaba giapponese).
La Barbabietola gigante.
Un contadino decise un mattino di cogliere una barbabietola che aveva
coltivato nel suo orto, ma quando cominciò a tirare il cespo che fuoriusciva
dal terreno si accorse che il bulbo era troppo grosso per poterlo estrarre
dalla terra con le sue sole forze, perciò decise di chiamare in aiuto la
moglie. Questa venne e cominciarono a tirare. Ma la barbabietola non veniva
fuori. Chiamarono il figlio più grande, poi tutta la famiglia. Nulla da fare.
Chiesero aiuto al cane e infine al gatto. Non c’era verso di cavare
l’ortaggio dal terreno. Allora il gatto andò a chiamare il suo eterno nemico,
il topo. Tirarono tutti assieme e la barbabietola uscì finalmente fuori del
terreno. Ne mangiarono tutti per parecchi giorni e cantarono e ballarono per
il successo. La fiaba insegna che anche nelle imprese più difficili e
apparentemente impossibili l’apporto del più debole può essere caratteristico.
Momotaro . In
giapponese significa ‘nato da una pesca – è appunto un bambino nato da una
pesca e allevato da due coniugi che abitavano in montagna. Il bimbo, pur
essendo forte e intelligente, era sfaticato e un poco fannullone. Trovava
sempre una scusa per non far nulla e scansare tutti i lavori. Un giorno
sradicò un alto albero e lo portò a casa. Un ricco signore, venuto a
conoscenza della sua prodezza, gli chiese di liberare il paese da una banda
di briganti che avevano trovato rifugio in un’isola inaccessibile. Momotaro
accettò e partì portando con sé molte focacce di miglio assai appetitose.
Durante il viaggio verso l’isola fece amicizia con un cane, una scimmia e un
fagiano, con cui divise le focacce. Col loro aiuto Momotaro riuscì a
sconfiggere i briganti e a ritornare a casa ricco del tesoro sottratto ai
malviventi.
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1972 (BF 95) Leggenda. S.Martino e il povero
(vedi Austria)

1978 (BF 138) Mitologia:Ercole e Nesso.
Nesso era figlio di
Issione e di Nefele, è una delle figure mitologiche del ciclo di Ercole o
Eracle. Nesso viveva sulle rive del fiume Eveno e usava traghettare i
viaggiatori sull'altra sponda Eracle si trovò a passare il fiume assieme alla
sua seconda moglie Deianira. Nesso si rifiutò di traghettare i due nello
stesso momento, cosicché Eracle guadò il fiume da solo. Quando Nesso si trovò
ad avere in groppa la sola Deianira, tentò di rapirla dandosi alla fuga, ma fu
ucciso da una freccia di Eracle. Nell'agonia rivelò a Deianira che se avesse
raccolto il suo sangue e ne avesse intriso una veste avrebbe potuto contare
sull'amore eterno di Eracle; infatti ogni volta che Eracle avesse mostrato
interesse verso un'altra donna sarebbe bastato che indossasse quella veste per
ritornare devoto a Deianira; l'imprudente donna fece quanto dettole. Anni
dopo, dopo la vittoriosa spedizione contro Ecalia, il vincitore Eracle che
riportava con sé la bella Iole, figlia del defunto re di Ecalia, si fermò a
qualche distanza da Trachis e inviò Lica, un suo compagno, a Deianira per
prendere una veste bianca per sacrificare. Lica raccontò tutto a Deianira, e
questa, temendo la bellezza di Iole, consegnò a Lica la camicia di Nesso.
Appena Eracle la indossò fu colto da terribili dolori, in quanto il sangue del
centauro era contaminato dal veleno della freccia che lo aveva ucciso, intinta
anni prima nel sangue dell' Idra di Lerna. Eracle impazzito dal dolore uccise
Lica e ordinò di costruirgli una pira funebre su cui si fece bruciare.
Deianira, impazzita per il rimorso, si impiccò.
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1979 (145) Fiabe: La fata Ilona

1991 (3314) Fiaba: Pierino e il lupo
Un mattino Pierino uscì di
casa e andò vicino ad un albero dove abitava un uccellino suo amico. Poiché
la porta di casa era rimasta aperta, un’anatra lo seguì e, camminando
goffamente, andò a tuffarsi in un laghetto. L’uccellino dall’alto del ramo
disse: “Ma che razza di uccello sei se non sai neppure volare”. “E tu che
che uccello sei se non sai neppure nuotare”. Un gatto in agguato stava intanto
cercando di trovare qualche preda e si guardava attorno col timore che
qualche lupo uscisse dal bosco per aggredirlo. Dalla casa il nonno chiamò
Pierino ordinandogli di rientrare perché il luogo era pericoloso. E, infatti,
un lupo uscì dal bosco. Pierino riuscì a entrare in casa, mentre il gatto salì
sull’albero. Solo l’anitra fece una brutta fine. Il lupo, dopo averla
ingoiata, si era appostato ai piedi dell’albero. Aveva ancora fame e il gatto
era un buon boccone.
Pierino, che non aveva paura
dei lupi, decise di intervenire e da una finestra riuscì a passare su un ramo
dell’albero e a raggiungere l’uccellino al quale disse: “Cerca di volare
sopra la testa del lupo, ma fai attenzione”. E mentre l’uccellino volava,
Pierino fece un nodo scorsoio ad una corda e riuscì ad infilarlo nella coda
del lupo che rimase così appeso ad un ramo. E più il lupo si agitava più il
nodo si stringeva. Arrivarono alcuni cacciatori armati. “Non uccidetelo! –
gridò Pierino. – Io e il mio uccellino lo abbiamo catturato e vogliamo
portarlo allo zoo.” Così si avviarono verso la città: Pierino e l’uccellino
davanti e i cacciatori dietro col lupo attaccato ad una corda.
Favoletta semplice, resa
celebre nel 1936 dalla musica classica del compositore Sergej Prokofiev.
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1997 (M. 4455/6) Fiaba: Il Cervo d’oro.
I fratelli Hunor e Magyar,
figli del gigante Menro, durante una caccia assieme a cinquanta cavalieri,
videro un bellissimo cervo il cui muso brillava come fosse d’oro. Volendo
catturarlo, lo inseguirono per giorni e giorni, ma non riuscirono mai a
raggiungerlo. Dopo aver desistito dalla caccia, sulla via del ritorno
scoprirono terre fertili e ricche di acqua e di pascoli abbondanti cicondati
da foreste e praterie a perdita d’occhio. Decisero di occuparle stabilmente.
Vissero felici per cinque anni in quelle terre. Un giorno, durante una partita
di caccia, rividero il cervo d’oro. Si ripetè la stessa scena. Nonostante lo
inseguissero non riuscirono a raggiungerlo. Sulla via del ritorno furono
attratti da risa argentine e giocose. Un centinaio di giovani fanciulle
danzavano e cantavano vicino ad un fiume. Erano le figlie di Dula, il re degli
Alani. “Ognuno si prenda una fanciulla” dissero Hunor e Magyar. Ritornando
all’accampamento con le fanciulle non si accorsero di un cervo d’oro che li
guardava dall’alto di un colle. Le giovani condivisero con i cavalieri la loro
vita e da Hunor e Magyar derivarono due grandi popoli:gli Unni e i Magiari.
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Anno 2015. Matyi e le oche o Ludas Matyi, è un poema epico ungherese
scritto nel 1804 da Mihály Fazekas (1766-1828) e pubblicato nel 1817. Si basa
su una fiaba di origine sconosciuta. La maggior parte degli adattamenti
cinematografici collocano la storia e l'inizio del 19 ° secolo, ma sulla base
di osservazioni in poesia, così come sulla parola "tu Ludas" viene anche
utilizzato per descrivere una persona sospettata di un reato già nel
Tripartitum, percui la storia originale può essere situata almeno agli inizi
del 16 ° secolo.
Matyi, un giovane contadino, sta cercando di vendere le sue oche al mercato
ma viene contestato dal signor Dániel il quale sostiene che le oche gli
appartengono e ordina al suo servo di punire Matyi con 50 frustate sulla
schiena. Matyi fa un voto: avrà la sua vendett e si vendicherà per le frustate
ricevute ripagando Döbröghy, in futuro e in tre momenti diversi.
Tre
anni dopo la punizione di Matyi, Döbröghy comincia la costruzione di un suo
castello ma la costruzione prosegue molto lentamente, causa della mancanza di
carpentieri. Matyi si traveste da architetto-insegnante e visita il sito di
costruzione. Convince il ricco signore e i suoi servi a recarsi nella vicina
foresta per raccogliere il legname per completare la struttura. Poi attira in
un luogo solitario il signor Döbröghy, lo lega ad un albero con una corda, e lo
frusta.per la prima volta.
Dopo essere stato battuto, Dániel Döbröghy chiede l’intervento di un dottore
perché le sue ferite non migliorano.e invia un servo a cercare un medico. Matyi,
venuto a cononoscenza dell’incarico, si presenta al servo travestito da medico
militare tedesco. Portato davanti al signore ordina che sia curato con erbe
speciali e invia tutti i servi nei campi a cercarli. Rimasto solo con
Döbröghy , gli somministra la seconda frustata. Poi libera le oche che erano
state rinchiuse in una stalla.
E’,
intanto, venuto il periodo invernale durante il quale si tiene la fiera annuale
di bestiame. Döbröghy sa che quello sarà il momento in cui Matyi tenterà di
colpirlo con la sua predizione e avverte tutti i servi di individuare le
persone sospette. Non trovano nulla perché Matyi non indossa alcun
travestimento. Nel frattempo il giovane si è alleato con un cavaliere locale il
quale al momento opportuno attira lontano tutti i soldati e i servi , dicendo
che il paese sta per essere attaccato da truppe nemiche. Tutti si allontanano.
Solo Döbröghy rimane e Matyi può cosi somministrargli la terza punizione.
La storia conteneva un consiglio
ironico ai signori di Ungheria, quello di non penalizzare i contadini
inutilmente.
Ludas Matyi fu il primo eroe popolare ungherese nella letteratura. La poesia ha
rappresentato il rapporto tra la nobiltà e la gente semplice ed ha sottolineato
i problemi del settore agricolo nel tardo 18 ° secolo.
Molto più tardi il governo comunista creò film tratti dalla storia , nei quali
sottolineò la superiorità dei lavoratori e dei poveri.
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URUGUAY
2001 (1959/62) La tetralogia di Wagner, L'anello del
Nibelungo. L’oro del Reno. La Walkiria. Sigfrido. Il crepuscolo degli dei.
La tetralogia di Wagner, L'anello del Nibelungo (Der Ring des Nibelungen), è
un ciclo di quattro drammi musicali di Richard Wagner, che costituiscono un
continuum narrativo che si svolge nell'arco di un prologo e tre "giornate":
L'oro del Reno (prologo)
La prima scena si apre: le tre figlie del Reno (che hanno il compito di
proteggere l'oro del Reno) stanno giocando nell'acqua. Il nano Alberich
fuoriesce dalle viscere della terra e si ferma a guardarle; non si trattiene e
proclama il suo amore per loro. Ma esse lo deridono; allora, infuriato, egli
cerca di afferrarle. Nel frattempo l'oro del Reno si mostra; le tre rivelano il
segreto potere del tesoro che custodiscono: chiunque sarà capace di forgiare con
esso un anello, dominerà il mondo; per farlo però deve rinnegare l'amore. Ed
Alberich maledicendo l'amore si impadronisce dell'oro e scompare.
Wotan riposa accanto alla moglie Fricka. Ella lo sveglia. Discutono, poiché
Wotan si è fatto costruire dai giganti Fasolt e Fafner una dimora celeste
promettendo loro in cambio la sorella di Fricka, Freia. Tuttavia Wotan,
completato il lavoro, non vuole accondiscendere al pagamento. I giganti si
presentano e, se non accontentati, intendono rapire Freia, in difesa della quale
sono pronti a intervenire i fratelli Donner e Froh, fermati in tempo da Wotan
prima che si sparga sangue. Il semidio Loge propone una soluzione: rubare l'oro
al nano Alberich che, nel frattempo, è riuscito a forgiare l'anello. Ma, ora che
ne conoscono il potere, tutti sentono il desiderio di impossessarsene. I giganti
rapiscono Freia: la terranno fino a che non avranno l'oro.
Nel suo regno sotterraneo Alberich ha costretto in servitù i Nibelunghi e se ne
serve per accumulare ricchezze. Perfino suo fratello Mime è picchiato e
torturato, sebbene abbia realizzato per Alberich un elmo magico chiamato
Tarnhelm, che dona a chi lo indossa il potere di mutarsi in qualunque cosa, o di
diventare invisibili. Loge e Wotan con un inganno riescono tuttavia a fare
prigioniero Alberich. Lo portano con loro in superficie.
Per essere liberato Alberich dovrà consegnare il suo tesoro, compreso l'anello.
Una volta liberato egli maledice l'anello affinché conduca alla rovina chiunque
ne sia il possessore. Wotan ignora la maledizione e indossa l'anello,
intenzionato a tenerlo per sé. Ma i giganti non si accontentano del tesoro:
esigono anche l'anello e l'elmo magico forgiato da Mime, fratello e servitore di
Alberich. Wotan è costretto a cedere, anche se solo dopo che Erda, dea della
terra e custode di conoscenze sul futuro, gli ha predetto un infausto destino se
non getterà via l'anello. La maledizione comincia subito il suo effetto: Fafner,
per avidità, uccide il fratello Fasolt e fugge col tesoro. Gli dei prendono
possesso della loro dimora e l'oro non viene restituito alle figlie del Reno,
che supplicano invano.
La Valchiria (prima giornata)
La prima scena mostra il fuggiasco Siegmund che trova rifugio in un'abitazione.
Sieglinde lo accoglie mentre suo marito Hunding è assente. Egli le spiega come,
affrontato da molti nemici, sia stato costretto alla fuga e spinto da una
tempesta a cercare rifugio presso di lei. Ma sa che una maledizione grava su di
lui e si prepara a ripartire; ella però gli chiede di restare: è infatti attesa
a sua volta da un oscuro destino. Ciò altro non è che la conseguenza della loro
origine divina: i due sono fratelli, figli di Wotan e di una donna con la quale
egli si è unito (nella speranza di generare l'eroe senza paura in grado di
riconquistare il tesoro dei Nibelunghi) e, come tali, legati a lui.
Mentre la scena si chiude, i due si guardano con crescente passione.
Ritorna Hunding; sorpreso e sospettoso nei confronti di Siegmund per la di lui
somiglianza con Sieglinde, lo invita con decisione a rivelare il suo nome;
Siegmund mente affermando di chiamarsi Wehwalt (figlio del lupo). Racconta poi
la sua storia e, per ultimo, di come la sua lotta per una donna costretta a
sposarsi contro i propri sentimenti avesse causato una strage. Hunding riconosce
così Siegmund come un nemico della sua tribù e, trattenuto dai doveri
d'ospitalità dall'attaccarlo immediatamente, lo sfida comunque a un duello che
avrà luogo l'indomani mattina.
Sieglinde, che è favorevole a Siegmund, ha addormentato Hunding con delle droghe
e, negli ultimi bagliori del fuoco che si spegne, mostra al fratello (che è
giunto alla casa senz'armi) il luogo ove nel giorno del suo matrimonio uno
straniero ha conficcato una spada che, da allora, nessuno è riuscito a estrarre.
Ella è convinta che Siegmund sia in grado di farlo e di liberarla dall'uomo che
non ama. Improvvisamente la luce della luna illumina la scena: i due riconoscono
l'uno nell'altro il volto del padre. Ella comprende di trovarsi davanti al
fratello da cui era stata separata quand'era bambina. Egli estrae dal tronco di
frassino la spada e le dà nome Nothung. A quel punto i due confessano l'un
l'altra il proprio amore.
Wotan istruisce la valchiria Brunilde, sua figlia, perché ella protegga Siegmund
nel suo prossimo duello con Hunding. Ma Fricka, moglie di Wotan e divinità
protettrice del matrimonio, domanda al contrario che Siegmund e Sieglinde siano
puniti per aver commesso i crimini di adulterio e incesto (ella sa infatti che
Wotan è il padre di entrambi). Wotan replica affermando la necessità di un eroe
libero, non legato a lui, ma Fricka ribatte che Siegmund non è che
un'inconsapevole pedina nelle mani di Wotan. Wotan è costretto a cedere e
promette alla moglie la morte di Siegmund.
Fricka si allontana, e Wotan, disperato, rimane solo con Brunilde. Ad ella
spiega che, angustiato dalla sinistra profezia di Erda sulla sorte degli dei (al
termine de L'oro del Reno), aveva sedotto la dea per venire a sapere qualcosa di
più: da ella aveva avuto Brunilde. Aveva cresciuto Brunilde ed altre otto figlie
come valchirie, donne guerriere che accolgono le anime degli eroi caduti per
formare un esercito contro Alberich. Ma l'armata del Valhalla sarà sicuramente
sconfitta se Alberich riuscirà a rientrare in possesso dell'anello, che ora è
custodito dal gigante Fafner. Usando il Tarnhelm, il gigante si è tramutato in
un drago e si è nascosto in una foresta, dove monta la guardia al tesoro dei
Nibelunghi, cedutogli proprio da Wotan. Poiché è legato a lui da questo patto,
non può essere Wotan a prendergli l'anello, quindi ha bisogno di un eroe libero.
Tuttavia, come gli ha fatto notare Fricka, tutto ciò che riesce a fare è creare
servi. Sconsolato, Wotan ordina a Brunilde di ubbidire al volere di Fricka e di
procurare la morte del suo amato figlio Siegmund per mano di Hunding.
Siegmund e Sieglinde, intanto, fuggiti insieme, si inoltrano fra i passi
montani. Sieglinde, esausta, sviene. Sopraggiunge Brunilde, che si rivolge a
Siegmund annunciandogli la sua morte imminente e il suo prossimo ingresso nel
Valhalla. Ma Siegmund rifiuta di seguirla quando viene a sapere che Sieglinde
non potrà venire con lui. Colpita dalla forza del suo coraggio e del suo amore,
Brunilde decide di contravvenire agli ordini del padre e di aiutarlo.
Arriva Hunding, che attacca Siegmund. Favorito da Brunilde, questi sembra
prevalere sul rivale, ma arriva Wotan e spezza Nothung, la spada di Siegmund,
con la sua lancia. Disarmato, Siegmund viene ucciso da Hunding. Brunilde prende
Sieglinde e raccoglie i frammenti di Nothung, e fugge sul suo cavallo portando
in salvo la donna. Wotan si ferma a guardare il corpo senza vita del figlio. Con
un gesto sprezzante uccide Hunding, e parte all'inseguimento della sua figlia
ribelle.
Le valchirie, ciascuna accompagnata dall'anima di un guerriero caduto, si
riuniscono sulla sommità di una montagna. Quando vedono arrivare Brunilde con
una donna viva rimangono sconvolte. La sorella implora il loro aiuto, ma le
altre valchirie non osano andare contro il volere di Wotan. Brunilde, allora,
decide di trattenere Wotan per dare tempo a Sieglinde di fuggire; annuncia
inoltre che Sieglinde è incinta di Siegmund, e che il nome del bambino sarà
Sigfrido (Siegfried).
Sopraggiunge Wotan, furibondo, e pronuncia la sua condanna contro Brunilde: ella
verrà privata della sua condizione di valchiria e diventerà mortale; immersa in
un sonno magico sulla cima di una montagna, sarà preda di ogni uomo. Le altre
valchirie fuggono terrorizzate. Brunilde implora pietà, spiega che sono stati il
coraggio e l'eroismo di Siegmund a spingerla a parteggiare per lui e a
proteggerlo, sapendo che quello, in fondo, era anche il desiderio dello stesso
Wotan. Wotan, alla fine, acconsente almeno a questa richiesta: di circondarla,
mentre giace profondamente addormentata, di un cerchio di fuoco magico, per
scoraggiare dall'avvicinarla chiunque, a parte il più coraggioso degli eroi (che
entrambi già sanno sarà lo stesso Sigfrido, non ancora nato, come annunciato dal
leitmotiv che si ode in questo punto). Wotan porta Brunilde in cima ad un monte
e la fa addormentare; ordina a Loge, semidio del fuoco, di circondarla di
fiamme, quindi si allontana in preda al dolore, pronunciando queste ultime
parole: Wer meines Speeres Spitze fürchtet, durchschreite das Feuer nie! ("Chi
della mia lancia teme la punta, mai non traversi il fuoco!").
Sigfrido (seconda giornata)
Sono passati alcuni anni dagli eventi de La Valchiria. Mime, il fratello di
Alberich, sta forgiando una spada nella sua caverna nella foresta: il nano ha in
mente di impossessarsi dell'anello, servendosi di Sigfrido, che in questi anni
ha cresciuto perché uccidesse Fafner per lui. Sigfrido però finora ha rotto
qualsiasi spada che egli gli ha fabbricato. Sigfrido torna dai suoi vagabondaggi
nella foresta e chiede a Mime di parlargli delle sue origini. Mime è costretto a
narrargli di come, anni prima, avesse trovato nella foresta sua madre, Sieglinde,
morta dandolo alla luce. Mostra a Sigfrido i frammenti di Nothung, che
conservava da allora, e il giovane gli ordina di riforgiare la spada.
Sigfrido si allontana, lasciando Mime sconsolato: non è in grado infatti di
riparare la spada. Un vecchio Viandante (Wotan travestito) giunge all'improvviso
alla sua porta. Il Viandante scommette con Mime la sua testa che saprà
rispondere a tre indovinelli che il nano vorrà sottoporgli, e Mime acconsente:
chiede all'ospite di nominargli le tre razze che vivono sotto terra, sulla
superficie e nei cieli. Si tratta dei Nibelunghi, dei giganti e degli dei,
risponde correttamente il Viandante. Ora tocca a quest'ultimo proporre tre
quesiti, e Mime dovrà rispondere pena la vita. Il Viandante gli chiede di dirgli
il nome della razza più cara a Wotan, ma da lui trattata più duramente, il nome
della spada che può distruggere Fafner, e il nome della persona che può
forgiarla. Mime sa rispondere ai primi due quesiti, i Valsidi e Nothung, ma non
conosce la risposta al terzo. Ciò nonostante, il Viandante lo risparmia,
rivelandogli che solo "colui che non conosce la paura" potrà riforgiare Nothung,
e sarà anche colui che ucciderà Mime. Quindi se ne va.
Ritorna Sigfrido, e subito si irrita al vedere che Mime non ha fatto alcun
progresso. Mime comprende che l'unica cosa che in quegli anni non ha insegnato a
Sigfrido è la paura, e il giovane è ansioso di apprenderla: Mime promette di
insegnargliela conducendolo dal drago Fafner. Poiché il nano non è stato in
grado di riforgiare Nothung, Sigfrido decide di provarci da solo: riunisce i
frammenti di metallo, li fonde insieme e fabbrica così una nuova spada. Mime si
ricorda delle parole del Viandante e capisce che ora sarà ucciso da Sigfrido:
non visto, prepara allora una bevanda avvelenata da offrire al giovane subito
dopo che egli avrà ucciso Fafner.
Il Viandante giunge all'ingresso della caverna di Fafner: lì si trova anche
Alberich, deciso a riprendersi l'anello. I due antichi nemici si riconoscono
subito. Alberich annuncia a Wotan i suoi piani di dominio del mondo non appena
avrà rimesso le mani sull'anello. Wotan, invece, replica che egli non ha alcuna
intenzione di tentare di impossessarsene: con grande sorpresa dell'altro,
sveglia Fafner e informa il drago che sta per giungere un eroe per combatterlo.
Fafner si fa beffe di quella minaccia, rifiuta di riconsegnare l'anello ad
Alberich, e torna a dormire. Wotan e Alberich partono.
All'alba, giungono Sigfrido e Mime. Mime si nasconde mentre Sigfrido va per
affrontare il drago. In attesa che questo si mostri, il giovane vede un uccello
della foresta posato su un albero: cerca di imitare il suo verso con una canna,
ma senza successo. Suona quindi una nota con il suo corno, che attira Fafner
fuori dalla caverna. Dopo un breve scambio di frasi, i due combattono, e
Sigfrido trafigge al cuore il drago con Nothung.
Prima di morire, Fafner si fa dire da Sigfrido il suo nome, e lo avverte di
guardarsi dal tradimento. Quando Sigfrido estrae la lama dal corpo del drago, le
sue mani sono ricoperte del sangue di Fafner, ed egli istintivamente le porta
alla bocca, assaggiandolo. Dopo averlo bevuto, riesce a comprendere il canto
dell'uccello della foresta. Facendo come questi gli suggerisce, prende
dall'antro del drago l'anello e il Tarnhelm, l'elmo magico che consente di
mutare forma e divenire invisibili. Ricompare Mime, e Sigfrido si lamenta con
lui perché ancora non ha imparato cosa sia la paura. Ansioso di mettere mano
sull'anello, Mime offre al giovane il veleno, ma tra i poteri del sangue del
drago che ha bevuto vi è anche quello di leggere il pensiero, perciò ora
Sigfrido intuisce le malvagie intenzioni del nano, e lo uccide.
L'uccello della foresta canta di una donna addormentata su una roccia circondata
dal fuoco. Sigfrido, pensando di poter forse apprendere il significato della
paura da costei, si dirige verso la sommità della montagna.
Il Viandante compare lungo il sentiero che conduce alla roccia di Brunilde ed
evoca Erda, la dea della terra. Ella, confusa, dice a Wotan di non poterlo
aiutare, ma questi l'informa di non temere più la fine degli dei, anzi, la
desidera: la sua eredità passerà a Sigfrido il Valside, e la loro figlia,
Brunilde, compirà l'impresa che redimerà il mondo. Erda sprofonda di nuovo nelle
viscere della terra.
Giunge Sigfrido, e il Viandante lo interroga. Il giovane, che non ha
riconosciuto suo nonno, risponde con insolenza e fa per proseguire verso la
cima. Il Viandate gli blocca il passo, e allora Sigfrido gli spezza la lancia
con un colpo della sua spada. Con calma, Wotan ne raccoglie i pezzi e scompare.
Sigfrido giunge infine di fronte al cerchio di fuoco e lo attraversa. Vede la
figura in armatura che giace addormentata, e dapprima pensa che sia un uomo. Ma,
dopo che ha rimosso l'armatura, si accorge che si tratta di una donna. Quella
vista per lui sconosciuta lo colpisce, non sa cosa fare, e per la prima volta
nella sua vita sperimenta la paura. Bacia Brunilde, svegliandola dal suo sonno.
Dapprima esitante, Brunilde è poi vinta dall'amore di Sigfrido, e rinuncia al
mondo degli dei. Insieme, i due cantano "l'amore lucente e la morte ridente" (leuchtende
Liebe, lachender Tod!)
Il crepuscolo degli dei (terza
giornata)
Le tre Norne, figlie di Erda, si riuniscono sulla roccia di Brunilde, tessendo
il filo del Destino. Cantano del passato, del presente e del futuro, di quando
Wotan darà fuoco al Valhalla per dare il segnale dell'inizio della fine degli
dei. All'improvviso, il filo si spezza. Piangendo la perdita della loro
saggezza, le Norne scompaiono.
All'alba, Sigfrido e Brunilde escono dalla loro caverna. Sigfrido parte per
nuove avventure, e nel salutarlo Brunilde lo prega di ricordarsi del loro amore.
Come pegno di fedeltà, egli le lascia l'anello che ha preso a Fafner. Portando
con sé lo scudo di Brunilde e montando il cavallo di lei Grane, Sigfrido si
allontana.
L'atrio dei Ghibicunghi, un popolo che vive lungo il Reno. Gunther, signore dei
Ghibicunghi, siede sul trono. Hagen, il suo fratellastro, gli consiglia di
trovare al più presto una moglie per sé e un marito per sua sorella Gutrune, e
gli suggerisce rispettivamente i nomi di Brunilde e Sigfrido. Hagen ha preparato
e consegnato a Gutrune una pozione che farà dimenticare a Sigfrido Brunilde e lo
farà innamorare di Gutrune; sotto l'effetto della pozione, Sigfrido sottometterà
Brunilde e la consegnerà a Gunther.
Giunge Sigfrido, e Gunther gli offre la propria ospitalità. Gutrune gli presenta
la pozione e l'eroe, ignaro dell'inganno, brinda a Brunilde e al loro amore, e
la beve. Perde così il ricordo dell'amata, e si innamora di Gutrune. Sotto
l'effetto della pozione magica, si offre di conquistare una sposa per Gunther,
che gli dice di Brunilde. I due giurano un patto di fratellanza di sangue, e
partono per la roccia.
Nel frattempo, Brunilde viene visitata da sua sorella, la valchiria Waltraute,
che le racconta come Wotan sia tornato un giorno dai suoi vagabondaggi per il
mondo con la lancia spezzata. In essa erano intagliati tutti i patti e i
contratti che Wotan aveva stipulato, la sua fonte di potere. Egli aveva ordinato
che i rami di Yggdrasill, l'Albero del Mondo, venissero accatastati attorno al
Valhalla, aveva mandato i suoi corvi per il mondo perché spiassero e riferissero
a lui tutte le notizie, ed ora aspettava la fine nel Valhalla. Waltraute prega
Brunilde di restituire l'anello alle Figlie del Reno, poiché la sua maledizione
sta colpendo anche il loro padre Wotan. Ma Brunilde rifiuta di separarsi dal
pegno d'amore che Sigfrido le ha lasciato, e Waltraute si allontana disperata.
Arriva Sigfrido, che ha assunto l'aspetto di Gunther grazie al magico Tarnhelm,
e pretende Brunilde come sua sposa. Nonostante la donna opponga una violenta e
fiera resistenza, Sigfrido la sconfigge, strappandole l'anello dal dito e
infilandoselo sul suo.
Hagen, sulle rive del Reno, è visitato in sogno da suo padre, Alberich:
incalzato da questi, gli giura che riuscirà a impossessarsi dell'anello.
All'alba fa ritorno Sigfrido, che ha assunto di nuovo il suo aspetto e cambiato
posto con Gunther. Hagen riunisce il popolo dei Ghibicunghi per accogliere il re
Gunther e la sua sposa.
Giunge Gunther conducendo con sé Brunilde, che rimane sconvolta al vedere
Sigfrido: notando l'anello al dito di lui, capisce di essere stata tradita. Di
fronte ai vassalli di Gunther, accusa Sigfrido, che però giura sulla lancia di
Hagen di essere innocente. Si allontana quindi con Gutrune e gli altri
cavalieri, lasciando soli Brunilde, Gunther e Hagen. Pieno di rabbia e vergogna,
pur sapendo perfettamente i fatti, Gunther è d'accordo con il fratellastro che
Sigfrido debba morire perché lui riacquisti il suo onore. Brunilde, desiderosa
di vendicarsi del tradimento di Sigfrido, si unisce alla congiura e rivela ad
Hagen l'unico punto debole dell'eroe: sebbene ella lo avesse reso invulnerabile
tramite la sua magia, aveva tralasciato la sua schiena, sapendo che non sarebbe
mai fuggito di fronte a una minaccia. Hagen e Gunther decidono di attirare
Sigfrido in una battuta di caccia e ucciderlo.
Nei boschi sulle rive del fiume, le Figlie del Reno piangono la perdita
dell'oro. Sigfrido, allontanandosi dai compagni di caccia, si avvicina alla
riva. Le ninfe lo implorano di restituire loro l'anello sfuggendo così alla sua
maledizione, ma Sigfrido le ignora. Esse si allontanano nuotando, predicendo che
Sigfrido morirà ma che la sua erede, una donna, sarà più gentile con loro.
Sigfrido si riunisce agli altri cacciatori, fra cui Gunther e Hagen. In un
momento di riposo, racconta loro le sue avventure giovanili. Hagen gli dà una
pozione che gli fa recuperare la memoria, e Sigfrido racconta di quando aveva
trovato Brunilde e l'aveva risvegliata con un bacio. Improvvisamente, due corvi
escono da un cespuglio e, mentre Sigfrido li guarda volare via, Hagen lo
trafigge alla schiena con la sua lancia. Gli altri assistono alla scena con
orrore, e Hagen si allontana con calma nella foresta. Sigfrido muore,
abbandonandosi negli ultimi istanti al ricordo di Brunilde. Il suo corpo viene
trasportato in una solenne processione funebre.
Nell'atrio del palazzo dei Ghibicunghi, Gutrune attende il ritorno del marito.
Giunge Hagen precedendo il corteo funebre. Gutrune si dispera quando viene
portato il cadavere di Sigfrido. Gunther accusa Hagen della morte di Sigfrido,
che lo ammette e va per strappare l'anello dal dito del cadavere. Quando Gunther,
desideroso a sua volta di prenderlo, fa per impedirglielo, Hagen lo uccide. Ma,
quando si china sul corpo per afferrare l'anello, la mano dell'eroe morto si
alza minacciosa, ed egli arretra terrorizzato.
Entra Brunilde, ed ordina che una grande pira funebre venga accesa accanto al
fiume, rimandando i corvi da Wotan con le tanto attese notizie. Prende l'anello
e dichiara alle Figlie del Reno di venire a riprenderlo dalle sue ceneri, una
volta che il fuoco lo avrà purificato della maledizione. Viene accesa la pira,
Brunilde monta sul suo cavallo Grane e cavalca in mezzo alle fiamme.
Il fuoco si estende mentre il Reno straripa dai suoi argini. L'anello finisce
nell'acqua: Hagen si tuffa per prenderlo e annega. Le Figlie del Reno si
allontanano a nuoto, portando l'anello trionfanti. Mentre le fiamme crescono di
intensità, si intravede nel cielo il Valhalla popolato dagli dei, anch'esso
preda di un incendio che lo distrugge. (Riassunti delle opere tratti da
Internet-Wikipedia)
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Anno
2003 (2067). Yemaja. Nella mitologia yoruba, e nei culti correlati afroamericani
come il Candomblé e il Vodun, Yemaja è la madre di tutti gli Orisha. A seconda
della tradizione, viene indicata anche come Imanja, Jemanja, Yemalla, Yemana,
Yemanja, Yemaya, Yemayah, Yemoja, Ymoja e in altre varianti. È la regina del
mare; si invoca per protezione (in particolar modo dalle donne incinte),
purificazione e aiuto in generale, chiedendone la manifestazione nel suo aspetto
più materno; un altro aspetto di Yemaja, quello distruttore, è simboleggiato dal
mare in tempesta.
La
tradizione narra che Yemaja sia nata dalla spuma del mare (come Venere); la sua
figura si può far corrispondere a quella generale della "Grande Madre", propria
di numerose tradizioni.
Ha
insegnato l'amore a tutti gli Orisha, è sposata con Babalú Ayé. Tra le
caratteristiche che la contraddistinguono vi sono la passione per la caccia,
l'astuzia, l'indomabilità, la collera, la severità, l'allegria. Le sono
associati i colori bianco e il blu; nei sincretismi viene identificata con la
Vergine della Regola. I suoi fedeli, prima di pronunciare il suo nome, devono
toccare con i polpastrelli la polvere della terra.
Tra i
suoi attributi vi sono la luna e il sole, l'ancora, il salvagente, le scialuppe.
Veste abitualmente con una lunga veste azzurra con serpentine simboleggianti il
mare e la spuma e regge un ventaglio adornato con conchiglie.
Dea
madre e patrona delle donne, specialmente di quelle in gravidanza, è patrona
anche del fiume Ogun, le cui acque si dice che riescano a curare l'infertilità.
I suoi genitori sono Oduduwa e Obatala. Suo figlio Orungan la violentò una volta
e ci riprovò una seconda; per impedire questa violenza, Yemaja partorì quindici
Orisha, inclusi Ogun, Olokun, Shopona e Shango.
Tra gli
Umbandisti, Yemaja è la dea dell'Oceano e dea patrona dei sopravvissuti ai
naufragi.
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2012 America del UPAEP - Miti e Leggende El negrito
del pastoreo. La flor de ceibo
El Negrito del pastoreo.
E’ la leggenda rielaborata dallo scrittore-poeta Serafin García
( vincitore di un premio alla Fiera internazionale del libro di Bologna.
Esistono
altre versioni nel sud del Brasile, nelle quali la trama è molto
diversa.
Questa versione racconta la storia di un bambino schiavo africano che aveva
trovato miracolosamente una pecora allontanatasi dal gregge in una notte di
tempesta. Oggi, il piccolo pastore africano è ancora invocato dai contadini
della regione, quando si perde qualcosa. Basta loro accendere una candela per
invocare il suo aiuto.
Nel valore, ricavato da un dipinto di Silvia Segundo con la tecnica
dell'acrilico su legno, la scena è quella di un bambino africano, con ali e
aureola di un angelo, mentre abbraccia una pecora. Ai suoi piedi un serpente,
alcuni uccelli, e un armadillo. Sullo sfondo una casa e un campo.
La Flor de Ceibo.
Nell’America latina esistono diverse versioni della
leggenda. Ecco quella Argentina.
Sulle rive del fiume Paranà viveva una piccola indiana piuttosto brutta
chiamata Anahi. Nei pomeriggi estivi dilettava tutta la tribù con le sue
canzoni ispirate agli dei e all’amore verso la terra di cui erano padroni. Con
l’arrivo dell’uomo bianco le terre furono saccheggiate e le tribù espropriate
selvaggiamente dei loro idoli e della loro libertà.
Anahì fu presa in cattività
insieme ad altri indigeni. Pianse per molti giorni e molte notti finchè un
giorno la sentinella che la sorvegliava si addormentò e lei tentò la fuga.
L’uomo però si risvegliò mentre lei stava per fuggire. Anahí per riuscire nel
suo obiettivo, trafisse con un pugnale il petto della guardia e scappò
rapidamente nella selva. Le grida del carceriere moribondo destarono gli altri
spagnoli che si diedero alla caccia di Anahí che fu catturata e punita con la
morte. Fu legata ad un albero e il fuoco fu appiccato. Il fuoco sembrava non
volesse toccare la piccola indiana che soffriva in silenzio. Quando il fuoco
cominciò a salire, Anahí diventò un albero.
Il giorno dopo, all’alba i
soldati videro che sull’albero bruciato il giorno prima erano spuntate foglie
verdi lucide e fiori rossi vellutati, simbolo di coraggio e forza
dinanzi alla sofferenza.

USA
1966 (810)
Leggenda:
Johnny
Semedimela
John
Chapman, pioniere statunitense, meglio conosciuto
col nome di Johnny
Appleseed (italianizzato in
Gianni Semedimela),
fu un ambientalista ed un ecologista. Durante le numerose esplorazioni delle
zone selvagge del Middle West (Ohio, Indiana, Illinois), era solito seminare
ovunque semi di mele che venivano usate per la produzione del sidro. Sembra ne
abbia piantato a decine di migliaia. Di lui si raccontano avventure diverse:
che vivesse in modo selvaggio, fosse amico degli indiani, si nutrisse solamente
con i prodotti della natura. Di carattere eccentrico, si dice che portasse come
copricapo una pentola a mo’ di elmo, divenne un personaggio leggendario, tanto
da essere ricordato in canzoni, ballate, opere letterarie, film e fumetti.
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1967 (833) Davy Crockett
Naque in Tennessee da una famiglia di coloni molto poveri. La
sua infanzia e adolescenza non furono perciò delle più felici, dovendo egli
aiutare il padre nel lavoro. La sua grande passione era la caccia e diventò
famoso come cacciatore di orsi. Viene spesso raffigurato con pantaloni di
cuoio e giacche di pelle di daino o camoscio, intorno alla vita porta un
grosso cinturone con un pugnale e in testa un berretto di pelle di procione.
Non si separava mai dal suo fucile.
Nel settembre del 1813 partì per raggiungere il generale Andrew
Jackson, impegnato nella guerra contro una tribù di indiani Creek, pronti ad
attaccare un villaggio di coloni. Davy si battè con coraggio e astuzia,
riuscendo a sopperire ai piani fallimentari di Jackson e infine sconfiggere i
pellerossa. La sua impresa gli permise di essere eletto prima giudice di pace,
poi colonnello. Fece parte del Congresso americano e, sconfitto alla terza
legislatura abbandonò la politica.
Lasciato il Congresso, decise di partire per Alamo con una
compagnia di sedici soldati, pronti a combattere per l'indipendenza del Texas
dal Messico. La battaglia di Alamo fu memorabile e Davy Crockett lottò come
una furia insieme a patrioti uniti per la causa. La sera del 5 marzo 1836
cinquemila messicani comandati dal generale Sant'Anna accerchiarono il forte e
riuscirono ad aprire una breccia. Gli assediati vennero tutti trucidati e
Crockett andò incontro alla morte da eroe.
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1968
(800)
Leggenda:
Daniel Boone
Fu un esploratore leggendario, famoso per le sue esplorazioni
nel Kentucky, dove, nonostante la resistenza indiana, fondò l'insediamento di
Boonesborough, vicino ai monti Appalachi. Combatté col grado di ufficiale
durante la Guerra di indipendenza americana. Negli anni Sessanta sulla sua
figura fu prodotta una serie televisiva . Il ruolo del pioniere fu affidato
all’attore Fess Parkert , che già in precedenza aveva interpretato un altro
personaggio leggendario: David Crockett.
1974 (1038) La leggenda di Sleepy Hollow.
La leggenda di Sleepy Hollow,
anche conosciuta come La leggenda della valle addormentata, è un
racconto dello scrittore americano Washington Irving contenuta in The
Sketch Book of Geoffrey Crayon, Gent. scritta a Birmingham in Inghilterra
e pubblicata per la prima volta nel 1819.
La storia si svolge all'incirca nel 1787 nella colonia olandese
di Tarrytown presso una valle isolata chiamata Sleepy Hollow o
Valle addormentata.
Racconta la storia di Ichabod Crane, uno strano maestro di
scuola del Connecticut, deriso da Abraham "Brom Bones" Van Brunt, suo rivale
in amore per la mano di Kathrina Van Tassel, di 18 anni, figlia di Baltus Van
Tassel, un colono di origine olandese.
Nella storia si inserisce la leggenda del "cavaliere senza
testa", il fantasma di un cavaliere dell'Assia che perse la testa per via di
un colpo di cannone durante "una qualche battaglia senza nome" nella Guerra
d'indipendenza statunitense e che cavalca durante la notte nella bramosa
ricerca di una testa nei pressi della chiesa olandese e del cimitero della
Valle addormentata.
Crane, invitato alla festa di Kathrina, ascolta dei racconti
horror, fra cui quello sopracitato, e, al ritorno, perduta la sella, si
ritrova inseguito dal cavaliere decapitato, che lo colpisce al capo con la sua
testa. Ma al mattino, i soccorritori trovano solo il berretto di Crane e una
zucca (presumibilmente la "testa"). Crane sparisce "misteriosamente" da quel
momento. Un suo conoscente, anni dopo, riferirà di averlo incontrato a New
York, ricco e famoso per dei successi politico-professionali. Il finale lascia
trapelare un coinvolgimento di Brom Bones nell'affare del cavaliere decapitato
e della fuga-sparizione di Crane, che però potrebbe essersi allontanato
semplicemente per non dover rendere conto al suo padrone della sella perduta.

1996 (2525/8) Eroi Leggendari:
Pecos Bill
Paul Bunyan. John Henry.
Paul Bunyan.
Leggendario taglialegna gigantesco le cui straordinarie
imprese, compiute sempre in compagnia di Babe, un enorme bue azzurro, hanno
formato una vera e propria saga burlesca, popolarissima negli Stati Uniti. Su
una primitiva, genuina tradizione orale, proveniente dalle zone boscose del
Michigan o forse dell' Oregon, si è innestato, a partire dai primi anni del XX
secolo, tutto un filone di racconti, di taglio giornalistico, basati sulle
smisurate imprese dello straordinario eroe. Emulo di Gargantua, Paul Bunyan
incide sulla geografìa americana i segni del proprio passaggio: scava
inavvertitamente il Grand Canyon nel trascinarsi dietro il proprio rampone da
taglialegna oppure crea il Mississippi da una falla apertasi nell'abbeveratoio
di Babe. L'enorme produzione giornalistica e libraria su Paul Bunyan è
prevalentemente di pura invenzione ed ha il solo scopo di divertire i bambini.
Ma è interessante per seguire il processo di nascita di una leggenda
contemporanea. In mancanza di una antica mitologia di super eroi (come Thor,
Ercole, Gargantua), che fosse propria degli abitanti bianchi degli U.S.A.,
questi se ne sono foggiati una su misura, amplificando l'immaginazione
popolare attraverso i mass-media e creando perfino delle pseudo-ritualità,
come il Paul Bunyan's Day.
John Henry.
Si tratta di una leggenda folkloristica americana, ma sono in molti a pensare
che si basi su un fatto realmente accaduto. Narra la vicenda di John Henry un
manovale presso una compagnia ferroviaria che, trovandosi di fronte alla
possibilità di rimanere senza lavoro (e con lui centinaia di persone) a causa
di una delle prime macchine industriali a vapore, sfidò la macchina con un
martello per mano e ne uscì vincitore. Purtroppo il suo cuore non resse allo
sforzo e morì tra le braccia di sua moglie Polly Ann
Pecos Bill. Fu un personaggio
leggendario dei fumetti, creato nel 1949 da Guido Martina e da un team di
validi disegnatori che lo tennero in vita fino al 1965, ‘costruendo’ su di lui
una serie che occupa 165 albi. Pecos Bill è un cowboy allevato dai
coyotes del deserto, che raddrizza ogni torto usando solo la forza fisica e
mai le armi, tranne il suo fedele lazo. Il successo fu grandissimo,
anche perché si credette inizialmente che a disegnare le tavole fossero degli
illustratori americani, a causa delle accurate, documentate e precise
ambientazioni.
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UZBEKISTAN
Storie,
miti popolari e leggende, costituiscono il patrimonio culturale di ogni
nazione e quello dell'Uzbekistan si presenta ricco di miti e di eroi. Per secoli,
la gente continuò a tramandarsi storie di grandi gesta, di eroi leggendari, di
magnifici palazzi abitati da belle donne. Molte le storie, i canti, le poesie,
le epopee in cui veniva esaltato il coraggio e il valore degli eroi
nazionali:
Shirak, Tomiris, Jaloliddin Manguberdi erano personaggi storici, le cui
prodezze divennero presto leggende. La vita di queste grandi persone come
Tamerlano sono coperte anche con molti miti, che affascinano da sempre. Ogni monumento storico in Uzbekistan è
legato ad uno di essi. Essi rappresentano la concezione del mondo
degli antenati uzbeki. Spesso i
miti e le leggende sono l'unica fonte che ci può raccontare la storia passata
perché aprono luci sui misteri che circondano le generazioni passate. Le antiche città di Samarcanda, Bukhara, Khiva
sono avvolte da misteri e superstizioni, che alla fine sono stati incarnati in
miti e leggende.
Le storie sull’Antica Samarcanda e il segreto della tomba di Tamerlano,
affascinano tutt’ora la gente. Sia le religioni
dell'Asia centrale, sia gli insegnamenti pre-islamici e islamici, hanno avuto
una grande influenza su miti e leggende di Uzbekistan. Il mito di Mashad di
Kussama a Shakhi Zinda ,
la leggenda di
Chashma Ayub a Bukhara, la
leggenda della Khoja
Danier a Samarcanda sono solo alcuni esempi di miti religiosi e
di leggende sui santi.
(Vedere: Luna d’oro. Fiabe e
leggende dell’Uzbekistan, Editrice Marcos y Marcos, 1986, Collana Le
foglie n. 1.)
1995 Scene tratte da fiabe:
Lo sciocco. Il grande melone. La cicogna sul nido. Mille trecce. Storia di un
pappagallo.
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1998 (108/116) Leggenda: Alpamysh
La leggenda di Alpamysh,
racconta la storia della vita di un eroe e gli eventi prima della sua nascita
con una ricca descrizione di storie intriganti. La sua trama base, tuttavia,
può essere suddivisa in varie fasi. In primo luogo, la vita dei genitori di
Alpamish della tribù Kongrat i quali , compiono un pellegrinaggio per
propiziarne la nascita. Divenuto adulto , Alpamysh, scopre i disagi causati
dai nemici, in particolar modo da Kalmyk khan, nei confronti della sua gente,
si ribella ma cade prigioniero. Trascorre sette anni in una prigione
sotterranea di Kalmyk khan, aiutato da Kaykubat, un pastore che ha scoperto casualmente la sua
posizione. La figlia del Kalmyk khan visita Alpamysh nella sua cella,
si innamora di lui e lo aiuta a sottrarsi alla prigionia. Liberato, Alpamysh
affronta Taycha-Khan, lo uccide, e mette il pastore Kaykubat sul trono.
Ritornato dalla sua
gente scopre che durante i sette anni di assenza, il capo della tribù Kongrat
era diventato il suo fratello più giovane, Ultantaz. Il nuovo sovrano stava però
tiranneggiando e perseguitando il suo popolo, disonorando così il vecchio
padre di Alpamysh. Inoltre cerca di costringere con la forza una giovane,
Barchin, a sposarlo.
Alpamysh, celato sotto mentite spoglie, in compagnia di un suo vecchio servo,
il pastore Kultay, passa inosservato e, proprio quando i due stanno per
sposarsi, si prsenta alla celebrazione del matrimonio di Ultantaz, libera la
giovane Barchin e uccide il fratello. TLa storia termina con il ritorno dall'esilio di Baysari,
il padre di Barchin, e la riunificazione sotto la guida di Alpamysh della
tribù Kongrat precedentemente divisa.
1999 (124/30+BF 15) Fiaba Badal Korachi
(I 3 fratelli)
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VENEZUELA
1997 (10 valori + BF) Favole: Tio Tigre y Tio Conejo
1998 (2073 +BF) Favole. Cucarachita Martinez e Raton
Perez
Per continuare
i racconti
della serie
per bambini iniziata nel 1977 con le storie di Tio Tigre e Tio Conejo
le Poste venezuelane hanno selezionato
lo scarafaggio
Cucarachita Martinez e il topo Perez,
due
personaggi
di grande prestigio
nel mondo della
fiaba
venezuelana,
i quali, come i precedenti,
sono giunti dal passato, tramandati oralmente e oggi ampiamente
utilizzati
da
scrittori diversi
per intrattenere
bambini e adulti.
Entrambe le storie fanno parte del libro scritto da
Antonio
Arraiz nel 1945, pubblicato a cura del Ministero
della Cultura e dell'Educazione Nazionale
del Venezuela.
Dieci
scene per ognuna delle due storie (più due foglietti)
riporta sul retro del valore la didascalia dell’immagine, componendo così una
storia completa e ogni francobollo un elemento separato di esso.

VIETNAM
1987 (780/7) La leggenda di Son Tinh Thuy Tinh.
Domanda di matrimonio. La fanciulla. Il giovane a cavallo. L'inondazione. Gli
elefanti. I portatori di tappeti. I boscaioli. Vittoria e festa della
mietitura. Pulitura del riso. Barche con frutta e rano. Scena con barche.
Uccelli e sole.
Sơn Tinh e Thuy Tinh - il
Dio della Montagna e il Dio dell'Acqua - sono uno dei più famosi miti
vietnamiti. Il mito spiega la frequenza delle maree e delle
inondazioni devastanti in zone tropicali e monsoniche. Son Tihn è anche uno dei quattro Immortali.
Il mito racconta che
il 18 ° re della dinastia Hong
Bang aveva una bellissima figlia di nome Mia
Nuong . Quando diventò una
donna, il re cercò di organizzare il suo matrimonio. Voleva trovare per lei un giovane che non solo fosse bello,
ma anche intelligente e così indisse un
concorso per trovare il pretendente. Molti principi,
scrittori famosi, grandi artisti, ricchi uomini d'affari, persone di talento
si presentarono a corte.
Tra loro c'erano due uomini straordinari:. Son Tinh, il Dio della Montagna, e
Thuy Tinh, il Dio dell’acqua. Ad bentrambi il re chiese di palesare i loro
poteri. Son Tinh fece un gesto con le mani creando
dal nulla alberi, foreste e montagne. Thuy Tinh mostrò come con un gesto della
sua mano poteva scatenare le onde del mare e la forza dei venti. Poichè i
poteri si equivalevano il re disse che colui che, all’indomani avesse portato
per primo i regali di nozze avrebbe sposato la principessa. Nei regali di nozze
dovevano essere inclusi nove zanne di elefante, nove speroni di gallo e nove
criniere di cavallo. Per primo arrivò, Son Tinh che
portò via con sé Mia Nuong e con lei si avviò verso il suo palazzo sulla
montagna Tan Vien, dove viveva. Thuy Tinh arrivato pochi minuti dopo, resosi conto di aver perduto, si infuriò e inseguì il
rivale con i suoi servi. Col suo potere chiamò
in aiuto i venti, la pioggia e il mare. Son Tinh
per sfuggire alla marea che saliva, usò la sua magia per salire sulla montagna
più alta. In quella lotta le alluvioni e lo tsunami distrussero tutte le
terre e le case. Son Tinh creò dighe per proteggere
le persone e le loro proprietà. La battaglia tra i due Dei
durò più giorni e alla fine Thuy Tinh ordinò alle acque di ritirarsi. Tuttavia, non abbandonò mai
l’idea di vendicarsi. Così ogni anno, le persone devono subire inondazioni in
conseguenza dell’amarezza eterna di Thuy Tinh e del suo desiderio di vendetta.
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1989 (977/81) La
leggenda di Giong. Giong tra le braccia della madre. Giong descrive a un
montanaro i disastri della guerra. Partenza Cavallo. Toglie un bambù dal
gioco. Ritorno trionfale col bambù.
Molto tempo fa, sotto il
regno del re Hung VI, c'era una vecchia coppia sposata che viveva in un
piccolo villaggio. Non avevano figli ma ne desideravano uno. Un giorno la
moglie andò nel campo di riso a lavorare e vide una enorme impronta per
terra. Era così grande che ritenne fosse stata lasciata dal piede di un dio.
Tornata a casa lo disse al marito e dopo un po’ di tempo si accorse di essere
incinta. Dopo nove mesi il bambino non venne alla luce e dovettero attendere
altri tre mesi perché nascesse. Lo allevarono amorevolmente, ma il bimbo non
parlava, non rideva e non piangeva. Quando il bambino aveva tre anni, c'è fu
una invasione da parte di un popolo nemico che distrusse villaggi e uccise
molte persone. Il Re, preoccupato, si recò in ogni villaggio per raccogliere
soldati e trovare uomini valenti per espellere l’invasore. Giunto nel
piccolo villaggio il bimbo disse alla madre di invitare il re in casa sua. La
donna, stupita per udire la sua voce per la prima volta, ubbidì. Di fronte al
re il bambino disse: “Dammi un cavallo di ferro, un bastone di ferro e di una
corazza di ferro e caccerò via l’invasore”. Il re lo accontentò. Da quel
momento il bimbo cominciò a mangiare continuamente tanto che i genitori,
poveri, dovettero chiedere aiuto a tutti i vicini di casa. La statura del
bimbo cominciò a svilupparsi rapidamente e ad aumentare smisuratamente e così
pure la sua forza. Diventato una specie di gigante, prese le armi che il re
gli aveva donato e, inforcato il cavallo, salutò i genitori e gli amici e si
avviò contro il nemico. Ne sterminò un mucchio prima che la spada si
spezzasse. Ma non per questo tralasciò di battersi usando grosse canne di
bambù. Il nemico di fronte a quella furia umana, dovette fuggire. Solo allora
ritornò dai suo genitori, li abbracciò, salutò e disse addio a tutta la sua
gente e si involò verso il cielo sul dorso del cavallo e nessuno lo vide più.
Il paese era di nuovo in pace. La gente era felice. Per gratitudine al
paese dove era nato fu dato il suo nome e venne deciso che, annualmente, si
tenesse una grande festa nel quarto mese lunare per celebrare Thanh Giong
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1990(1134/9) La leggenda
di Tach Sanh. Il ritorno dalla foresta. Il mercante di elisir. Uccide un
serpente. Uccide l'uccello che rubò le marionette. In prigione suona il liuto.
Una coppia fortunata.
Dopo la morte dei genitori Thach Sanh ereditò una misera casupola e il martello lasciatogli dal padre.
Non
possedeva altro tranne una notevole abilità nell’arte del kunfu di cui
conosceva tutte le sfumature. Viveva da solo nella foresta e avvertiva una
profonda solitudine. Un giorno passò nei pressi della capanna un ricco
commerciante che, avendo visto Thach Sanh trasportare un enorme fascio di
legna , pensò bene di utilizzare l’enorme forza del giovane per i suoi affari
e lo invitò a seguirlo. Lo avrebbe preso sotto la sua protezione come un
figlio assieme a quello che già aveva.
Thach
Sanh fu contento di accettare quella proposta perché così non sarebbe vissuto
più da solo. Nel villaggio dove andò ad abitare c’era un orco cui la gente
del villaggio doveva annualmente offrire in dono un giovane. Purtroppo, un
anno toccò al figlio del suo padrone, Ly Thong, a dover essere portato al
tempio per essere sacrificato all’orco. Il mercante e sua moglie gli chiesero
di accompagnare il fratello adottivo al tempio e di tenergli compagnia per
tutta la notte.
A metà notte, quando Thach Sanh stava sonnecchiando vicino al tempio apparve
l’orco che tentò di catturarlo con i suoi artigli affilati. Usando le sue
conoscenze nell’arte del kunfu e il martello del padre, riuscì ad uccidere il
mostro. Gli tagliò la testa, la treccia d’oro che aveva sulla testa e si mise
a tracolla la faretra dell’orco che conteneva una freccia d’oro e con quei
trofei si avviò verso il tempio per rassicurare il fratellastro e sua madre
che lo aveva accompagnato. Li chiamò per dir loro che il mostro era morto,
ma i due sentendo la voce di Thach Sanh pensarono che fosse solo l'anima
della vittima che tornava per a vendicarsi. Thach Sanh, entrato
nel tempio li rincuorò e raccontò quello che era successo. Allora i due gli
svelarono che quello che aveva ucciso era parente del re e gli era molto caro,
per cui doveva fuggire e ritornare alla sua casetta nei boschi se non voleva
essere punito dal re. Il giovane ubbidì e lasciò loro la testa dell’orco e la
treccia d’oro e partì con la faretra e l’arco. In verità madre e figlio
avevano detto il falso perché sapevano che il re avrebbe premiato colui che
avesse liberato il paese dal mostro. Cos’ quando Ly Thong gli portò la testa
dell’orco come prova della sua morte il re lo premiò nominandolo duca per
aver liberato il suo popolo da un simile mostro.
Il
re a quel tempo aveva una figlia graziosa e nubile. Molti principi limitrofi
avevano chiesto invano la sua mano. Un giorno
mentre passeggiava nel giardino reale, la principessa fu rapita da un enorme
aquila che la portò nel suo nido situato in un profondo burrone. Qualche
giorno dopo Thach Sanh vide l'aquila che con una preda tra gli artigli
ritornava al suo nido dove teneva prigioniera la principessa. La seguì, le
scagliò una freccia e l’uccise. In quel momento Ly Thong, che
aveva avuto dal re l'incarico di trovare la principessa, non sapendo cosa
fare, accompagnato da un drappello di soldati, era venuto a cercare aiuto da
Thach Sanh. Thach Sanh fu ancora una volta onesto e raccontò a Ly
Thong quello che aveva fatto e gli disse di conoscere il posto dove si
trovava il nido dell’aquila. Il fratellastro gli chiese di fargli da guida.
Per raggiungere il nido occorreva calarsi dall’alto in un profondo dirupo e si
dovevano usare delle corde. Ly Thong e Thach Sanh entrarono. Legarono la
principessa con una corda e all’altra si legò Ly Thong. I soldati li tirarono
su. A questo punto Ly Thong non calò più la corda e abbandonò il fratellastro
al suo destino. Tornato dal re questi gli propose la mano della figlia,
ma questa non ne volle sapere e cominciò a deperire.
Intanto Thach Sanh, aiutato
dall’Imperatore di Giada, che abitava al centro del cielo, era riuscito a
fuggire dalla caverna ed era ritornato alla sua povera casa nella foresta.
Ed ecco che lo spirito
dell’aquila cominciò a vagare senza pace per la foresta dove incontrò lo
spirito dell’orco ucciso da Thach Sanh. I due, che odiavano Thach Sanh, si
misero d’accordo ed escogitarono la loro vendetta.
“Se riusciamo a rubare i
gioielli dalla stanza del tesoro del re e li nascondiamo nella capanna di
Thach Sanh, e poi andiamo a denunciarlo come autore del furto di certo le
guardie del re lo imprigioneranno e il re lo condannerà a morte”. E così
infatti fecero.
Rubarono alcuni dei più bei
gioielli del re e li nascosero della capanna di Thach Sanh e poi chiamarono le
guardie.
Le guardie vennero e
trovarono i gioielli. Arrestarono Thach Sanh e lo condussero incatenato a
palazzo gettandolo nella più oscura cella del castello.
L’unico spiraglio di libertà
per il prigioniero era ormai diventato il suo canto. Un canto triste e
desolato perché sapeva che presto, pur innocente, sarebbe stato condannato a
morte. La sua voce malinconica si innalzava la sera in canti mesti e pieni di
nostalgia. Fu allora che dalla sua stanza, la principessa Quynh Nga, anch’essa
pervasa da tristezza, lo sentì e riconobbe la voce del suo salvatore. Subito
corse dal re suo padre. “E’ la voce del mio salvatore, padre mio, è quella di
Thach Sanh, ne sono sicura, è lui che mi ha salvato, ed è a lui solo che io
andrò sposa”.
Il re incredulo fece chiamare il giovane e quando vide la figlia gettarsi tra
le sue braccia, ne fu commosso. Si fece raccontare tutta la storia, della
povertà, dell’orco, dell’aquila e della malignità di Ly Thong, che subito
fece chiamare e gettare in prigione, e acconsentì infine alle nozze dei due
giovani. Il re diede poi a Thach Sanh il compito di giudicare Ly Thong e
condannarlo secondo il suo intendimento; ma Thach Sanh si limitò a scacciarlo
dalla reggia intimandogli di andarsene nella foresta. Ly Thong partì ma sulla
strada fu sorpreso da una violenta tempesta e fu ucciso da un fulmine. Il suo
spirito si reincarnò in uno scarafaggio.
La
favola si conclude comunque con un lieto fine: il matrimonio di Thach Sanh con
la principessa .
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1993 (1365/70) Racconti popolari La leggenda di
Tam e Cam
Si tratta della fiaba Cenerentola in versione orientale.
La storia è divisa in due parti. La prima parte riguarda la vita di Tam prima
di sposare il re. La seconda parte è quello che è successo dopo il matrimonio.
Questa parte è assai truculenta in quanto contiene un omicidio e un episodio
di cannibalismo.
Un vedovo, padre di una ragazza di nome Tam, passò in seconde nozze. Dalla
nuova unione nacque una bimba, cui fu dato il nome di Cam, e il padre riversò
su di lei tutto l’affetto che prima era riservato a Tam. La moglie che già
odiava la figliastra perché era assai più bella di Cam, ne approfittò subito
per costringere Tam ad occuparsi di tutti i lavori più pesanti.
Un giorno, la matrigna mandò Tam e Cam a pescare, promettendo di premiare con
un nuovo yem (scialle) colei che avrebbe catturato la maggior parte di
pesci. Cam sapeva che sua madre non l'avrebbe mai punita e si limitò a
divertirsi a nuotare, mentre Tam pescava. Poi, prima di tornare a casa con uno
stratagemma Cam rubò il pesce pescato dalla sorellastra e fu premiata.
Dopo aver scoperto che era stata ingannata, Tam chiese l’aiuto alla Dea della
misericordia che la confortò. Le disse di prendere l’unico pesce che era
rimasto nel suo cestino, una carpa, di metterla nel pozzo e di recitare una
speciale poesia. Ogni giorno doveva portare del cibo al pesce e recitare la
poesia. La matrigna insospettita la seguì, vide che dava da mangiare un pesce
e la udi mormorare dei versi. Quando Tam se ne andò, si recò al pozzo, ripetè
i versi che aveva udito e la carpa affiorò. La donna la prese, l’uccise e la
cucinò per condire il riso.
Quando Tam scoprì quello che era successo, scoppiò in singhiozzi. La Dea della
Misericordia apparve di nuovo a Tam e la consolò. Le disse di salvare la lisca
della carpa e di dividerla in quattro parti e di seppellirli in quattro vasi
separati sotto ogni angolo del suo letto.
Poco tempo dopo, il re ha proclamò il ballo di corte cui erano invitate tutte
le fanciulle. Solo la matrigna e la sorella poterono parteciparvi perché quel
giorno Tam doveva svolgere un pesante lavoro. Mentre vi si dedicava la Dea
della Misericordia apparve di nuovo. Dai vasi trasse abiti, un paio di
pantofole, una carrozza e un cavallo. Tam potè così partecipare alla festa
senza che la madre e la sorellastra la riconoscessero in quei sontuosi abiti.
Di ritorno perse una pantofola attraversando un torrente. Galleggiando la
pantofola giunse sino al giardino del re. Questi, incuriosito, disse che
avrebbe sposato la ragazza il cui piede fosse della misura della pantofola e
Tam, vestita come la fanciulla che aveva partecipato al ballo e , soprattutto,
calzando l’altra pantofola, sposò il re.
(Sin qui la favola ripercorre quella della Cenerentola di Perrault. La
parte che segue è legata solo alla versione fiaba orientale).
Diventata regina Tam dinostrò il suo dovere filiale e andò a far visita alla
sua famiglia per onorare il padre e la matrigna. In quell’occasione la
matrigna le chiese di salire su un albero di Areca per raccogliere foglie di
Betel. Tam obbedì e mentre saliva, la matrigna prese una scure e tagliò
l'albero in modo che Tam cadde e morì. Per tradizione, Cam doveva prendere il
suo posto a palazzo e divfentò la nuova moglie del re. Di Tam non rimase
njulla tranne che la sua anima si reincarnò in un usignuolo che seguì la
sorella a palazzo.
Il re rimase era triste e inconsolabile per aver perso la moglie e non si
curava di Cam. Un giorno, una cameriera vide appesa al sole la tunica del re e
udì il canto di un l'usignolo che le ricordava di stare attenta nel pulire
l'abito di suo marito. Il canto dell’uccello affascinò tutti coloro che
ascoltavano e attirò anche l'attenzione del re. Il re chiamò l'usignolo e gli
disse di posarsi sulle ampie maniche della veste se davvero era lo spirito
della sua defunta moglie. L'usignolo fece esattamente come il re aveva
chiesto. Fu messo in una gabbia d'oro, dove il re trascorse la maggior parte
dei suoi giorni ascoltando le canzoni che cantava solo per lui. Cam, di fronte
a quella situazione, diventò sempre più furibonda e chiese a sua madre cosa
doveva fare. Sua madre le disse di prendere l'uccello di ucciderlo e di darlo
in pasto al gatto. Cam fece quellon che le era stato detto: uccise l’usignolo,
lo spiumò e gettò le piume vicino al cancello del palazzo.
Dalle piume rosa nacque un bellissimo albero di cedro bianco. La sua ombra era
così rilassante che il re ordinò un'amaca da porre sotto l’albero dove poteva
sognare la sua defunta moglie Tam. Cam, gelosa, chiese di nuovo alla madre che
cosa avrebbe dovuto fare e quella le ordinò di abbattere l’albero per farne un
telaio. Ma quando si sedette per la prima volta davanti ad esso per tessere
udì una voce che l’accusava di averle rubato il marito.
Seguendo il consiglio di sua madre, Cam bruciò il telaio e seppellì le sue
ceneri molto al di fuori del palazzo. Da quelle ceneri nacque un albero di
cachi rosa che produsse un solo magnifico frutto. Una povera vecchia, che
lavorava come venditrice di acqua, un giorno vide il frutto cadere. Mentre si
apprestava a raccoglierlo e sentì una voce che le diceva di prendere pure il
frutto ma non doveva mai togliergli la buccia per mangiarlo. La vecchietta
ubbidì e lo portò con sé a casa per poterlo solo ammirare tanto era bello. Il
giorno dopo, l'anziana donna, quando tornò a casa dalle sue commissioni,
scoprì che lavori domestici erano stati fatti da qualche sconosciuto e un
pasto caldo era pronto sul tavolo in attesa di lei. La situazione si ripetè
per un mese. La vecchietta , curiosa, decise di scoprire chi fosse il suo
benefattore. Fece finta di andarsene, ma rimase indietro a spiare. Vide Tam
emergere dal frutto e cominciare a fare le faccende di casa. Allora corse
subito a prendere il frutto e lo sbucciò così Tam rimase sempre con lei.
Un giorno, il re, smarritosi durante la caccia, si fermò davanti alla capanna
della vecchia, chiese asilo. La vecchia gli offrì del betel, e quando il re
vide come il betel era stato preparato, si ricordò che quello era il modo con
cui la sua defunta moglie lo aveva sempre preparato. Di fronte a quelle foglie
di betel che sembravano proprio ali di una fenice, chiese chi lo avesse
preparato.. La vecchia rispose che era sua figlia. Il re ordinò di poterla
vedere e si trovò di fronte a Tam. Felicissimo portò con sè Tam nel palazzo
come prima moglie.
Più tardi, quando Tam, tornata a palazzo, aveva ripreso il suo posto di
regina, la sorellastra , che voleva riconquistare il re, le chiese quale fosse
il segreto della sua bellezza. Tam le rispose che bastava fare un bagno in
acqua calda. Cam, pensando che quanto più l’acqua fosse più calda, tanto più
sarebbe diventata bella e desiderando essere bellissima si immerse in acqua
bollente ...e morì.
Il suo corpo fu poi tagliato a pezzi per essere conservato, messo in una
grossa anfora e inviato alla matrigna. Costei, pensando che si trattasse di
cibo, lo aprì e cominciò, un npezzettino per giorno, a mangiarne il contenuto.
Un giorno, un corvo volò sul tetto della casa della matrigna gridando:
"Deve essere proprio delizioso quel cibo se una madre mangia la carne della
propria figlia! Ne è rimasto qualche pezzettino anche per me ?".
La matrigna si incuriosì e corse a rimestare nella grossa anfora finché,
raggiunto il fondo del vaso, vide la testa di sua figlia Cam. Di fronte a
quella vista morì.
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1995 (1564/67) La favola di Betel e Areca.
La droga chiamata betel
è costituita da tre ingredienti essenziali: la foglia di betel (Piper betel),
la “noce” di areca (Areca catechu), che in realtà è l’endosperma del
seme di questa palma, e il calcare. L’insieme congiunto dei tre elementi
produce l’effetto di questa droga, che ha un’area di diffusione che si estende
dal Madagascar all’India, all’Indocina, sino alla Nuova Guinea e diverse isole
del Pacifico. Ogni regione ha un sua particolare leggenda sull’origine della
droga. In Vietnam se ne raccontano due.
C’erano una volta due
fratelli che si assomigliavano come due gocce d’acqua. Erano bellissimi e
provavano l’un per l’altro un affetto così tenero, che erano soprannominati la
coppia tartarughe-granchio, poiché di queste non si trova mai l’una
senza l’altro.
Uno di loro si sposò. Durante
la sua luna di miele, riportando tutto il suo amore sulla sua nuova compagna,
trascurò colui a cui era unito da legame di sangue. Costui, indispettito,
decise di andare a consolarsi in un luogo che non fosse mai stato calpestato
da piede d’uomo. A questo scopo, uscì una mattina prima dell’alba e camminò
sempre dritto. Dopo alcuni giorni di cammino, spossato dalla fatica e dalla
fame, cadde sulla strada, dove non tardò a soccombere. Il suo cadavere fu
trasformato in un grosso blocco di calcare.
Quando il fratello sposato
decise un giorno di vedere suo fratello, non lo trovò più. Si mise allora a
cercarlo dappertutto, fra i parenti e anche nel villaggio, ma senza trovarlo.
Una mattina, uscito di casa si avviò per cercarlo una ennesima volta. Il caso
volle che intraprendesse il medesimo cammino del suo sfortunato fratello. Dopo
molte ore di marcia senza tregua né riposo, privo di forze, morendo di fame e
di sete, si trascinò penosamente sino a un masso di calcare che aveva visto
all’orizzonte. Ma là la sua debolezza aumentò e riuscì solo a distendersi sul
masso, dove morì. Il suo cadavere fu trasformato in un bell’albero con le
foglie ad ombrello, che riparava con la sua ombra la roccia calcarea.
L’albero era quello dell’areca. Sua moglie nel frattempo, non avendolo visto
tornare a casa, andò alla sua ricerca e giunse, dopo un lungo viaggio in vista
del masso di calcare e dell’albero di areca. Anche lei morì di fatica dopo
aver abbracciato l’albero.
Dal suo cadavere nacque una
pianta rampicante che avvolse interamente l’albero. Era la pianta del betel.
Questa riunione dei due fratelli e della moglie avvenne in un periodo di
estrema siccità in cui tutti gli alberi e le piante morirono, salvo gli alberi
dell’areca e del betel. Essi conservarono la loro lussureggiante vegetazione,
che contrastava stranamente con la desolazione che regnava tutt’attorno. La
sconcertante particolarità attrasse l’attenzione della gente del paese, che vi
si recò in pellegrinaggio. Anche il re, alla notizia di questo fenomeno, volle
averne conferma. Si recò sul luogo e constatato che tutto attorno la
vegetazione era morta mentre solo i due alberi sul calcare erano rigogliosi,
fece raccogliere molte foglie di betel, una noce di areca e un pezzo di
calcare e ordinò di frantumare il tutto in un mortaio. Ottenne una polvere di
un bel color rosso. Convinto dei sentimenti così teneri che tenevano unite
quelle tre cose, ordinò di piantare davanti a ogni casa degli alberi di areca
e di betel, prima come alberi ornamentali, per via del loro fogliame ad
ombrello e sempre verdi, e in seguito, per onorare la memoria dei fratelli
così UNITAR ordinò alle coppie di giovani che si sposavano di masticarne le
foglie, i frutti con un poco di calce con lo scopo d’intrattenere fra di loro
il medesimo affetto. Da qui l’abitudine di masticare il betel. (Lê-vàn-Phàt,
1908, rip. in Holbé, 1908: 675-6).
Altra versione vietnamita.
Due fratelli gemelli, Tan e
Lang, si innamorarono della medesima bella ragazza. Poiché erano devoti l’uno
con l’altro, uno di loro concesse che l’altro la sposasse. Poi, un giorno, la
donna accidentalmente toccò la mano di suo cognato e ciò fece arrabbiare il
marito. Il cognato fu così angosciato per l’accaduto che corse via. Quando
raggiunse la riva di un ruscello morì di dolore e gli dei trasformarono il suo
corpo in una pietra calcare bianca, simboleggiante la sua devozione. Il
marito, turbato dall’assenza del fratello gemello, si mise alla sua ricerca.
Quando raggiunse il ruscello vide quale sorte era toccata al fratello. Si
addolorò così tanto che morì nel medesimo luogo e si trasformò nella palma
dell’areca. Infine, la moglie si mise alla ricerca dei due fratelli. Quando
raggiunse la riva del ruscello, incontrò il medesimo destino e si trasformò in
una liana di betel che crebbe accanto alla roccia avvolgendosi attorno alla
palma. Invece di seccarsi, la palma e la liana rimanevano verdi. Udito ciò, il
re del luogo ordinò di essere accompagnato in quel luogo. Egli mise entrambe
[le piante] in bocca e fu sopraffatto da una sensazione di benessere. Da
allora il betel è stato masticato in Vietnam (Rooney, 1993: 15).

1998(1791/2) La leggenda
della spada restituita.
Hanoi è circondata di laghi e
ognuno di questi ha una sua storia. Il lago più bello è il lago Thuy
rinominato Hoan Kiem (Il Lago della Spada Restituita). E'un incantevole
specchio d’acqua che è oggi una delle attrazioni principali di Hanoi.
Le Thai To (Le Loi) era un
antico re guerriero Vietnamita vissuto nel 1400. Abile combattente, si narra
avesse una spada molto speciale, che gli era stata donata dal Dio Tartaruga
Dorata (Kim Qui). Con questa, Le Loi combatté molte battaglie vittoriose
contro la Dinastia dei Ming ed ottenne infine l’indipendenza del Vietnam
dall’Impero Cinese. Vinta la guerra, Le Thai To si recava spesso sul lago Luc
Thuy (Lago Verde situato a Sud di Hanoi) per esercitarsi con la sua spada e
praticare esercizi marziali. Un giorno una tartaruga gigantesca emerse
dall'acqua e lo implorò di restituire la spada al Re Dragone legittimo
proprietario. Il saggio Le Thai To non dovendo più difendersi dai cinesi,
decise di accettare. La spada iniziò a fluttuare nell'aria e a dirigersi verso
la tartaruga. Con la spada in bocca la tartaruga si rituffò nel lago
ringraziando. Da allora il lago è stato chiamato Ho Hoan Kiem ("lago della
spada restituita") e in cambio seguirono innumerevoli anni di benessere e
fertilità delle terre.
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2000 (1888/93) Leggenda:
‘Lac Long Quan-Au Co’
Lac Long Quan (anche chiamato
Hung Vuong Hien) secondo il mito della creazione del popolo vietnamita,
è stato il padre del popolo vietnamita, e il loro primo vero re. Quan era il figlio e
unico successore di Kinh Dương Vuong (il Re di Kinh Dương ), che regnava su
Xich Quy . Si suppone che sia diventato re nel 2839 aC.
La moglie di Quan,
Âu Co , diede alla luce una sacca contenente 100 uova da cui nacquero 100
bambini, questa è l'origine della storia dei 100 cognomi vietnamiti . Un giorno Lac Long Quan disse a Âu Co: "Sono
disceso dal draghi, e tu da fate Siamo
incompatibili come lo è l'acqua col fuoco Così non si può continuare in
armonia". Ciò detto, marito e moglie si separarono. L'uomo andò a sud verso il mare, con 50 dei
loro figli, mentre la moglie si diresse verso la regione montuosa del nord con
l'altra metà del clan. Il figlio maggiore, che seguì la madre, in seguito
si installò nel Vietnam diventando il primo monarca.
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2003 (2100/5)
Fiaba: Le avventure dei grilli
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WALLIS & FUTUNA
1999 (213)
Favola. La sirena allungata.
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2003 (BF 12)
Leggenda del cocco e dell’anguilla.
(vedi Samoa)

2004 (614)
Mitologia. Le dea Havea
Ikule’o
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2005 (1 BF) Racconti e leggende locali. Disegni
con tartarughe , balene, uccelli, serpenti, granchi e fiori. Disegni con
polipi, pesci delfini,farfalle e conchiglie. Disegni con personaggi chde
suonano trombe, note musicali, onde. Ai bordi dei francobolli sono segnate
12 titoli di fiabe e racconti di vario tipo.

2006 Il dio Tagaloa
(vedi Samoa)
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2007 (683/4) Racconti e leggende di Lomipeau. Isola
Togatapu e piroga a vela antica Lomipeau. Isola di Uvea e piroga a vela di
Lumipeau.
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YEMEN (Monarchia)
1967 (420/26 + BF) Salomone e la regina di Saba.
Gli arabi la conoscevano come
la regina Bilquis, gli etiopi la chiamavano Macheda, per gli
ebrei e i cristiani è la regina di Saba. La regina venuta a conoscenza della
fama di Salomone, si recò a Gerusalemme per conoscerne la saggezza. Arrivò
con un gran seguito e con cammelli carichi di spezie. La storia della regina
di Saba probabilmente ha origini giudee, ma esiste anche una versione
persiana, la troviamo anche nel Corano difatti gli arabi affermano che
credesse nella grandezza di Allah. In nessuna parte del Mondo la leggenda
della regina di Saba è più viva che in Etiopia. Per questo popolo rappresenta
il mito fondamentale della loro civiltà. La storia tramanda che Saba, regina
di Axum, aveva sentito decantare la saggezza del re Salomone e volle
fargli visita per mettere alla prova la sua sapienza proverbiale.
Dalla visita a Gerusalemme,
avvenuta tra il 1000 ed il 950 a.C. vi è menzione nel Talmud ebraico, nella
Bibbia - Antico Testamento, nel Corano ed ovviamente nel Kebra Nagast,
Gloria dei re che è il libro fondamentale per la storia dell'impero degli
altopiani, elaborato in Etiopia nel XIV secolo.
La storia dice che la regina
di Saba recatasi dal potente re Salomone per sottoporgli alcuni enigmi per
sondare le capacità tanto decantate del sovrano, ne rimase affascinata.
Dall'unione del re Salomone con la regina, fu concepito Menelik, il cui
significato intrinseco è "Figlio dell'uomo saggio" che portava nel sangue le
tracce di una ascendenza divina e che sarebbe stato il capostipite di una
stirpe salomonica; da qui nasce il fatto che gli Etiopi siano una un popolo
eletto. Menelik, cresciuto e divenuto re, fece proprio il simbolo del leone di
Giuda che innalzò a simbolo del proprio regno. Divenuto adulto, volle far
visita al presunto padre Salomone e quando fece ritorno ad Axum, trafugò o gli
fu affidata, l'Arca dell'Alleanza.
Essa non arrivò con Menelik
ad Axum, ma impiegò qualche secolo dopo un lento peregrinare in terra
d'Egitto. Questo avvenimento è ricordato con i lenti ed esasperanti riti che
la Chiesa Copta etiopica celebra in onore dell'Arca in occasione di Ghenna e
Timkat che sono il Natale e l'Epifania del rito copto. Le feste di
celebrazione di queste due ricorrenze fanno rivivere lo splendore di quelle
che furono le corti di Gerusalemme e di Axum.
La regina visse a circa 120
Km da Sana'a, capitale dello Yemen. Ad est di Sana’a, a Marib che era
la capitale dell’antica Saba. Marib era situata nel punto in cui si
incrociavano le carovane che trasportavano incenso in direzione del mar Rosso
e l’intera regione con il passare degli anni, a causa dei fortunati e
fiorenti commerci, prese il nome di Arabia Felix. Poche le tracce nella
città per svelare il mistero che circonda la regina di Saba, se veramente è
esistita si pensa che possa essere vissuta a Marib, al centro del deserto,
circondata dallo splendore di grandi templi e palazzi.
 

ZAMBIA
Le fiabe di Kalulu il coniglio sono pubblicate su Internet: Kalulu the hare and others
Zambian Folk Tales, Retold by Parvathi Raman, illustrate dall’autore,
Editore Arthur H. Stockwell Ltd. Elmsourt Ilfracombe, Devon, 1979
1979 (193/6) Fiabe: Storie di Kalulu

1991 (526/9) Favole L’uccello e il serpente (vedi Esopo) Kalulu e il
leopardo. Il leone e il topo (vedi Esopo). Kalulu e l’ippopotamo

1998 (779/80+BF 46)
Favole. Uomo con cane. Indigeno che versa liquido nelle fauci di un drago.
_png.jpg)
2001 (6v.-1066+BF 79)
LEG Origini del mondo
nelle leggende africane.

ZIMBABWE
2001 (466/71)
Favole. La lepre e la scimmia. L’ippopotamo. Il leone e il topo (vedi
Esopo), Gli uccelli che svegliano il sole. Il camaleonte che arriva troppo
tardi. La tartaruga saggia
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