INDIA

1991  (1135) Sidarta e l’uccello ferito.    Siddhārtha Gautama, meglio conosciuto come Gautama Buddha, il Buddha storico, Buddha Śākyamuni o semplicemente Buddha Lumbini, è stato un monaco buddhista, filosofo, mistico e asceta indiano, fondatore del Buddhismo, una delle più importanti figure spirituali e religiose dell'Asia.

Visse approssimativamente tra il 566 a.C. e il 486 a.C. e proveniva da una famiglia ricca e nobile del clan degli Śākya, da cui anche l'appellativo Śākyamuni (l'asceta o il saggio della famiglia Śākya).

La religione dominante dell'India in quel periodo, il Brahmanesimo, subì una crisi: aumentò nettamente l'insoddisfazione per l'ingiusta struttura di casta e per l'arbitrio dei sacerdoti brahmani, il cui potere (quasi assoluto nella vita civile) cominciava ad essere minacciato da dinastie guerriere. Erano quindi le condizioni favorevoli per una nuova dottrina religiosa.

Siddartha era figlio del governatore di uno dei regni dell'India del nord, tra il Gange e il Nepal della stirpe guerriera degli Sakya ("potenti").

Non è figlio di re, come le molte leggende lo presentano, ma di un raja, cioè di un capo eletto dai maggiorenti, cui era affidato il potere di governare. Gli viene imposto il nome di Siddharta (Colui che ha raggiunto lo scopo) o di Gautama (l'appartenente al ramo - gotra - dei Shakya), ma in seguito verrà indicato con altri appellativi sui quali emerge quello di Buddha che significa.: l'Illuminato, il Risvegliato. Fu allevato in mezzo alle comodità e ad un lusso principesco, si sposò ed ebbe anche un figlio, ma secondo tradizione gli incontri con le miserie umane, (incontrò un vecchio, un malato, un cadavere, un religioso) fecero nascere in lui una grande compassione e il desiderio di trovare la via per la liberazione. Meditò a lungo sulla miseria della condizione umana e sul disgusto che questa deve procurare al saggio e questo lo spinse a cercare di conoscere le cause della miseria presente nel mondo. A circa 30 anni abbandonò tutto e tutti per condurre vita eremitica alla ricerca di una soluzione all'enigma della vita. Prese prima la via ascetica ma fu insoddisfatto delle risposte degli altri maestri e dopo digiuni estenuanti, capì che la conoscenza della salvezza poteva trovarla solo nella meditazione personale. Abbandonò quindi le mortificazioni eccessive predicando la "Via di mezzo" e a 35 anni, ai piedi di un albero di fico raggiunse l'illuminazione.

Comprese le Quattro Nobili Verità: sul dolore, sull'origine del dolore, sulla estinzione del dolore, sulla via che porta alla soppressione del dolore.

Il sentimento di compassione per gli uomini lo spinse a dirigersi verso Benares (Varanasi) seguito da cinque discepoli e percorrere per oltre quarant'anni il Nord dell'India e predicando il suo messaggio di speranza e di felicità.

Il messaggio originale del Buddha fu che realizzazione dell'umana felicità non è un dono della grazia di Dio, ma è una conquista del proprio intelletto e della propria volontà e quindi è un prodotto dello sforzo umano. Buddha preferì non pronunciarsi riguardo a Dio ma in seguito anche gli dei delle varie Religioni con cui il Buddhismo entrò in contatto entrarono spesso nel pantheon Buddhista, ma anch'essi come sottoposti alla verità del Buddha.

Secondo la tradizione, Buddha morì all'età di 80 anni, circondato dai suoi seguaci, tra i quali il discepolo prediletto Ananda, al quale lasciò le sue ultime disposizioni. Prima di spirare, rivolgendosi ai discepoli, disse: "Ricordate, o fratelli, queste mie parole: tutte le cose composte sono destinate a disintegrarsi! Attuate con diligenza la vostra propria salvezza! ".

Di lui si raccontano numerose leggende. Una delle più belle è l’episodio del cigno ferito. Le biografie ci dicono che il principe e suo cugino Devadatta stavano passeggiando nel parco che circondava il palazzo reale. Devadatta vide un cigno volare, lo colpì e lo abbatté con l’arco e le frecce. Entrambi i ragazzi corsero verso il luogo in cui era caduto il cigno, ma fu Siddhartha che, correndo più veloce, raggiunse per primo il luogo. Il giovane principe raccolse in grembo l’uccello ferito e cercò di alleviarne la sofferenza. Devadatta reagì con rabbia, insistendo che il cigno apparteneva a lui in quanto era stato lui ad abbatterlo. I ragazzi portarono la questione davanti al saggio di corte, che decise di assegnare l’uccello a Siddhartha, poiché la vita appartiene a colui che la difende e non a chi la distrugge.

 

 

1992  (1162)  Racconto di un eroe leggendario: Dev Narayan Ki Phad.  Shri Devnarayan (Rajasthan o Gujari), un antico Gurjar guerriero dal Rajasthan che si crede di essere stato l'incarnazione di Dio Vishnu , è adorato come una divinità popolare, per lo più in Rajasthan e nord-occidentale Madhya Pradesh . Secondo la tradizione, era nato nel 911 d.C.  a Sri Savai Bhoj il settimo giorno della metà luminosa del mese di Maagh nel calendario induista . Secondo una visione storica Devnarayan apparteneva al 10 ° secolo di Vikram Samvat, secondo un altro punto di vista, ha vissuto tra 1200-1400 (Vikram Samvat epoca).

 L'epopea di Devnarayan è una delle più lunghe e più popolari narrazioni orali religiose del Rajasthan ed è stata classificata sotto la categoria di epiche marziali.

 

2001 (1626/33) Fiabe: Pançiatantra Le poste indiane non potevano meglio onorare i primordi della loro letteratura fantasiosa-sentenziosa-moralistica-politica se non facendo ricorso ad un’opera tra le più significative nel campo della favolistica. Il Pançatantra può essere considerato il testo più importante della novellistica indiana, non soltanto per la diffusione in tutta l’area dell’India ma per le numerose derivazioni, rifacimenti, traduzioni che fiorirono nell’arco delle nazioni anelleniche e, in seguito, anche nell’area greca e romana. Theodor Benfey, linguista e orientalista tedesco (1809-1881), tra le sue opere principali, pubblicò a Lipsia nel 1859 l’introduzione all’edizione del Pançiatantra, in cui si trova delineata la teoria dell’origine indiana della favolistica europea. In essa tracciò un albero genealogico facendone risalire i rami ad un periodo che va dal II al VI secolo. Nel II secolo si diffuse in India un’opera in sanscrito dal titolo Tantrakhyayyika (Il libro dei casi della saggezza) che per la sua forma e contenuto può essere considerata l’originale. L’opera, contenente apologhi, storie, favole, composta di cinque libri, aveva lo scopo di ammaestrare diffondendo non  tanto i precetti della morale comune, quanto l’arte di governare, all’occorrenza  anche machiavellicamente, attraverso l’astuzia e la frode. Scopo dell’opera fu quello di instillare concetti base per mezzo di un racconto breve nel quale furono inserite numerose altre storie minori.

Il contenuto dei cinque libri è il seguente: un re dell’India meridionale, padre di tre figli svogliati e ignoranti, li affida alle cure del bramino Visnusarma (cui si attribuisce comunemente la stesura del Pançiatantra). Per essi il maestro compose i cinque libri  così suddivisi: 

1) la discordia tra gli amici o la storia dell’astuto sciacallo Damanaka e del collega    Karataka i   quali  fomentarono l’inimicizia tra il leone e il toro.

2) I vantaggi dell’amicizia o l’unione fa la forza in cui si narra  dell’alleanza di una colomba dal collare

con un  topo, una cornacchia, una tartaruga e una gazzella.

3) I problemi della guerra o La guerra dei corvi e dei gufi.

4) La perdita di ciò che si è acquistato o La scimmia e la tartaruga.

5) Le opere fatte inconsideratamente o L’asceta e la donnola.

Il numero delle favole variava tra libro e libro.

I principini, dopo aver letto e assimilato gli insegnamenti trasmessi dal bramino, nel giro di sei mesi divennero      consapevoli ed avveduti.

I racconti di Visnusarma sono circa settanta. Sono presentati in prosa intercalata da strofe di contenuto gnomico e sentenzioso.

L’opera acquistò subito grande popolarità tanto da subire ripetute elaborazioni e traduzioni in vari dialetti indiani. La più celebre Hitopadesa, scritta da Naraiana il quale inserisce nel testo originario fiabe nuove e cambia di posto ai vari libri, apparve tra il IX e il XIV secolo. Compilato a beneficio dei giovani, il testo accentua il carattere politico attingendo e accogliendo molte strofe gnomiche del Kamandaki Nitisastra.

Il Pançiatantra iniziò il suo viaggio, verso occidente con una traduzione in pehlevi (scrittura mediopersiana derivata dall’aramaico) fatta dal medico persiano Barzoe per incarico del monarca sassanide Cosroe (531-579). La versione è andata perduta e se ne hanno notizie aneddotiche romanzesche. Sembra, comunque, che da essa sia derivata una rielaborazione siriaca ad opera dello scrittore Bud dal titolo  Kalilag i Damanag che è la corruzione dei due nomi degli sciacalli Karatara e Damanaka.

Al 750 risale la traduzione in arabo eseguita da Ibn al Muqaffa con il titolo Kalilah wa Dimnah.  Ibn operò una ricostruzione del testo, seguendo fedelmente la redazione pehlevica; vi aggiunse una propria interpretazione aneddotico-sentenziosa, un intero capitolo ‘Il processo di Dimnah’ e il capitolo “L’asceta e l’ospite”.

Le attuali edizioni del Kalilah e Dimnah in arabo comprendono 18 capitoli e cioè i cinque libri originari del Pançatantra; sette libri di origine indiana, i due nuovi capitoli a mano di Ibn e quattro introduzioni (due in arabo, una islamica e un’altra in cui si accenna ad un immaginario inventore di favole, il saggio Bidpai).

Sulla Nuova Enciclopedia (da cui sono stati ricavati molti dei dati e delle notizie riportate) a pagina 92 si legge: “La redazione di Ibn.al.Muqaffa, vantato modello di prosa araba del II secolo dell’egira. riconoscibile nelle linee generali pur attraverso le difficoltà di una vasta e varia tradizione manoscritta, è molto interessante anche per l’abilità con cui l’autore seppe smorzare alcuni tratti pagani dell’originale, senza perciò goffamente islamizzarlo. Essa fu subito verseggiata in arabo dal contemporaneo di Ibn al-Muqaffa, Abàn al-Lahiqì, poi, verso il 1100, da Ibn al-Habbariyyah, e una terza volta, nel 640/1242, da Abd al-Mu-min as-Saghani; solo la seconda e terza di queste redazioni metriche è giunta sino a noi. Ma le vere e proprie versioni dall’originale arabo sono: a) la nuova siriaca anonima, del X o XI sec, con ampliamenti nelle parti didattiche, fortemente espurgata e cristianizzata; b) la greca, compiuta sulla fine del secolo XI da Simeone figlio di Seth sotto il titolo di Stefanìtes kai Iknelàtes, dovuto ad una falsa interpretazione etimologica delle forme arabe  Kalilah i Dimnah e fonte a sua volta di una antica versione latina (anteriore al XV sec.) e di quattro slave (in antico slavo, slavo, croato e céco); c) d) le perdute etiopica e mongolica; e) f) le persiane ed ebraiche, che sono state rispettivamente il veicolo di trasmissione di Kalilah e Dimnah al mondo turco-tataro, indostano, malese da un lato, cristiano occidentale dall’altro.

Il viaggio dell’opera verso l’area cristiana ebbe un notevole incremento grazie ad una versione spagnola ordinata verso il 1250 dall’allora infante, poi re Alfonso X il Savio, e ad una rielaborazione in versi latini ad opera di un certo Baldo che intitolò la sua opera Novus Aesopus.

Al principio del XII secolo risale una versione ebraica di Rabbi Joel, poi tradotta in latino tra il 1263 e il 1278 da un ebreo (ribattezzato Giovanni da Capua) sotto il titolo Directorium humanae vitae. L’opera di Giovanni da Capua ebbe in Europa molte rielaborazioni: quella francese di Raimonds de Beziers (1313), la tedesca di Anthon von Pforr (1480), una seconda spagnola anonima (1493), l’italiana di A. F. Doni in cui lo scenario è spostato in Italia, di A. Firenzuola il quale trattò liberamente il testo e lo pubblicò sotto il titolo Discorsi degli animali (1548).

Da queste versioni dipendono le ulteriori traduzioni, fino alla più importante, la francese Anwar i Suhaili, pubblicata nel 1644 ad opera di David Sahid e G. Gaulmin.

In un millennio, con continue aggiunte, mutamenti, rielaborazioni, la favolistica orientale si affermò in occidente, arricchendosi e modificandosi nel passaggio attraverso culture, lingue e civiltà diverse. Ciò che non muta nelle favole è l’elemento gnomico, sentenzioso, moralizzatore e didattico. È ovvio che il mondo arabo, persiano, giudaico, cristiano, facendo in particolar modo leva sui dettami del Corano e della Bibbia, abbiano lasciato tracce evidenti, modificando il fondo di molte favole. Ciò che viene mantenuto costante è la disposizione della materia che vede intrecciarsi e sovrapporsi diversi temi favolistici in un unico racconto, storie minori che si intrecciano, rendendo talvolta difficile seguire l’iter del racconto. Un modo di narrare che ricorda la materia delle Mille e una notte.

 

 

 

 

 

INDONESIA

Sulle leggende indonesiane:

“L'Indonesia è un mondo magico perché infinitamente vario. non è stato facile selezionare un corpus di favole da questo susseguirsi di isole e bracci di mare. In realtà molto del sottofondo favolistico è comune, eppure i vari strati che si sono sovrapposti ne hanno dato varianti diverse quante sono le lingue e le etnie di questo arcipelago, composto da non meno di duecento popoli che anche se politicamente sono uno solo, si presentano in una iridescenza di colori che ne giustificano il fascino.

La selezione è dunque arbitraria, legata soprattutto alla familiarità del curatore col mondo sumatrano.

Ma qui si trovano tutte le componenti indonesiane: il fondo arcaico e mitico delle favole mentawaiane, di un popolo rimasto ai margini del mondo fino a pochi decenni fa; le favole dei Gayo, montanari semisconosciuti per la loro anonimità in un mondo che cerca solo eclatanti scoop, eppure densi di un fascino sottile; le favole giavanesi, ricche di echi di cultura indiana rivissuta nei secoli.” ( da Giulio Soravia, professore di Glottologia presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna, docente di Lingua e letteratura araba nella stessa Università : Fiabe indonesiane a cura di G. Soravia Ed. Franco Muzio ,  2002).

(Fiabe Indonesiane , Senesi Michele Man chi. Pubblicato della Fabbri Editori nella collana    Biblioteca, Narrativa, la quale raccoglie i grandi classici della fiaba mondiale in diversi volumi dedicati a Fiabe e Storie Cinesi, Fiabe e Leggende della Malesia .  Tra questi il volume di  Fiabe Indonesiane, comprende numerosi racconti fantastici utilissimi. L’introduzione (12 pagine) di Giulio Soravia è utilissima per avvicinarsi ad un testo decisamente complesso e spiazzante; non tanto per i contenuti favolistici e liberi in cui vivi e morti, animali e umani convivono senza soluzione di continuità ma più che altro per la forma di vistosa discendenza orale che dona opere secche e consecutive, composte di atti, gesti, eventi. (da Internet)

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1962   (269/74)   Ramayana. La leggenda di Rama.  Poema epico dell’antica India, minore per ampiezza rispetto all’altro grande poema epico indiano, il Mahabharata, attribuito al leggendario poeta Valmiki,  comprende 24.000 distici di 32 sillabe raccolti in sette libri, composti probabilmente a partire dal III secolo a.C. con successivi rimaneggiamenti. Come recita il titolo, che in sanscrito significa “Gesta di Rama”, il poema narra la storia di Rama, settimo Avatar di Visnu, sovrano ideale e guerriero valoroso, e della sua sposa, Sita. Rama, principe ereditario del regno di Koshala viene privato ingiustamente del diritto al trono ed esiliato dalla capitale Ayodhya dove trascorse 4 anni in esilio, insieme alla moglie Sita ed al fratello Lakshmana, dapprima nei presi della collina di Citrakuta, dove si trovava l’eremo di Valmiki e di molti altri saggi, in seguito nella foresta Dandaka, popolata da molti demoni.  Lì Sita viene rapita dal crudele re dei demoni, Ravana, che la conduce nell’isola di Lanka. Rama e Lakshmana si alleano con i Vanara, potente popolo di uomini-scimmia, ed insieme ai guerrieri scimmia, tra i quali c’è il valoroso e fedele Hanuman costruiscono un ponte che collega l’estremità meridionale dell’India con Lanka. L’esercito affronta l’armata dei demoni, e Ravana viene ucciso in duello da Rama, che torna vittorioso nella capitale Ayodhya, e viene incoronato re. Rama, per rispettare il dharma, è costretto a ripudiare Sita, a causa del sospetto che abbia ceduto alle molestie di Ravana. Per dare prova della sua purezza, Sita accetta di sottoporsi alla prova del fuoco, ed esce indenne dalle fiamme. I protagonisti del Ramayana, che fonde numerosi elementi rituali dei Veda, incarnano ideali di eroismo, lealtà, amore fraterno e coniugale. Molti episodi entrarono nel folclore e nel teatro indiano e del Sud-Est asiatico, e divennero una delle parti preponderanti della vita quotidiana dei devoti vishnuiti; l’opera ebbe una vastissima diffusione grazie alle numerose traduzioni e rielaborazioni, la più nota delle quali è del poeta indiano Tulsi Das (XVI secolo).

 

 

1998    (1572/91+BF 121) Favole indonesiane tratte da Malin Kundang. Sangkuriang. Roro Jong-grang. Tengger.

 

 

  1999  (1671/90+BF 139) Racconti popolari. Danau Toba. Banjarmasin.  Buleleng.   Woiram.

 

 

2000   (1740/59  + BF 151)  Racconti: Tapac Tuan. Batu Ballah.  Sawerigading.  7 Putri  Kahyangan.

 

2001  (1846/65 + BF 164)  Fabe: Batan Tuaka.  Sipitung.  Jerusan Nusa.  Ile Mauraja.

 

  

2002  (1910/29) Fiabe e leggende: Aje Tatin.  Kalimantan Timur.  Pulau Kermbaro.  Sumatera Selatan.  Danau Tondano.  Sulawesi Utara.  Nyi Roro Kidul.

 

 

2003  (1977/96 + Bf 181)  Racconti popolari  Danau Ranau.  Kongga Owose.  Princesse Gading Cempaka.  Princesse Manmdalika “Nyale”

 

 

2004  (2072/91+ BF 192)  Racconti: Putri Selaras Pinang masak.  Tanjung Iesung.  Patung Palindo.  Danau Polire.

 

 

 

 

2005 (2120/39+BF 200)  Racconti popolari:  Lahilote.  Kolam Putri.   Batu Balai. Bulan e Sagu.

 

 

 

 

2006  (2163/6 +BF 212)  Racconti e leggende:  Bawang  Me rah e Bawang Ptih, Keong Emas,  Si Kancil,  Timun Emas

 

 

 

 

IRLANDA

 

1981  (444/5)   Fiabe:

Il gallo e la marmitta. I Celti si erano stanziati principalmente in Gallia e in Britannia, ma la loro straordinaria civiltà, bagnata di birra fin dai primordi, venne sviluppata principalmente nella verde Irlanda. Infatti la nascita del popolo irlandese è dovuta, seconda una leggenda sulla birra, è dovuta ai Fomoriani, creature mostruose dal becco aguzzo e dalle gambe umanoidi, che avevano la potenza e l’immortalità grazie al segreto della fabbricazione della birra, che fu loro sottratto dall’eroe di Mag Meld, una specie di Prometeo irlandese.

 

Bilancia del giudizio

Secondo la leggenda, nel giorno del giudizio sarà solo San Patrizio a giudicare il popolo irlandese

 

1997   (1004/5) 

Leggende:

La figlia di LirLa matrigna Lir getta il malocchio sulla figlia, trasformandola in cigno. Solo dopo 900 anni potrà riprendere le sembianze umane, a patto che un nobiluomo del Nord sposi una nobildonna del Sud. Cosa impossibile perché la nobiltà in quel momento è composta da due uomini e una donna, tutti senza figli e ormai prossimi alla morte. Nessuna speranza per la ragazza, Il suo destino sarà quello di rimanere eternamente sotto la forma di cigno.

Oisin e Niamh. Oisin, figlio dell’eroe MacCumhail, si innamora della principessa Niamh e l’accompagna a Tirna Hog, la terra dell’eterna giovinezza. La nostalgia della terra natale spinge Oisin a ritornare per una breve visita. Quando vi giunge, dimentica la raccomandazione fatta dalla sua sposa, quella di non scendere mai da cavallo. Oisin, vedendo alcuni operai in difficoltà, scende per aiutarli e, messo il piede a terra si trasforma improvvisamente in un vecchio cadente e non  ritornerà mai più nella terra dell’eterna giovinezza dalla sua sposa. Questo racconto presenta notevoli somiglianze con molte altre storie, compresa quella di Urashima Taro

 

2004  (1572)  Leggenda: San Patrizio.   Sulla nascita e sulla vita di San Patrizio, patrono d’Irlanda, poco si sa. Si dice sia nato a Kilpatrick (Scozia) tra il 387 e il 392. Di nobile famiglia romana, fu rapito quando era ancora ragazzo da pirati irlandesi e venduto come schiavo a Muirchu, un re del North Dàl Rioada, località non lontana da Belfast. Per sei anni lavorò come pastore, poi fuggì in Inghilterra. In seguito passò in Francia, in Italia e, infine, ritornò in Irlanda. Divenuto vescovo, convertì molte persone al cristianesimo.

Fu spesso minacciato di morte, catturato, condannato  ma continuò sempre a portare avanti la sua missione. Morì il 17 marzo del 461. Fonti storiche accertano la sua morte a Downpatrick, in Irlanda, ma alcuni studiosi suppongono che la sua morte possa essere avvenuta in Inghilterra o in Galles.

Molte le leggende sono  sorte attorno al suo nome. Una è legata all’assenza di serpenti in Irlanda, secondo la quale fu lui a cacciarli in mare. Questa leggenda è connessa a quella della montagna sacra irlandese, Croagh Patrick, sulla quale il santo avrebbe trascorso quaranta giorni, gettando alla fine una campana dalla sommità del monte nell'attuale Baia di Clew per scacciare i serpenti e le impurità, formando le isole che la contraddistinguono

L’altra si riferisce al Pozzo di San Patrizio, così chiamato perché si dice che fosse senza fondo e che fosse la via verso le porte del Purgatorio, prima tappa verso il Paradiso.

 Da notare la presenza della leggendaria figura di San Patrizio anche nell'emblema nazionale irlandese, il trifoglio (shamrock). Grazie ad un trifoglio, si racconta infatti, che San Patrizio avrebbe spiegato agli irlandesi il concetto cristiano della Trinità, prendendo come esempio le tre foglie collegate ad un unico stelo

 

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2012 (2032/5)  Miti e leggende  d’Irlanda. La morte dei figli di Lir. Deirde di Sorrows. Finn Mac Cumaill. Cuchulainn (Il cane di Culann).

I figli di Lir. Uno dei racconti più tristi della tradizione irlandese narra di re Lir, che amava tanto i suoi quattro figli da fare impazzire di gelosia la loro matrigna.

Un giorno ella condusse i bambini in riva a un lago e gettò un incantesimo su di loro trasformandoli in cigni bianchi costretti a vivere nelle acque d’Irlanda per 900 anni. Dopo aver fatto ciò, la matrigna, tormentata dal rimorso, fece loro dono di una voce leggiadra.

La fine dell’incantesimo coincise con l’avvento del Cristianesimo.

I quattro bambini riacquistarono forme umane, ma erano così deboli che morirono in breve tempo, non prima però di essere battezzati.

Re Lir ordinò allora che nessun cigno dovesse essere ucciso in Irlanda, atto ritenuto tuttora illegale.

 

Deirdre o Derdriu è la più tragica eroina della mitologia irlandese. La sua storia fa parte del Ciclo dell'Ulster.Deirdre era la figlia del bardo Fedlimid mac Daill. Quando nacque, il druido Cathbad profetizzò che sarebbe stata davvero bella e che re e lord avrebbero guerreggiato per lei e che a causa sua i tre più grandi guerrieri dell'Ulster sarebbero stati costretti all'esilio. Conchobar mac Nessa re dell'Ulster, decise di farla educare in reclusione dall'anziana Leabharcham per poi sposarla quando fosse stata abbastanza grande. Tuttavia, lei incontrò, si innamorò e fuggì con il giovane guerriero, cacciatore e cantore Naoise, accompagnati dai due fratelli di lui, i figli di Uisnech. Fuggirono in Scozia, ma il re locale cercò di uccidere Naoise e i suoi fratelli così da avere per lui Deirdre. Alla fine si rifugiarono in una remota isola, dove furono però rintracciati da Conchobar.

Egli inviò Fergus mac Róich che assicurò loro un ritorno sicuro in patria. Alla fine però, Conchobar venne meno alla promessa e affrontò i tre fratelli davanti a Emain Macha. Éogan mac Durthacht uccise Naoise e anche i suoi fratelli caddero nello scontro. Oltraggiato dal fatto che la sua parola era stata infranta, Fergus andò in esilio con i suoi seguaci nel Connacht e combatté contro l'Ulster per Ailill e Medb nel Táin Bó Cúailne.

Frustrato dallo scarso amore di Deirdre per lui, Conchobar la offrì a Éogan mac Durthacht, l'uccisore di Naoise. A questo punto lei si uccise. In versioni più tarde di questa vicenda, morì invece devastata dal dolore.

 

Finn MacCool. II guerriero Finn MacCool è il più famoso comandante delle Fianna, compagnie di uomini prodi e valorosi che difendevano l’Irlanda dalle invasioni nemiche. Finn non era solo forte e audace, ma anche veggente, e acquisiva grande saggezza introducendo il pollice in bocca e succhiandolo. Quando non erano in guerra, i Fianna trascorrevano il loro tempo cacciando. Finn possedeva un cane di nome Bran che era alto quasi quanto lui.

Si dice che esso sia il capostipite della razza canina nota come Irish wolfhound.

Molti membri delle Fianna possedevano poteri soprannaturali e compivano spesso esperienze ultraterrene. Il figlio di Finn, Ossian, non fu solo un valoroso guerriero come il padre, ma si distinse anche per le sue doti di saggio poeta. L’iconografia tradizionale raffigura Finn come un gigante e la leggenda vuole che egli sia il costruttore della Giant’s Causeway (Strada del gigante) nella Contea di Antrim.

 

Cuchulainn. Si racconta che Cuchulainn, all’età di sette anni, q uando ancora si chiamava Setanta, uccise il cane feroce di Culainn il Fabbro colpendolo con un bastone da hurling (è una delle prime volte in cui viene citato questo sport).

Per placare l’ira di Culainn, Setanta si offrì di fare le veci del suo cane sorvegliandone la casa. Così acquisì il nuovo nome di Cuchulainn, che significa il cane di Culainn.

Prima di andare in guerra, Cuchulainn assunse proporzioni enormi, il suo corpo si tinse di vari colori e uno dei suoi occhi s’ingigantì.

Oggi, nel GPO di Dublino, una statua di Cuchulainn commemora gli eroi dell’Insurrezione di Pasqua del 1916 .

 

 

ISLANDA

1974 (444/5) 

Saga di Sturlung Saga di Sverrir.  All'inizio del secondo millennio la scelta del cristianesimo, nonostante la procedura adottata, non avvenne senza contrasti: molte conversioni furono forzate e ci furono anche vittime. Per il resto, tuttavia, vi fu un lungo periodo di pace e sviluppo. Con l'inizio del XII secolo la pace cessò e l'Islanda entrò nel periodo storico detto "epoca di Sturlung". Quest'epoca è stata narrata nella Sturlunga Saga e Saga di Sverrir.  La saga parla del re Sverre Sigurdsson (norreno Sverrir Sigurðarson) ed è la fonte principale che narra di questo periodo della storia della Norvegia. Come ci dice la prefazione, la saga nella sua forma finale è un'opera nata dalla fusione di vari libri precedenti. Essa fu cominciata nel 1185 sotto la diretta supervisione del re stesso; non è noto quando venne terminata, ma era probabilmente alquanto famosa quando Snorri Sturluson cominciò a scrivere la sua Heimskringla intorno al 1220, poiché Snorri termina la sua opera dove inizia la saga Sverris. La saga è contemporanea o quasi agli eventi che descrive; è stata scritta ovviamente da qualcuno che simpatizzava con la causa di Sverre, ma la rigide esigenze del genere della saga assicurano un alto grado di imparzialità. La prima parte della saga è chiamata Grýla e descrive gli eventi fino ai risultati della prima grande vittoria di Sverre nella Battaglia di Kalvskinnet nel 1179. Secondo la prefazione il Grýla fu scritto da Karl Jónsson nel monastero di Þingeyrar in Islanda; è noto che Karl Jónsson visitò la Norvegia tra il 1185 e il 1188. Si suppone che Sverre fu la fonte principale del Grýla e che decise lui cosa avrebbe dovuto essere scritto. Il Grýla è scritto in uno stile unico che sembra ispirato in una certa misura alla lunga tradizione medievale dell'agiografia.

 

1981  (518/9) 

Il mago Luftur.  Il mare dell’Islanda.

 

1997  (825/6)

Leggenda:

Storia del diacono MirkàSi racconta che il Diacono di Mirkà  aveva deciso di invitare una bella ragazza da lui amata alla festa di Natale, ma mentre percorreva la strada per raggiungere la casa della ragazza, aveva perso la vita. Qualche tempo dopo la sua morte,  il diacono riapparve con l’intenzione di rapire la ragazza e di portarsela via a  cavallo. Arrivati al cimitero dove c’era la tomba scoperchiata da cui il fantasma di Mirkà era uscito, la ragazza riesce ad aggrapparsi al portale della chiesa e a far suonare la campana. A quel suono il fantasma precipita nella tomba da dove non è mai più uscito. Il disegno è di Agrismur Johnson.

Surtla  nelle isole Una malvagia regina aveva cacciato dalla reggia i figli del re e li aveva mandati in una grotta delle isole Blàland, popolata di orrendi mostri.  Il re riesce a ritrovare i figli, sfuggiti ai mostri, e a punire la perfida regina.

 

 

1999  (881/93)

 Natale.  I tredici folletti.  Fiaba islandese.  I tredici folletti, ciascuno con un nome riferito alla sua personalità, sono figli di Cryla, una creatura mostruosa con tre teste e con una barba come le capre. Rapiva e si cibava di bambini cattivi. Solo quando diventavano buoni riuscivano a sfuggire alle grinfie della strega. I folletti hanno nomi strani: Raschiatore di marmitte, Ladro di salsicce, Quello che guarda dalla finestra…. Molestano persone e bestie; bussano alle porte e scappano… Dopo l’apparizione della leggenda del Babbo Natale i folletti sono diventati buoni e gentili e trascorrono il loro tempo a preparare regali per i bimbi. 

 

 

 

2000  (920/1)

Gnomi: Leppaludi. Gryla

 

2004  (1014/15) 

Mitologia nordica: Odino a cavallo. 

Odino è una delle principali divinità del pantheon norreno, e in particolare dio della guerra, della magia, della sapienza e della poesia.

Odino dimora ad Ásgarðr, nel palazzo di Válaskjálf innalzato da lui stesso, dove, seduto sul trono Hliðskjálf, osserva ciò che accade in ciascuno dei Nove Mondi. In battaglia brandisce Gungnir, la sua lancia e cavalca Sleipnir, il suo destriero a otto zampe, nato da una portentosa unione tra il dio Loki (momentaneamente trasformato in giumenta) e il cavallo Svaðilfœri.

Figlio di Borr e della gigantessa Bestla, fratello di Vili e Vé, marito di Frigg e padre di molti degli dèi, tra cui Thor, Baldr, Víðarr e Váli. Spesso viene inoltre definito "padre di tutti gli dèi", o addirittura Allföðr ("padre del tutto").

Come dio guerriero raduna gli eroi morti in battaglia nel Valhalla, presiedendo al loro banchetto. Infine Odino guiderà gli dèi e gli uomini contro le forze del caos nell'ultima battaglia, quando giungerà il Ragnarök, la fine del mondo, nel quale il dio sarà ucciso, inghiottito dal temibile lupo Fenrir, per essere immediatamente vendicato da Víðarr che ne lacererà le fauci dopo avergli piantato un piede nella gola. Un importante tempio di Odino sorgeva ad Uppsala, in Svezia.

 

 

2006  (1055) 

Mitologia nordica. Esseri soprannaturali. 

Elfi. L'elfo (probabilmente dal norreno alf[a]r) è uno spirito genio della mitologia norrena e non solo. Gli elfi sono simboli delle forze dell'aria, del fuoco, della terra, dell'acqua e dei fenomeni atmosferici in generale. Essi sono spiriti simili agli umani, alti e magri ma forti e velocissimi, volto pulito, sereno, orecchie leggermente a punta. Sono descritti con una grande vista e un udito molto sensibile. Non hanno barba, hanno capelli perlopiù biondi e occhi chiari che si dice penetrino la persona fino a conoscerne i pensieri, si dice che siano dotati di telepatia. Hanno voce splendida e chiara. Sono intelligenti ed armoniosi, con grande rispetto per i quattro elementi e per la natura. Le loro compagne sono esseri graziosi.

Talvolta alcuni possono essere capricciosi e talvolta benevoli con l'uomo che li rispetta, possono donare oggetti magici a coloro che sono puri di cuore e spirito e che desiderano aiutare. Sanno forgiare spade e metalli, fino alla conoscenza della magia. In origine pare che gli elfi siano stati concepiti come anime di defunti, poi furono venerati anche come potenze che favorivano la fecondità. Di qui la distinzione, nella mitologia norrena, fra Døkkálfar, "elfi delle tenebre", e Liósálfar, "elfi della luce".

Abitano principalmente sugli alberi o in alcune foreste nascoste. Non danneggiano mai e in nessun modo la natura perché per loro è parte essenziale della loro vita ed esistenza. Nutrono una grande considerazione per la natura, concepita come una entità, un gran spirito eterico, madre di tutti gli esseri. Essi riescono a camminare senza lasciare tracce, sono immuni alle malattie e resistono alle temperature estreme. Gli elfi hanno vita lunga invecchiando senza che la loro bellezza venga intaccata dal tempo. Si dice che siano immortali ma non invulnerabili e che quindi possano essere uccisi. Molteplici sono le leggende legate a questa figura mitologica, alcune delle quali parlano delle cattiverie che essi compiono nei confronti degli uomini e dei rapimenti dei bambini umani. Gli elfi hanno una forte gerarchia al capo della quale stanno le regine e i re delle colline delle fate, riconoscibili perché spesso ricoperti da un fresco manto di biancospini. Shakespeare nei suoi pezzi teatrali ha parlato molto spesso degli elfi, come nella commedia Sogno di una notte di mezza estate

 

Fate.  La fata è una creatura leggendari presente nelle fiabe o nei miti di origine principalmente italiana e francese, ma che trova comunque figure affini nelle mitologie dell'Europa dell'Est.

Non hanno nulla di umano se non l'aspetto. Il nome fata deriva dall'altro nome latino delle Parche, che è Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato(destino). La fata è un essere etereo e magico una sorta di spirito della Natura.

L'immagine che noi abbiamo di una Fata ben si accosta a quella delle dame del XIV secolo. Le fate sembrano ereditare i loro poteri ed il loro aspetto da alcuni personaggi della mitologia classica, ovvero principalmente dalle ninfe e dalle Parche. Come le ninfe, esse sono spiriti naturali che hanno sembianze di fanciulla; come le Parche presiedono al destino dell'uomo, dispensando vizi o virtù.

Le prime fate appaiono nel medioevo come proiezione delle antiche ninfe, ma vengono per la prima volta ufficializzate verso la fine del medioevo e prendono l'aspetto classico delle dame dell'epoca, che indossavano ingombranti copricapi conici (hennin) e lunghi abiti colorati. Man mano venne attribuita loro la verga (bacchetta) magica che possiamo ritrovare anche nell'Odissea (Circe).

Successivamente ogni fiabista ha aggiunto particolari al loro carattere. Uno spaccato di come sono le fate lo troviamo ne La bella addormentata sia di Perrault sia dei fratelli Grimm ed ancora in Pinocchio, dove alla Fata turchina viene ufficialmente assegnato il colore blu, colore del sovrannaturale e della magia.

Fin dai tempi più remoti si è sempre ritenuto che gli esseri fatati, avessero origini più antiche di quelle umane e perfino di quelle animali; quindi, essendo stato creato per ultimo, l’essere umano è considerato come una forma di vita che ha ancora molto da imparare dalle altre specie.

L'origine delle fate è da sempre stata varia a secondo delle culture e per questo motivo ci vengono fornite diverse teorie che spiegano la nascita di tali creature.

Una leggenda islandese, poi convertita in un racconto cristiano da parte dei monaci missionari, afferma che Eva era intenta a lavare i suoi figli, quando Dio le rivolse la parola; allora ella, impaurita, nascose i figli che ancora non aveva lavato. Quando Dio le chiese se tutti i suoi figli fossero presenti, Eva gli rispose di sì e ciò provò la collera di Dio che dichiarò: "Come tu hai nascosto i tuoi figli alla mia vista, così essi rimarranno per sempre nascosti alla tua!"; tramite questo racconto si presume quindi che le fate un tempo fossero mortali puniti per colpa dei peccati di Eva.

Una tradizione popolare, diffusa nelle campagne influenzate dalla cultura celtica, invece, afferma che questi essere fatati siano "angeli caduti", condotti fuori dal paradiso da Lucifero ma non abbastanza crudeli da essere rinchiusi nell’inferno e quindi destinati ad abitare sulla terra; inoltre si afferma che in base al luogo del loro atterraggio essi assumano le caratteristiche dell’ambiente, ad esempio le fate che sono cadute nell’acqua che si sono trasformate in ondine o ninfe marine.

Un’ultima credenza, nata dalla mitologia greca, sull’origine delle fate, ma per molti considerata la più importante, narra di tre dee, figlie di Zeus, responsabili della vita dell’uomo; queste dee venivano chiamate parche e custodivano nelle loro mani in filo lunghissimo, prezioso e magico che rappresentava il destino degli uomini. Ogni giorno la dea più anziana lo tesseva con infinita cura e lo misurava con particolare attenzione mentre, la dea più piccola lo tagliava e quando e venivano infastidite dal comportamento degli umani erano in grado di tagliarlo di netto e di aggrovigliarlo nel più fastidioso dei modi in modo da infliggere una giusta punizione alla razza umana.

 

2011  (1258/60) La Saga di Burnt Niall

Mille anni sono trascorsi dagli eventi storici raccontati nella  Saga di Burt Niall  che ha per ambiente Bergthorshvoll nel sud dell'Islanda. La saga si occupa del processo di faide nel Libero Stato islandese in cui insulti all’onore  di qualsiasi genere portavano sempre a spargimenti di sangue distruttivi e prolungati nel tempo. Nella saga di  Niall cento uomini armati attaccarono la sua fattoria come parte di un ciclo di uccisioni e vendette.

Niall, un saggio e stimato avvocato, la moglie Bergthora, tre dei loro figli e servitori furono tutti bruciati vivi.  Solo il figlio di Niall, Kari Sölmundarson, riuscì a sfuggire alle fiamme. La sua sola aspirazione fu quella di prendersi la rivincita sui piromani.Nonostante le ampie ricerche archeologiche a Bergthorshvoll  non sono mai stati trovati segni del rogo. La Saga di Njáls è la più lunga e la più sviluppata tra  le saghe islandesi. Il trittico dei valori raffigura alcuni degli eventi che hanno avuto luogo durante l’incendio.

Anno 2012  (23 nov.) Il Troll notturno.  Il tema  dei 2 valori emessi per il Natale  del 2012  si basa sulla storia del Troll notturno,  incluso nella raccolta di racconti popolari islandesi Jón Árnason.

La storia raccontata da una vecchia donna da Rangárþing è stata registrata nel 19 ° secolo. Secondo la storia, alcune persone che custodivano una fattoria in Islanda, nella notte di Natale furono  trovate morte o impazzite. Si narra che una giovane contadina si offrì di rimanere a casa la notte di Natale.  Si sedette nella camera da letto di un bambino per tenergli compagnia, cantandogli ninnananne.  Quella notte un troll, venuto dalla finestra, iniziò a recitare versi in lode della bellezza della ragazza. Lei rispose immediatamente, recitando in cambio dei versi da lei scritti.  Al sorgere del sole il troll scomparve dalla finestra.  Quella stessa mattina una grande roccia fu trovata nel cortile, e da allora non fu mai tolta. La ragazza raccontò gli avvenimenti della notte e divenne chiaro che un troll notturno era apparso alla finestra ed era stato  trasformato in pietra all'alba del giorno.

 

ITALIA

1944    (515) Romolo e Remo (o secondo alcuni autori antichi Romo) sono, nella tradizione mitologica romana, due fratelli gemelli, uno dei quali, Romolo, fu il fondatore eponimo della città di Roma e suo primo re. La data di fondazione è indicata per tradizione al 21 aprile 753 a.C. (detto anche Natale di Roma e giorno delle Palilie). Secondo la leggenda erano figli di Rea Silvia, discendente di Enea, e di Marte.

La leggenda  dei due fratelli  Amulio e Numitore narra che Amulio cacciò il fratello dal trono e divenne re di Albalonga. Per non avere rivali costrinse poi la figlia di Numitore, rea Silvia, a diventare vestale e quindi a non sposarsi. Le vestali erano, infatti, custodi del fuoco sacro e non potevano unirsi in matrimonio. Ma Rea Silvia fu amata dal dio Marte ed ebbe due gemelli: Romolo e Remo. Amulio fece murare viva Rea Silvia e diede l’ordine ad una guardia di disfarsi dei due piccini. Impietosita per la loro sorte, la guardia li affidò, in un cesto, alla corrente del fiume Tevere. Ma il cesto si impigliò a riva presso il monte Palatino e una lupa, che si accorse dei neonati, li prese con sé e li allattò. Il pastore Faustolo, incuriosito dall’andirivieni della lupa, la seguì e scoprì i due gemelli. Non avendo figli propri, li accolse nella propria casa.

Divenuti adulti, essi vennero a conoscenza della loro origine, uccisero lo zio Amulio, restituirono il trono al nonno Numitore e andarono a liberare la madre.

Un giorno decisero di fondare una città: Romolo la voleva sul colle, il Palatino, mentre Remo aveva scelto la pianura.

Non trovando un accordo, si affidarono al responso degli dei: chi avesse visto, in un certo tempo e in uno spazio definito di cielo, il maggior numero di uccelli avrebbe vinto.

Vinse Romolo, che cominciò a tracciare con l’aratro il solco sacro che avrebbe delimitato la città, Roma. Remo lo prendeva in giro e saltellava sul solco, finché Romolo si arrabbiò e lo uccise.

Era l’anno 753 a. C.: Romolo divenne così il primo re di Roma.

 

 

1950  (618)  Perseo  Perseo è un eroe della mitologia greca, figlio di Zeus e di Danae, figlia del re di Argo Acrisio. Attraverso la madre discende da Linceo e Ipermestra, perciò dai fratelli Danao e Egitto. Perseo viene ricordato soprattutto per l'uccisione della Gorgone Medusa, per aver salvato Andromeda, poi sua sposa, da un mostro marino e per essere stato re di Tirinto, dopo aver rinunciato al trono di Argo a favore di Megapente, e di Micene, città che fondò lui stesso.

Dalla moglie Andromeda ebbe molti figli, tra i quali Elettrione (suo erede e nonno di Eracle) e Gorgofone (madre di Icario e nonna di Penelope, sposa di Odisseo).

 

 

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