GAMBIA

 

1975 (313)  La battaglia dei Centauri. Il centauro è un animale mitologico, metà uomo e metà cavallo. Leggende minori (probabilmente confusi con i satiri), ne fanno creature metà uomini e metà caproni. Nella mitologia è spesso dipinto con carattere irascibile, violento, selvaggio, rozzo e brutale, incapace di reggere il vino. Solitamente raffigurati armati di clava o di arco, emettevano urla spaventose.

La figura del centauro ha origine dall'amore sacrilego fra il re dei Lapiti Issione e un sosia della dea Era, Nefele, dalla cui unione nacque, appunto, Centauro, capostipite di tutti i centauri.

La più famosa leggenda che coinvolge i Lapiti è quella della loro battaglia contro i Centauri in occasione della festa nuziale di Piritoo, la cosiddetta "Centauromachia". I Centauri erano stati invitati ai festeggiamenti ma, non essendo abituati al vino, ben presto si ubriacarono, dando sfogo al lato più selvaggio della loro natura. Quando la sposa Ippodamia ("colei che doma i cavalli") arrivò per accogliere gli ospiti, il centauro Euritione balzò su di lei e tentò di stuprarla. In un attimo anche tutti gli altri centauri si lanciarono addosso alle donne ed ai fanciulli. Naturalmente scoppiò una battaglia nella quale anche l’eroe Teseo, amico di Piritoo, intervenne in aiuto dei Lapiti. I centauri furono alla fine sconfitti e scacciati dalla Tessaglia e ad Euritione furono mozzati naso ed orecchie. Durante lo scontro cadde il Lapite Ceneo.

Ceneo, uno tra i Lapiti più famosi, originariamente era una ragazza di nome Ceni ed era la favorita di Poseidone che, per esaudire una sua supplica, la trasformò in un uomo rendendola un guerriero invulnerabile. Nel corso della battaglia contro i Centauri Ceneo si era dimostrato invulnerabile ancora una volta, finché i Centauri non decisero semplicemente di schiacciarlo con dei massi e dei tronchi d’albero: a quel punto egli sprofondò ancora apparentemente illeso nelle profondità della terra, dalle quali riemerse trasformato in un uccellino.

La battaglia tra Lapiti e Centauri fu rappresentata sulle sculture dei fregi che decoravano il Partenone, per richiamare il reciproco rispetto e l’alleanza tra l’ateniese Teseo e il Lapite Piritoo, nonché su quelle del tempio di Zeus ad Olimpia. Fu inoltre un tema estremamente popolare per i decoratori di vasellame.

 

2000 (483)  Danae. Danae è una figura della mitologia greca, figlia di re Acrisio di Argo e di Euridice (nessuna relazione con l'Euridice di Orfeo) oppure di Aganippe. Danae era la madre di Perseo, che ebbe da Zeus. Le viene talvolta attribuita la fondazione della città di Ardea, nel Lazio.

Contrariato dalla mancanza di un erede maschio, Acrisio chiese ad un oracolo se le cose sarebbero cambiate. L'oracolo gli disse di andare fino alla fine della Terra, dove sarebbe stato ucciso dal figlio di sua figlia. Danae era senza figli, così il padre la rinchiuse in una torre di bronzo (o una caverna), ma Zeus andò da lei in forma di pioggia d'oro e la mise incinta. Poco dopo nacque suo figlio Perseo.

Infelice, ma deciso a non provocare l'ira degli dei uccidendo la sua discendenza, Acrisio abbandonò i due in mare, dentro una cassa di legno. Il mare venne calmato da Poseidone, su richiesta di Zeus, e madre e figlio sopravvissero. Arrivarono a terra sull'isola di Serifo, dove vennero raccolti da Ditti, fratello di Re Polidette, che allevò il ragazzo fino all'età adulta. Successivamente, dopo che Perseo ebbe ucciso Medusa e salvato Andromeda, la profezia dell'oracolo si avverò.

Perseo partì verso Argo, ma venuto a sapere della profezia si recò invece a Larissa, dove si svolgevano dei giochi atletici. Per caso Acrisio si trovava lì, e Perseo lo colpì accidentalmente con il suo giavellotto (o con un disco), avverando la profezia. Troppo imbarazzato per tornare ad Argo, cedette il regno a Megapente, figlio di Proteo (fratello di Acrisio) in cambio del regno di Tirinto. Perseo fondò anche Micene e Midea.

Secondo una più tarda leggenda italica, Danae, liberata dal figlio, giunse in Italia, fondò Ardea, sposò Pilumno e da queste nozze nacque Dauno antenato di Turno.

 

 

GERMANIA

 

1958  (157/8) Favole  La volpe e l’oca. Una volpe aveva catturato una bella oca grassa che dormiva accanto a un specchio d’acqua.

Mentre l’oca starnazzava e fischiava, la volpe la schernì: «Sì sì, schiamazza pure», disse la volpe, «ma se invece di essere io a tenere in bocca te, fossi tu a tenere me, cosa faresti?»

«Be’», disse l’oca, «è facile a dirsi. Congiungerei le mani, chiuderei gli occhi, reciterei una preghierina di ringraziamento e ti mangerei».

La volpe congiunse le mani, fece una faccia solenne, chiuse gli occhi e recitò la preghierina di ringraziamento. Ma mentre lo faceva l’oca spalancò le ali e se la filò, allontanandosi sull’acqua.
«Ne farò una regola di vita», borbottò la volpe, leccandosi le labbra rimaste asciutte, «non pronuncerò mai più una preghiera di ringraziamento fino a che non avrò la preda nella pancia».

           

Il cacciatore  provetto ( vedi fiaba dei Fratelli Grimm).

 

1980 (879)  Ifigenia. Ifigenia (chiamata anche Ifianassa) era figlia di Agamennone e Clitennestra. Si racconta che in realtà fosse figlia di Teseo ed Elena Ancora giovinetta, Elena fu rapita dall'eroe che, secondo alcuni autori, la violò. Elena fu poi salvata dai Di oscuri e giurò loro di aver mantenuto la sua verginità, ma in realtà, ad  Argo, sulla strada del ritorno, diede alla luce una bimba, Ifigenia, e consacrò ad Artemide un santuario in segno di gratitudine per il parto alleviato dalla sofferenza. Poi affidò la neonata a Clitennestra che l'adottò come sua figlia.

Un giorno, Agamennone uccise una cerva con una freccia saettata da una lunga distanza, e, imbaldanzito, emise un sacrilego vanto: «Neanche Artemide ci sarebbe riuscita!», oppure, promise di sacrificare alla dea la creatura più bella sbocciata nel suo regno in quell'anno, lo stesso in cui poi venne alla luce Ifigenia, ma si rifiutò poi d'immolarla, o ancora, uccise una capra sacra alla dea. Artemide fu offesa dal sacrilegio e scatenò presto forti venti che respinsero per alcuni giorni le navi greche sulle coste di Aulide, impedendo loro di salpare per Troia. L'indovino Calcante  fu consultato e vaticinò che la flotta non sarebbe salpata se Agamennone non avesse sacrificato alla dea irata la più bella tra le sue figlie. In un primo momento, Agamennone s'oppose al sacrificio della propria figlia e sostenne che Clitennestra non avrebbe mai dato il suo consenso all'uccisione di Ifigenia. Le truppe greche insorsero, minacciando di giurare fedeltà a Palamede e di abbandonare il re, se si fosse ostinato nel suo cieco rifiuto. Ulisse si finse colto da un'ira rabbiosa e fu sul punto di salpare per Itaca, quando Menelao s'intromise e cercò di placare gli animi. Sino a quando non avesse concesso il sacrificio, Agamennone fu sospeso dalle sue prerogative e l'esercito elesse al suo posto Palamede. Menelao esortò allora il fratello a lasciare che Ulisse e Taltibio andassero a Micene e conducessero Ifigenia in Aulide, con il pretesto che, se Achille non l'avesse presa in moglie, si sarebbe rifiutato di salpare per Troia.

Secondo alcuni autori, Ifigenia fu sacrificata a Poseidone.

 

1991 (1408/9)  Racconti popolari: Il violinista.  Un uomo voleva imparare a suonare il violino e decise di rivolgersi ad un nøkk (mostriciattolo marino), il quale però voleva qualcosa in cambio dopo ogni lezione. L’uomo rispettò i patti per un po’ di tempo, ma un giorno stanco di dover dare queste ricompense, prese un osso e glielo tirò in acqua; ma il nøkk non uscì dalle acque e infuriato per l’insulto subito, maledisse l’uomo il quale da quel giorno non fu più in grado di suonare uno strumento né di imparare a farlo.

 

La donna del mezzogiorno.  La strega di mezzogiorno appare sempre all’ora di pranzo, nel momento del raccolto, quando il calore e l’afa ottenebrano la mente di uomini e donne, per chiedere alla morte di ucciderli con la sua falce. Si presenta sotto forme diverse, ha i capelli neri e i piedi a forma di cavallo. Indossa una veste bianca. Le piace rapire i bambini.

Sembra che la leggenda  sia nata nel periodo dei raccolto quando molti schiavi, uomini e donne, venivano costretti a lavorare nella  piena calura del mezzogiorno, e il calore ottenebra le menti e può provocare visioni.

Vermutlich entstand die Sage, da während der Erntezeit viele Knechte und Mägde auch in der Mittagshitze aufs Feld geschickt wurden und dort einen Hitzeschaden erlitten.

 

 

 

1999 (1908) Salomè (nata nel 14  circa – morta tra il 62  ed il 71) fu una principessa giudaica, figlia di Erodiade e di Erode Filippo , protagonista di un episodio narrato nel Vangelo di Marco (6,17-28) e nel Vangelo di Matteo (14,3-11), che ha come protagonisti lei e Giovanni Battista.

Erodiade, madre di Salomè, abbandonò il marito Erode Filippo I e andò a convivere con il cognato, il re Erode Antipa. Giovanni Battista condannò pubblicamente la condotta dello zio di Salomè; questi lo fece prima imprigionare, poi, per compiacere la bella figlia di Erodiade, che aveva ballato ad un banchetto, lo fece decapitare.

Giuseppe Flavio ha riferito che Salomè in seguito sposò il tetrarca Filippo e successivamente Aristobulo, re di Calcide dal quale ebbe tre figli.

Alcune leggende narrano che Salomè, in realtà, non morì in tarda età ma fece un'orribile morte prematura. Un documento apocrifo, la Lettera di Erode a Pilato, racconta che essa decise di danzare su una pozza d'acqua ghiacciata, e mentre era impegnata nella sua danza la lastra di ghiaccio si ruppe facendola sprofondare nelle acque gelide; sua madre tentò di salvarla dai flutti dell'acqua tenendola per il capo, ma questa si staccò rimanendole in mano mentre il corpo rimase nell'acqua..

Una variante della storia racconta che il suo corpo rimase imprigionato nel ghiaccio mentre la testa rimase in superficie come se fosse stata mozzata e messa su un vassoio (come essa volle che accadesse per Giovanni Battista). Un'altra versione, invece, racconta che sia il corpo che la testa caddero nell'acqua ghiacciata, e che  il capo venne mozzato dai punzoni di ghiaccio

 

 

GHANA

 

1997 (1976)  Il bovaro e la dea tessitrice    Antica storia d’amore cinese risalente a 2000 anni fa. Un mandriano di bufali si innamorò perdutamente di una bellissima dea tessitrice dopo averla vista nel suo campo. I due giovani si sposarono ed ebbero due bambini. Ma la moglie dovette ritornare in cielo per rioccupare il suo posto nella sede degli dei. Il marito e i figli andarono alla sua ricerca ma non poterono ritrovarla perché li separava un fiume celeste che  teneva la donna lontano dalla terra. I due fecero presente la loro situazione all’imperatore del cielo, chiedendo di potersi rivedere. Furono esauditi: si riabbracciarono ogni anno nel settimo giorno del settimo mese.

1999 (2341/4)

 

L’agricoltore e la lepre  Si tratta di una famosa storia cinese tratta dall’opera I lavori di Han Fei Tzu. Racconta la vicenda di un contadino che viveva nel regno dell’imperatore Sung. Il contadino, un uomo diligente, ottimo lavoratore, curava il suo campo dall’alba al tramonto. Un giorno mentre riposava all’ombra di un albero, vide una lepre correre tra l’erba. Non avendolo forse visto, l’animale andò a sbattere violentemente la testa contro il tronco di un albero e morì sul colpo. Il contadino felice prese il corpo dell’animale che aveva  ottenuto senza colpo ferire e fece ritorno a casa.  Da quel giorno, sperando nella fortuna, smise di lavorare il campo  e seduto sotto l’albero attese che qualche altra lepre subisse la stessa sorte. Attese giorno dopo giorno e anno dopo anno. Inutilmente. Nessun altra lepre subì la stessa sorte e il campo, non più lavorato, si riempì di erbacce e di sterpi.

 

2000  (2498/2503)

La figlia del Re DragoMentre faceva ritorno a casa, dopo aver sostenuto l’esame nazionale, il giovane letterato Liu-Yi incontra una bellissima pastorella che gli confessa di essere in realtà la figlia del Re Drago, protettore del lago Dong-Ting. Per sua sfortuna la giovane ha sposato il Re Drago del fiume Jing che l’ha maltrattata.  In compagnia di Liu-Yi, si avviano alla volta del lago Dong-Ting dove il giovane colpisce un albero d’arancio. All’improvviso rumore emerge dalle acque del lago un guerriero il quale accompagna il giovane al cospetto del Re Drago. Appena riferito al re circa il suo incontro con la principessa e raccontata la ragione del suo ritorno a casa,  nella sala si scatenano lampi e tuoni e dal tetto aperto scende un  enorme drago rosso. Questi  non è altro che lo zio della principessa, il Drago Rosso del fiume Chieng-Tang. Il Drago Rosso, infuriato per il trattamento subito dalla nipote, invita a duello il Drago del fiume Jing e lo uccide. Purtroppo nella lotta molte altre persone rimangono coinvolte e vengono uccise,  annegate nel fiume che si era ingrossato e aveva allagato le campagne circostanti. La principessa viene così liberata da ogni precedente vincolo e il Drago Rosso chiede a Liu-Yi se intende sposare sua nipote. Ma questi rifiuta e se ne va dopo aver ricevuto i ringraziamenti da parte della fanciulla che aveva salvato dall’incresciosa situazione in cui si era trovata. Toccato dalla sua sincerità Liu-Yi si pente di aver rifiutato il matrimonio, ma il suo orgoglio non gli permette di ritornare sulla sua decisione. Con la vendita di una parte del compenso ricevuto dal padre della ragazza, Liu-Yi diventa un ricco signore. Si sposa due volte e per due volte rimane vedovo. Rattristato, lascia la sua dimora per trovarne un’altra nella comunità di Ji-Lang dove sposa una donna di ricca famiglia. Poco dopo il matrimonio Liu-Yi comincia a notare una somiglianza con la figlia del Re Drago, ma quando racconta l’incontro con la principessa questa si rifiuta di credere alla storia, per quanto affascinante. Solo dopo un anno, durante la cerimonia della celebrazione della nascita del primo figlio, la moglie gli rivela di essere la figlia del Re Drago. Gli spiega di essere rimasta offesa per il suo rifiuto, tuttavia, dopo aver appreso la morte della sua seconda moglie,  aveva chiesto a suo padre di organizzare il matrimonio. Felice ora di scoprire che Liu-Yi l’aveva sempre amata e che il suo rifiuto era dettato solo dall’orgoglio, si trasferisce con lui nel lago Dong.Ting, dimora del padre. Le persone che li incontrarono nei successivi cento anni affermano che, miracolosamente,  i due sposi non sono mai invecchiati.

 

 

2000  (2524/9+BRF 386)  

Funghi d’Africa in compagnia  di personaggi fiabeschi


 

2001 (2600 A-F), 2001 

La storia del serpente bianco.  In origine la Signora in bianco e la sua dama Xiao Qing erano dei piccoli, magici serpenti, uno di color bianco e l’altro verde. Solo in seguito la Signora in Bianco e la dama Xiao Qing si trasformarono in due bellissime donne.  Sulla riva del Lago Ovest, durante un’improvvisa tempesta, incontrano il farmacista Xu Xian che regala loro un ombrello. La Signora in Bianco si innamora di lui, lo sposa e assieme lavorano per sviluppare al massimo l’attività della farmacia. Indispettito per la felicità della coppia, il monaco Fa Hai svela al farmacista che sua moglie in origine era un serpente e per averne la prova sarebbe bastato farle bere il vino regale, offerto durante il Festival della Barca del Drago. Avvenne quindi che, appena bevuto il vino, la donna si trasformasse in serpente. A tale vista il marito fu colpito da  un infarto e la sola medicina per curarlo era  un’erba che cresceva nel giardino del Dio della Longevità. La Signora in bianco, riprese le fattezze umane, andò alla ricerca dell’erba particolare  Quando giunse nel giardino dovette affrontare il cervo del giardino e le gru, animali posti dal Dio a guardia delle sue piante. Scoperta mentre tentava di raccogliere l’erba, non fu  punita dal dio il quale comprese che il furto era dettato dall’amore, anzi le imprestò la gru affinché potesse far ritorno al più presto dal marito Xu Xian che subito guarì.   A questo punto il monaco Fa Hai mise in atto dei sistemi più violenti. Cercò di rapire il marito, ma questo riuscì a  sfuggirgli portando con sé i due serpenti magici. Fa Hai continuò nel suo disegno e comparve alla festa della nascita del figlio della coppia. Ricorrendo ad una magica coppa, riuscì a catturare la Signora in bianco e a rinchiuderla in una prigione sotterranea sotto la pagoda Leifeng. Anni dopo la dama Xiao Qing con i suoi poteri magici, che nel frattempo si erano potenziati, distrusse la pagoda a colpi di spada, liberando così la sua Signora. Poi gettò un incantesimo sul malvagio monaco, tramutandolo in un granchio.

 

2001  (2682/7  +BF 407) 

La storia del principe Sakyanumi. Buddha, prima della sua incarnazione come Sakyanumi, la lepre,  incontrò il dio Indra travestito da mendicante. Buddha era in compagnia di scimmie, lepri  e una volpe. Per metterli alla prova,  Indra chiese loro qualcosa da mangiare Le lepri non trovarono nulla di meglio se non accendere un fuoco e saltarvi dentro per offrirsi come alimento al dio.  Per ringraziare  tutti quanti per il sacrificio e l’ospitalità, Indra dispose che le lepri entrassero a far parte delle divinità del cielo.

 

2001 (2625/32)I racconti di  Ise  Nella baia di Ise , sulle coste del Giappone, nell’isola di Honshu, si trova il tempio di Ise, che viene ricostruito ogni vent’anni in legno di cedro, conservando sempre lo stile a pavimento sopraelevato dell’architettura giapponese prebuddista. Sin dall’antichità è il più importante centro sacro dello scintoismo, meta di grandi pellegrinaggi.

Attorno ad esso fiorirono numerose storie, leggende e racconti, appartenenti al genere dei monogatari. Si tratta di testi di estensione varia, in prosa e in prosa mista a versi di carattere epico, leggendario e favolistico  o più spesso romanzesco e anche di raccolte aneddotiche o diaristiche, come Ise monogatari, Eigwa monogatari, Koniaku monogatari.

I racconti di Ise è un’opera letteraria del genere utamonogatari (romanzo poetico). L'opera, che venne portata a termine verso la fine del sec. X, è l'esito di un lungo processo di compilazione, per mano di autori diversi. A un nucleo originario, costituito dalla raccolta poetica attribuita ad Ariwara no Narihira, vennero aggiunte poesie del Manyōshū, del Kokinshū e di altre antologie poetiche, oltre a poesie attribuite da alcuni alla poetessa Ise, da altri a narrazioni popolari della provincia di Ise. Questi componimenti, in tutto 209, sono raccolti in 125 capitoli che narrano, in uno stile limpido e lineare, le avventure amorose del poeta galante Ariwara no Narihira.

( Vedi anche GRENADA 2001  (3875/8), GRENADA-CARRIACOU  2001  (3011/4),  

 

 

2015 (5 feb.)  La bella addormentata nel bosco. La storia narra di un regno lontano, i desiderano da tempo una bambina. Nasce loro un'erede cui danno il nome di Aurora. Durante i festeggiamenti per la neonata tutta la gioia dei neogenitori si perde quando si presenta nel regno la perfida Malefica, offesa per il mancato invito al battesimo, promette la morte alla piccina entro il sedicesimo compleanno.
Grazie alle tre buone fate madrine Flora, Fauna e Serenella l'infante Aurora  riesce nonostante l'allontanamento dai genitori, necessario per la sua incolumità, a trascorrere un'infanzia spensierata nei boschi circostanti. La ragazza incontra anche l'amore, un giovane e aitante principe..
Allo scoccare del suo sedicesimo compleanno però la perfida Malefica riesce a trovarla ed a rimanere sola con lei. Con un sortilegio e un fuso (un attrezzo appuntito usato per filare la lana), la strega compie il suo piano diabolico. Malefica però non sa che la buona fata Serenella, al momento della sua profezia, aveva dato in dono alla neonata la possibilità di non morire ma di cadere in un sonno profondo "dal quale si potrà risvegliare solo attraverso il bacio del vero amore". Entra così nuovamente in scena il bel principe. Con il suo coraggio e il grande amore verso Aurora il principe riesce a risvegliarla  dall’incantesimo.

 

GIAPPONE

 

1973  (1095/7) 

Il vecchio che fece rifiorire gli alberiDue vecchietti, marito e moglie, gentili d’animo, salvano un cane che un vicino seviziava giornalmente. Il cane, riconoscente, scavando nel giardino fece trovare ai due vecchi molte monete d’oro.  Il vicino, invidioso,  rivolle il cane e lo costrinse a scavare nel suo giardino ma invece di oro trovò cose disgustose.  Allora lo uccise e lo seppellì. Sulla tomba, nel giro di pochi giorni,  nacque  un salice. che il padrone si affrettò a tagliare e a gettar via. Il vecchietto buono ricavò dal tronco un mortaio e quando vi pestava dentro  qualcosa ne ricavava sempre polvere d’oro.  Venuto a conoscenza del prodigio, il vicino invidioso glielo rubò, ma lungi dal ricavare oro ne ottenne sempre cose sgradevoli, per cui bruciò il mortaio.  Il vecchio buono raccolse una parte della cenere che sparse nel suo campi dove subito nacquero alberi meravigliosi, tanto che tutti lo chiamarono “L’uomo che faceva rifiorire gli alberi”. Anche il vicino fece la stessa cosa nel suo campo, ma tutte le sue piante morirono. E tutti lo derisero.

 

 

1974  (1101/3) .  Tauru Nyobo. La gru trasformata in donna

La fiaba giapponese parla di un uomo che sposa una donna che è in realtà una gru  travestita da essere umano. Per fare soldi la fanciulla-gru strappa le proprie piume per tessere le stoffe di seta che l'uomo vende, ma, usando tale sistema, si ammala. Quando l'uomo scopre la vera identità della moglie e la natura della sua malattia, lei lo lascia. Ci sono altre storie giapponesi su uomini che sposano kitsune (spiriti di animali in forma umana). Anche se in questi racconti la vera identità della moglie rimane un segreto per il marito e lei  rimane volentieri accanto a  lui fino a quando il marito scopre la verità. A quel punto lei lo abbandona.

                                                                                                                                                             

1974 (1111/13) 

Il tagliatore di bambù  Una vergine della luna viene esiliata sulla Terra per castigo. Tagliando un bambù che emana una luce misteriosa, un vecchio trova in una delle giunture una bellissima fanciulla alta come una mano. La porta a casa e la alleva. Diventa una bellissima donna che molti corteggiano. A tutti i pretendenti Kaguia-Hime, ’la principessa splendente’, propone prove che tutti falliscono. Lo stesso imperatore si innamora di lei. Ma la principessa splendente ottiene il perdono e una notte l’esercito celeste scende sulla Terra per poi ricondurla lassù, tra la desolazione di coloro che l’hanno amata.

 

1974  (1117/9) Tom Pouce. Pollicino. Si tratta di una storia simile a quella di Pollicino di Perrault.

 

1974  (1121/3) 

Il vecchio col gozzo

 

  1975  (1141/3) Urashijma Taro.  Un pescatore -Urashima Taro- sottrae una tartaruga alle angherie di un gruppo di bambini. Come ricompensa, la regina Othoime lo invita nel suo regno sottomarino dove, tra meraviglie d’ogni sorta, Taro trascorre giorni davvero felici. Ma la nostalgia si fa sempre più intensa e Taro decide di tornare a casa. Come ricordo, la regina gli dona un prezioso scrigno che egli però non dovrà aprire mai. Al ritorno, Taro scopre che tutto è cambiato. Il suo paese è diventato una città, una fabbrica ha preso il posto della sua casa, per le strade è tutto un viavai di auto, l’aria è diventata irrespirabile. Triste e desolato va alla spiaggia, si ricorda dello scrigno e lo apre. Una nuvola di fumo bianco lo avvolge. E Taro invecchia improvvisamente.

 

1975  (1149/51)  Il paradiso  del topo

 

 

1990   (1843) 

I bimbi corvo

 

1994 (2172)  Ushiwakamuru e Benkei.  Ushiwakamaru è il nome d'infanzia del leggendario eroe del XII secolo Minamoto no Yoshitsune (1159 - 15 giugno 1189) che fu  un generale del clan Minamoto allafine degli anni Heian e l'inizio del periodo Kamakura .

E 'considerato uno dei più grandi guerrieri della sua epoca e uno dei combattenti samurai più famosi della storia del Giappone. Le leggende su di lui abbondano; in esse  viene descritto come un grande guerriero virtuoso, ma è stato anche mostrato come irascibile, privo di tatto, schietto e ingenuo.

In una leggenda legata alla sua.figura Yoshitsune è raffigurato come uno spadaccino coraggioso e abile, pur essendo un ragazzo. E 'stato anche abile nella musica e dei suoi studi, e di lui si racconta che fosse oltremodo galante con le donne.  Abile spadaccino sconfisse il leggendario monaco guerriero Benkey in un duello. Da allora in poi, Benkei divenne il braccio destro.di Yoshitsune, alla fine muore con lui durante l'assedio di Koromogawa .

 

 

GIBILTERRA

Anno 1981 (418/19) Le Colonne d'Ercole.  Nella letteratura classica indicano il limite estremo del mondo conosciuto. Oltre che un concetto geografico, esprimono anche il concetto di "limite della conoscenza". Geograficamente, visto che la loro esistenza è presunta, vengono collocate in corrispondenza della Rocca di Gibilterra e del Jebel Musa (oppure del Monte Hacho) che sorgono rispettivamente sulla costa europea e quella africana e una volta chiamate Calpe e Abila. Altri le collocano nello Stretto di Messina.

Attualmente si considera lo stretto di Gibilterra essere il confine non plus ultra (lett. "non più avanti") scelto da Eracle. Secondo la mitologia l'eroe, in una delle sue dodici fatiche, giunse sui monti Calpe ed Abila creduti i limiti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mortali. Separò il monte ivi presente in due parti (le due colonne d'Ercole) e incise la scritta non plus ultra.

 

1997  (795/8)  Il veliero “Mary Celeste”Il brigantino “Mary Celeste” partì da un porto americano alla volta di Genova. Era comandato dal capitano Spooner.  La nave arrivò a Genova, ma a bordo non fu trovato nessuno, tranne un gatto.  Non si seppe mai che fine avesse fatto l‘equipaggio e le ipotesi furono molte: una tremenda tempesta, come si accennava sul diario di bordo oppure… In questi ultimi anni qualcuno azzardò l’ipotesi che equipaggio e passeggeri fossero spariti mentre la nave attraversava il Triangolo delle Bermude. Ma chi la guidò sino a Genova? Si tratta di una leggenda del mare. 

 

 

GILBERT & ELLICE

1973  (203/6) Leggende sui nomi delle isole: Fanafuti-Il paese delle banane. Butaritari-Il profumo del mare.  Tarawa- il centro del mondo. Abemama- il paese della luna.

 

1975  (240/3)  Leggende sui nomi delle isole. Bud-Beru. I 6 giganti. Onotoa, la terra del nord. Abaiang. La rete. Marakei.  

 

 

 

GRAN BRETAGNA

 

1929 (183)  Leggenda di San GiorgioSan Giorgio, patrono dell'Inghilterra, del Portogallo e della Lituania, nacque in Cappadocia (Turchia), tra il 275-285 circa e morì a Nicomedia, il 23 aprile 303.

La festa liturgica si celebra il 23 aprile. La sua memoria è ricordata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. Viene onorato, ad iniziare dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa. Nel 1969 però la Chiesa cattolica declassò il santo nella liturgia a una memoria facoltativa, ma la devozione dei fedeli è continuata.

Giorgio era figlio di  Geronzio, persiano, e Policromia, cappadoce. I genitori lo educarono alla religione cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie. Considerato un santo greco antico, venerato come martire,  il suo culto risale al IV secolo. Di lui non esistono notizie biografiche certe. Le principali informazioni provengono dalla Passio Georgici, un’opera che già il Decretum Gelasianum del 496 classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte, il martirio sarebbe avvenuto sotto Diocleziano stesso (che però in molte versioni è sostituito da Daciano imperatore dei Persiani), il quale convocò settantadue re per decidere le misure da adottare contro i cristiani. Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi, e, davanti alla corte, si confessò cristiano; all'invito dell'imperatore di sacrificare agli dei si rifiutò e dovette subire il  martirio. Secondo la leggenda venne frustato, sospeso, lacerato e gettato in carcere dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione.

Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio risuscita operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, che vengono uccisi a fil di spada; entra in un tempio pagano e con un soffio abbatte gli idoli di pietra; converte l'imperatrice Alessandra che viene martirizzata.

A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscita due persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezza e le fa sparire. L'imperatore Diocleziano lo condanna nuovamente a morte, e il santo prima di essere decapitato, implora Dio che l'imperatore e i settantadue re siano inceneriti; esaudita la sua preghiera, Giorgio si lascia decapitare promettendo protezione a chi onorerà le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana (di rito Greco-Ortodosso), a Lydda (l'odierna Lod, in Israele.

Nella  Legenda Aurea (una collezione di vite biografie dii santi scritta in latino da Jacopo da Varazze (Iacopo da Varagine), Si narra che in una città chiamata Selem, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno, ma quando queste cominciarono a scarseggiare furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte.

Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, la principessa Silene. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio a metà del regno, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso lo stagno per essere offerta al drago.

In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell'imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa Silene di non aver timore e di avvolgere la sua cintura al collo del drago. La giovane eseguì e il mostro prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io lo ucciderò».

Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città trascinato da quattro paia di buoi.

Una leggenda parallela nacque in Cina ma al posto di un giovane soldato vi è una giovane guerriera.

In occasione dell’Anno del drago, sul n. 259 di ‘Cronaca Filatelica’, in un articolo di A.Landini così si leggeva: “Secondo Kao Pao, scrittore famoso che visse ai tempi dell’imperatore Yuan Ti (a.D. 317-323) della Dinastia dei Chin, una specie di  mostruoso serpente, lungo più di una trentina di metri e con un diametro di circa tre metri, abitava una caverna, sulle montagne Tay-lin, nella provincia di Fukien. Questo serpente o drago che fosse incuteva terrore alle popolazioni vicine e gli indovini avevano proclamato che per propiziarselo era necessario offrirgli annualmente in sacrificio una giovinetta. Le autorità del luogo usavano a tale scopo le figlie dei condannati e degli schiavi. In un giorno fissato dell’ottava luna, dopo i debiti riti, la disgraziata fanciulla era portata all’imboccatura della caverna e, durante la notte, il drago usciva per divorarla.

Già nove vite erano state date in pasto al mostro. Si avvicinava il tempo del decimo sacrificio, ma non era possibile trovare la fanciulla che potesse essere immolata. L’imbarazzo era grave. D’un tratto ‘Chi’, la sesta figlia di un magistrato del luogo, si offerse, vittima volontaria, con grande costernazione dei suoi genitori, che fecero ogni sforzo per dissuaderla dal terribile proposito. La bella ‘Chi’, però,  non si smosse: diceva che non poteva arrecare alcuna utilità alla famiglia, alla quale non era che di peso, e che il dovere filiale la obbligava a sacrificare la sua esistenza. Sarebbe andata dal drago e nessuno  avrebbe potuto dissuaderla da tale proposito. Solo pregava che le fossero dati una buona spada e un cane allenato nell’attaccare serpenti.

Il fatale mattino, accompagnata dal cane e munita della spada e di una quantità di riso bollito con miele, si recò alla bocca della caverna, collocò il riso sul limitare e attese. Ed ecco che  il mostro apparve. I suoi occhi enormi lampeggiavano nell’oscurità. Si avviò verso la fanciulla che impavida lo attendeva, attratto dall’odore del  miele, si arrestò per mangiare il riso. In quel mentre ‘Chi’ lasciò il cane, che si avventò alla mascella del mostro, mentre lei, con la spada, lo colpì ripetutamente con tutta la sua forza. Mortalmente ferito, il drago cercò di trascinarsi fino alla caverna, ma esausto morì prima di raggiungerla. La fanciulla vi entrò, raccolse pietosamente le ossa delle nove vittime che l’avevano preceduta, e quietamente rientrò nella casa paterna. Sentito il valore della fanciulla, qualche tempo dopo il sovrano dello stato di Yueh la fece sua sposa e regina.” 

 L’iconografia, in particolar modo nei secoli XIV e XV, si impossessò della figura di San Giorgio per edificare ed esaltare le virtù cavalleresche e San Giorgio fu da allora raffigurato quasi sempre a cavallo con una lancia in mano mentre trafigge il drago. In piedi appare nei disegni dei pittori, Mantegna, Pisanello, Van Eyck, Crivelli, Donatello; a cavallo nella Cattedrale di Chartres, nei dipinti del Carpaccio, di Raffaello e altri.

Tale raffigurazione allegoricamente significa l’evangelizzazione della regione della Cappadocia , impersonata dalla principessa da lui salvata dal drago.

Anche la filatelia mondiale rese omaggio alla sua figura come lo dimostrano le numerose emissioni a lui dedicate.

 

 

 

1984 (1126  e 1128)  Leggenda di Europa.  Europa era figlia di Agenore, re di Tiro, antica città fenicia. Zeus se ne innamorò, vedendola insieme ad altre coetanee raccogliere dei fiori nei pressi della spiaggia. Zeus allora inventò uno dei suoi molteplici travestimenti: ordinò a Ermes di guidare i buoi del padre di Europa verso quella spiaggia. Zeus quindi prese le sembianze di un toro bianco, le si avvicinò e si stese ai suoi piedi. Europa salì sul dorso del toro, e questi la portò attraverso il mare fino all'isola di Creta.

Zeus rivelò quindi la sua vera identità e tentò di usarle violenza, ma Europa resistette. Zeus si trasformò quindi in aquila e riuscì a sopraffare Europa in un boschetto di salici o, secondo altri, sotto un platano sempre verde.

Agenore mandò i suoi figli in cerca della sorella. Il fratello Fenice, dopo varie peregrinazioni, divenne il capostipite dei fenici. Un altro fratello, Cilice, si instaurò in un'area sulla costa sudorientale dell'Asia Minore a nord di Cipro e divenne il capostipite dei cilici. Cadmo, il fratello più famoso, arrivò fino in Grecia dove fondò la città di Tebe.

Europa divenne la prima regina di Creta. Ebbe da Zeus tre figli: Minosse, Radamanto, Sarpedonte e forse Zeus fece a Europa tre doni: Talo, l'uomo di bronzo che sorvegliava le coste cretesi, Laelaps, un cane molto addestrato e un giavellotto che non sbagliava mai il bersaglio. Il padre degli dei successivamente ricreò la forma del toro bianco nelle stelle che compongono la Costellazione del Toro.

Dopo la morte di Asterione, Minosse diventa re di Creta. In onore di Minosse e di sua madre, i Greci diedero il nome "Europa" al continente che si trova a nord di Creta.

Tutto ciò accadde cinque generazioni prima che nascesse in Grecia Eracle.

 

 

1985  (1190-3)  La leggenda della Tavola Rotonda. Re Artù e Mago Merlino. Artù, eroe semileggendario, animò la vittoriosa resistenza dei Celti della Cornovaglia  contro la conquista anglosassone (fine V sec. - inizio VI sec.).  Alla sua figura sono legate numerose leggende.  Nel V secolo in Inghilterra governava il re Vortigern. Crudele e spietato,  si avvaleva di ogni mezzo per soffocare le rivolte, ma i grandi feudatari continuavano a ribellarsi alle sue efferatezze, tanto da costringerlo ad erigere una roccaforte imprendibile dalla quale nessuno avrebbe potuto scacciarlo. Accadde che durante la costruzione delle fondamenta tutto ciò che veniva eretto, crollava durante la notte. Riuniti i consiglieri questi predissero che doveva trovare un fanciullo il cui padre non fosse un uomo mortale. Doveva ucciderlo e mescolare il suo sangue con della malta. Il re inviò messaggeri per tutta l’Inghilterra alla ricerca del fanciullo.  A Carduel fu scoperto un ragazzino la cui madre aveva avuto un rapporto carnale col diavolo. Alla sua morte il bimbo venne affidato ad un eremita che lo allevò lo fece esorcizzare e  e gli impose il nome di Merlino. Il bimbo cominciò precocemente a manifestare poteri soprannaturali, tra cui predire il futuro. Ma, seguendo gli insegnamenti di saggezza e di rettitudine inculcatigli dall’eremita, non usava mai le sue facoltà per scopi malvagi.    Portato davanti al re il ragazzo gli disse che sarebbe stato inutile ucciderlo perché il palazzo sarebbe sempre crollato. La causa era un lago sotterraneo sotto le fondamenta e la presenza di gallerie dove abitavano due draghi. Il lago fu trovato, prosciugato e alla fine due draghi uno rosso e uno bianco uscirono alla luce, affrontandosi in un feroce combattimento. Durò a lungo e alla fine i due draghi si allontanarono e non si videro più. Il castello venne costruito, ma  Merlino predisse a Vortigern  la sua imminente morte. E fu quanto avvenne. Al trono salì Aurelius Ambrosius. A lui si presentò il ragazzo predicendogli che se non avesse mantenuto la pace con gli amici di Vortigern, sarebbe morto. Non fu ascoltato Accadde che un nemico del re, riuscisse a penetrare nel palazzo e a versargli del veleno in una brocca di vino.    Al trono salì il fratello Uter Pendragon a cui  Merlino predisse che avrebbe avuto un figlio che sarebbe diventato il re più famoso d’Inghilterra. Sposata Iberna, Uter ebbe un figlio cui venne dato il nome di Artù. Solo allora, per la prima volta. Merlino chiese al re di affidargli l’educazione del bimbo e lo portò alla corte di un signore di Bretagna di nome Antor. Costui aveva un figlio, Keu, e i due ragazzi crebbero assieme. Dopo la morte di Uter Pendragon il regno rimase vacante e tutti i signori di Inghilterra ambivano prendere il potere. Per quindici anni l’intero paese fu agitato da lotte, finché Merlino non propose ai baroni e ai duchi di riunirsi la notte di Natale e poi di partecipare ad un torneo. All’uscita della Messa di mezzanotte tutti notarono che sul sagrato, di fronte al portale della cattedrale, c’era un blocco di pietra con una spada conficcata fino all’elsa. Sulla pietra  stava scritto: “Questa è Escalibur e solo chi saprà estrarla sarà il re legittimo della Bretagna”. Tutti ci provarono ma nessuno vi riuscì. Merlino propose di rimandare l’assegnazione del trono ad un torneo da tenersi a Capodanno, così chiunque avrebbe potuto prendervi parte. Nel frattempo Keu, figlio di Uter, e il suo scudiero Artù arrivarono in città. Il giorno del torneo accadde che Keu dimenticasse a casa la sua spada. Chiese ad Artù di procurargliene una e il giovane, nell’impossibilità di trovarne subito una, non trovò di meglio che estrarre la spada dalla roccia. Non essendo creduto, rimise la spada al suo posto e tutti, duchi e baroni, riprovarono ad estrarla. Ma solo Artù vi riuscì e divenne il re, con Merlino primo consigliere.

Attorno a re Artù fiorirono molte leggende, legate ai Cavalieri della Tavola Rotonda, tra cui Percival, Lancillotto, la regina Ginevra, Tristano e Isotta, Ivanhoe, la Dama del Lago. Le leggende furono tramandate dapprima oralmente e poi sotto forma di ballate o di romanzi. I primi nuclei cominciarono ad apparire nel 1125 ad opera di Guglielmo Malmesbury e poi con la Historia regum Britanniae (1135) di Monmouth. Il poeta anglo-normanno Wace, traducendo quest’ultima opera in volgare sotto il titolo di Romanzo di Bruto (1155) contribuì a diffondere la materia celtica in Francia.  Ad essa si ispirarono  i lai di Maria di Francia e i romanzi di Chrètien de Troyes. In tali opere i vari personaggi sono sempre presentati come esempi di cortesia, di spirito di cavalleresco e si distinguono in varie imprese tutte tese a soddisfare i desideri delle loro dame e soprattutto a difenderle. La leggenda ha pure un sottofondo religioso che appare nella ricerca da parte di Gahalad del Santo Graal, il calice usato da Gesù durante l’ultima cena.

 Fata o dama del lago e spada Excalibur. Dama del Lago è il nome di un personaggio (o di diversi personaggi correlati) del ciclo arturiano. In opere diverse le vengono attribuite gesta diverse; fra l'altro, viene talvolta rappresentata come colei che consegna a Re Artù la spada Excalibur; come colei che porta il re morente ad Avalon dopo la Battaglia di Camlann; come colei che alleva Lancillotto rimasto orfano del padre; e come colei che seduce e imprigiona il Mago Merlino. Diversi autori attribuiscono diversi nomi alla Dama: per esempio Nimue, Viviana, Niniane, Nyneve, e Coventina.

Ginevra e Lancillotto. Lancillotto è il figlio di re Ban di Benoic (Francia centrale) e della regina Elaine. In seguito ad una rivolta i tre devono fuggire. Il padre è gravemente ferito e mentre la madre lo soccorre il piccolo Lancillotto viene rapito dalla misteriosa Dama del Lago che lo porta nel suo regno magico, forse proprio in fondo a un lago, dove lo alleva. Da questo momento il giovane si chiamerà Lancillotto del Lago.

A sedici anni Lancillotto chiede e ottiene dalla Dama il permesso di partire. Desidera raggiungere re Artù a Camelot (forse nel Galles) e diventare un suo cavaliere.  

Ginevra discende da una nobile famiglia romana ed è la più bella donna dell'isola britannica. Giovanissima, viene fidanzata a re Artù. Quando avvengono le nozze, lei porta in dote una grande tavola rotonda che appartiene a suo padre. Intorno a questa Tavola Rotonda si riuniranno i Cavalieri. Lancillotto, subito al suo arrivo a corte, si innamora della regina e una delle sue prime avventure è proprio quella di liberarla. Ginevra, infatti, è stata rapita da un nemico del re, il perfido Meleagant.

Allo scopo di salvare la regina Lancillotto deve sottostare a un grave disonore ed essere dileggiato da tutti. Infatti subisce un ricatto: gli diranno dove Ginevra è tenuta prigioniera solo se salirà sulla 'carretta' adibita al trasporto dei malfattori al patibolo. L'amore gli fa vincere questa e altre prove e alla fine libererà la donna e ucciderà Meleagant. Ginevra ritorna a Camelot da Artù, ma si è innamorata del suo salvatore.

E' con la complicità di Galehault, il signore delle Terre Lontane grande amico di Lancillotto, che i due amanti si scambiano il primo bacio e in seguito si incontrano segretamente. Alla fine la relazione viene rivelata ad Artù, che li sorprende insieme. Lancillotto riesce a fuggire, Ginevra viene condannata al rogo. Certo che Lancillotto cercherà di salvare la donna, Artù manda i suoi cavalieri a difendere la pira. Ma Lancillotto arriva in tempo e molti di loro muoiono in questo combattimento. Ci sono poi congiure e tradimenti, ormai non esiste più la pace nel regno. Artù muore per delle ferite ricevute in battaglia.

Sulla sua tomba i due amanti si scambiano l'ultimo bacio. Il loro amore è stato la causa di dolore e della distruzione e fine della Tavola Rotonda. E fanno voto di non rivedersi più per tutta la vita. Ginevra si ritira in un convento e Lancillotto diventa eremita. Una notte, Lancillotto sogna che Ginevra sta morendo. Decide di raggiungere il convento dove lei è badessa. Ginevra prega di morire prima del suo arrivo, e così avviene. Per pochi minuti non si rivedono in vita, come avevano giurato.

 Sir Gahalad e il Graal. Nel ciclo arturiano ser Galahad o Galaad è uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù. Figlio illegittimo di Lancillotto e Elena di Corbenic, Galahad era noto per la sua nobiltà e purezza. Insieme a Parsifal e Bors, fu uno dei tre cavalieri a cui fu concesso di trovare il Graal

Le origini di Galahad vengono descritte nel Lancillotto in prosa, che elabora il mito dell'amore illecito e contrastato fra Lancillotto e la regina Ginevra. Elena di Corbenic, assunte magicamente le sembianze della regina, inganna Lancillotto, che giace con lei, concependo Galahad. In seguito Lancillotto impazzisce per il rimorso. Le circostanze del suo concepimento accomunano quindi Galahad allo stesso Re Artù. Galahad viene cresciuto da una badessa in un convento.

Alcune opere del corpus del Lancillotto in prosa rivelano che l'inganno ai danni di Lancillotto fu ordito dal Re Pescatore, ultimo della dinastia dei Re del Graal, custode della magica reliquia, e padre di Elena, allo scopo di procurarsi un erede.

Secondo alcune fonti, "Galahad" era anche il vero nome di Lancillotto; la profezia voleva che Galahad ripercorresse i passi del padre, arrivando però a superarlo in valore.

Divenuto adulto, Galahad ritrova suo padre, che lo nomina cavaliere. Viene condotto alla corte di Camelot durante la Pentecoste. Senza rendersi conto del pericolo a cui va incontro, Galahad siede alla tavola rotonda prendendo posto nel Seggio Pericoloso, il posto lasciato vacante, per volere di Merlino, in attesa del cavaliere destinato a ritrovare il Graal; un incantesimo assicurava la morte istantanea a chiunque altro vi si sedesse. In questo modo, Galahad prova immediatamente ai Cavalieri quale sia il suo destino. Impressionato da questo evento, Artù chiede a Galahad di estrarre una spada da una roccia (una prova che riproduce quella con cui, secondo la tradizione, Artù aveva dimostrato di essere il Re predestinato dei Bretoni). Il successo di Galahad in questa impresa convince il Re a nominare immediatamente Galahad Cavaliere della Tavola Rotonda e inviarlo alla ricerca del Graal insieme a Bors e Parsifal.

Il  Graal. Nel corso degli anni, numerose leggende nate intorno alla figura del Santo Graal hanno affascinato i popoli della terra in ogni tempo, stimolando la fantasia di numerosi scrittori.

In alcune leggende il Santo Graal viene descritto come il calice usato da Cristo nell'Ultima Cena, mentre per altre esso rappresenta la coppa in cui Giuseppe d'Arimatea, avrebbe raccolto il sangue di Cristo crocifisso. In una leggenda sorta in Spagna e in Francia intorno al 1100, il Graal è un oggetto sacro e misterioso che viene custodito in un tempio o castello in Bretagna, e solo i puri possono toccarlo conquistando la felicità terrena e celeste.

Il Graal viene descritto come il calice dell'Ultima Cena, in cui Giuseppe d'Arimatea aveva raccolto il sangue di Gesù crocifisso. Il Graal viene associato a un libro scritto da Gesù Cristo, che può leggere solo chi è in grazia di Dio. I sostenitori della sua esistenza affermano che durante la sua permanenza in Cornovaglia, Gesù aveva ricevuto in dono una coppa rituale da un Druido convertito al cristianesimo e quell'oggetto gli era particolarmente caro. Giunto a destinazione Giuseppe affida la coppa a un guardiano soprannominato "Ricco Pescatore" o "Re Pescatore" perché, come Gesù, ha sfamato un gran numero di persone moltiplicando un solo pesce. Secoli dopo nessuno sa più dove si trovi il "Re Pescatore" e il Graal è, di fatto, perduto. Un Cavaliere della Tavola Rotonda (Parsifal o Galaad "il Cavaliere puro") occupa allora lo "Scranno periglioso", una sedia tenuta vuota alla Tavola Rotonda, su cui può sedersi, pena l'annientamento, solo "il Cavaliere più virtuoso del mondo", colui che è stato predestinato a trovare il Graal.

Dopo che il Cavaliere ha trascorso alcuni anni in meditazione, la ricerca riprende e finalmente Parsifal (o Galaad) pone il quesito, a cui viene risposto. "È il piatto nel quale Gesù Cristo mangiò l'agnello con i suoi discepoli il giorno di Pasqua. (...) E perché questo piatto fu grato a tutti  lo si chiama Santo Graal". Per secoli non si parlò più del Graal, finché, verso la fine del XII secolo, esso tornò improvvisamente alla ribalta a causa delle Crociate.

A partire dal 1095, molti Cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa, tra cui i Templari, ed erano entrati per forza di cose in contatto con le tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo e sicuramente qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto dagli straordinari poteri.
Grazie ai Crociati, la leggenda raggiunse l'Europa e vi si diffuse.

C'è anche chi ritiene che il Graal sia stato rintracciato dai Crociati e riportato nel Vecchio Continente.

 

2014 - Creature mitiche della serie di Francobolli della  Royal Mail commissionati all’artista Dave McKean.  Trattasi di  esseri presenti in miti e leggende irlandesi.

 

DRAGO - Il primo francobollo raffigura un drago sputa fuoco. Il fuoco non è stata l'unica arma del drago.Quegli esseri viventi erano anche velenosi  e molte persone sono morte per ingestione del veleno, anche se gli animali erano appena stati uccisi.

La leggenda di cacciatori di draghi è attribuita a particolari cavalieri erranti e al coraggio di giovani  contadini che li hanno abbattuti usando solo la loro astuzia, piuttosto che la forza.

La bandiera del Galles ha una propria storia : Vortigern, il re dei Britanni, in un sotterraneo profondo assistette al combattimento di un drago rosso e un drago bianco. Il drago bianco fuggì, lasciando vittorioso il drago rosso. Da allora il re volle che la creatura vincitrice venisse disegnata come suo emblema sulla bandiera.
 

UNICORNO - Non ci sono avvistamenti noti di unicorni 'viventi' nel Regno Unito o in Irlanda, anche se due unicorni sono presenti  uno nello Stemma Reale di Scozia (voluto da Robert III come un simbolo di forza e di purezza), e uno nel Royal Coat of Arms del Regno Unito

Il corno dell'unicorno, conosciuto come un alicorn, era fortemente ricercato dai ricchi e potenti. Il Corno di Windsor è stato di proprietà della regina Elisabetta . Fu a lei donato nel 1577 da Martin Frobisher che lo aveva trovato in un pesce morto (molto probabilmente un narvalo).

La Chiesa conserva  diversi alicorns, di cui uno nella Chester Cathedral.

PIXIES (mignoli o porcellini) sono creature mitiche del folklore, presentinnelle aree di alta brughiera intorno aDevon  e in Cornovaglia.

Simili ai folletti irlandesi e scozzesi , si ritiene che abitino in cerchi di pietre, tumuli, dolmen, menhir o ringfort. Nella tradizione regionale, quei folletti sono generalmente benigni, maliziosi, bassi di statura e gradevolmente infantili. Sono appassionati di danza e si riuniscono all'aperto in gran numero a ballare o lottare. A volte, per tutta la notte.

Sono solitamente raffigurati con le orecchie a punta, e spesso indossano un vestito verde e cappello a cono, anche se altre storie tradizionali li  descrivono vestiti di stracci  sporchi  e stracciati.

Nell'uso moderno, il termine può essere sinonimo di fate o folletti. Tuttavia, nel folklore vi è un tradizionale inimicizia, anche la guerra, tra le due razze. 

 

GIGANTI – Secondo la  Cronaca di Holinshed, il gigante Albion governò la Gran Bretagna, prima di essere sconfitto da Ercole a Hartland Point, Devon.La sua sconfitta spianò agli  esseri umani la via verso la colonizzazione della Gran Bretagna.

E 'bene sapere che i miti e le leggende riguardanti i giganti non sono morti con Albion, e hanno continuato a comparire in tutto il Regno Unito. Molte strane formazioni rocciose sono state attribuite all’intervento di giganti  e a gare di potenza tra di loro.  Molte colline o montagne sono, invece,  considerate come le tombe dove furono sepolti dei giganti.

 

SIRENA -  Contrariamente alla rappresentazione in film recenti, la sirena è piuttosto una creatura malvagia.

Diversi laghi e fiumi nel Regno Unito sono detti di essere sede di una sirena e dei  suoi  undici figli (i tritoni) per cui si avvertono i visitatori di non avvicinarsi a tali zone per non venire  afferrati e trascinati sotto l'acqua per  farli annegare.

Diverse  sono le loro vittime:  nel Lancashire un marinaio che si innamorò di una sirena morì il giorno dopo. Due fratelli nelle isole Shetland hanno cercato di fare il bagno al Polo Nord per conquistare il cuore di una sirena, con risultati mortali.

Uno caso  documentato, causato dai tritoni, si è verificato a Orford, Suffolk. Intorno all'anno 1169, un uomo peloso fu   “ripescato” in mare e portato al castello. Era  ancora in grado di parlare, anche se , dopo essere stato catturato da tritoni. Fosse stato appeso a testa in giù e torturato e avesse  mangiato pesce crudo. Rimase nel castello per sei mesi prima di fuggire verso il mare.

 

FATE – Tra le creature mitiche sono  prevalenti.

La famiglia delle fate copre molte forme diverse, come le Pooka (entità irlandesi che, se non pacificate, causerebbero il caos), pixie, goblin a hytersprite (una creatura simile a Norfolk Jack O'Lantern).
Le fate Goblins preferiscono vivere tra rocce scure e boschi, mentre altre fate vivono in antichi tumuli. Alcune potrebbero frequentare le case degli uomini e aiutare a cucinare e a pulire, se non fossero troppo orgogliose o se non venisse loro offerto un dono o pagamento.

Una recente  avvistamento di fate  si è verificato nel 1979 a Wollaton Park, Nottingham. Un gruppo di bambini di una scuola asserisce di  essere stati accompagnati  in giro per la città da una sessantina di  gnomi incontrati, i quali li hanno fatti salire su  auto di piccole dimensioni silenziose. Allucinazione di massa o un breve ritorno del popolo delle fate  nel mondo moderno?

 

GRECIA

 

1935  (P.A. U 22/30)  Il carro del sole. Fetonte è una figura della mitologia greca. Secondo la maggior parte degli autori egli era figlio di Apollo, dio del Sole, e della ninfa Climene. Solo Esiodo ne fa un figlio di Cefalo ed Eos.

Secondo il mito, Fetonte, per far vedere ad Epafo che Apollo era veramente suo padre, lo pregò di lasciargli guidare il carro del Sole; ma, a causa della sua inesperienza, ne perse il controllo, i cavalli si imbizzarrirono e corsero all'impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea (questo è uno dei miti che spiegano l'origine della Via Lattea; ve ne sono diversi altri), quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto. Gli abitanti della terra chiesero aiuto a Zeus che intervenne per salvare la terra e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano, nell'odierna Crespino sul Po. Le sue sorelle, le Eliadi, spaventate, piansero abbondanti lacrime con viso afflitto e vennero trasformate dagli dèi in pioppi biancheggianti. Le loro lacrime divennero ambra. Un'altra versione racconta, invece, che Fetonte precipitò nella zona termale dei Colli Euganei, fra Abano Terme e Montegrotto, collegandosi con il culto locale del dio veneto Aponus, identificato con Apollo.

Secondo alcuni mitografi, fu in questa occasione che Zeus fece straripare tutti i fiumi uccidendo completamente il genere umano a eccezione di Deucalione e Pirra.

 

Ganimede. Il tema mitico di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono Minosse, Tantalo o Eos, o Zeus, come si racconta in una versione posteriore della leggenda.

Nell'Iliade di Omero, Diomede racconta che Zeus, affascinato dalla bellezza del ragazzo, lo rapì, offrendo in cambio al padre una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d'oro. Zeus per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da aquila; sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando un gregge sul monte Ida, lo portò sull'Olimpo, dove ne fece il suo amante. Per questo motivo nelle opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila, abbracciato ad essa, o in volo su di essa. Nell'Olimpo Ganimede divenne il coppiere degli dei, sostituendo Ebe, e in varie opere d'arte è quindi raffigurato con la coppa in mano.

La leggenda di Ganimede fu menzionata per la prima volta da Teognide, poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione potrebbe essere più antica.

 

Trittolemo.  E’ un eroe della mitologia greca legato alla dea Demetra ed ai misteri eleusini. Era figlio di Celeo, re di Eleusi, e di Metanira, mentre secondo altre fonti era figlio di Oceano e Gea, per altre ancora era figlio di Eleusi e Cotone.

Secondo la tradizione, Demetra mentre cercava la figlia Persefone giunse ad Eleusi nelle sembianze di una vecchia di nome Doso e fu accolta come ospite da Celeo, che le chiese di badare ai suoi due figli, Demofoonte e Trittolemo. Per ringraziare Celeo della sua ospitalità, Demetra decise di fargli il dono di trasformare Demofoonte in un dio. Ma mentre si accingeva a compiere il rituale fu interrotta da Metanira entrata nella stanza. Demetra decise allora di insegnare a Trittolemo l’arte dell’agricoltura, cosicché potesse trasmettere la sua conoscenza ed insegnare ai Greci a piantare e mietere i raccolti. Sotto la protezione di Demetra e Persefone volò per tutta la regione su di un carro alato per compiere la sua missione di insegnare ciò che aveva appreso a tutta la Grecia.

Tempo dopo Trittolemo insegnò l’agricoltura anche a Linco, re della Scizia, ma costui rifiutò di insegnarla a sua volta ai suoi sudditi e tentò di uccidere Trittolemo: Demetra per punirlo lo trasformò  in una lince.

Trittolemo ebbe due  figli Crocone e Cerone.

 

 

1947 (50) Colosso di Rodi. Il Colosso di Rodi era un'enorme statua del dio Helios, situata nel porto di Rodi in Grecia nel III secolo a.C. È una delle cosiddette sette meraviglie del mondo antico.

Nel 305 a.C. il generale Demetrio I Poliorcete, figlio di un successore di Alessandro Magno, invase Rodi con un'armata di 40.000 uomini. La città di Rodi era ben difesa e Demetrio costruì delle enormi catapulte montate sulle navi, per distruggere le mura della città. Dopo che una tempesta gli distrusse le navi, fu costretto a costruire una torre d'assedio ancora più grande delle precedenti catapulte: i rodiesi allagarono il terreno prospiciente le mura, impedendo alla torre d'assedio di muoversi e rendendola inoffensiva. L'assedio terminò nel 304 a.C., quando il generale Politemo arrivò con una flotta in difesa della città e Demetrio dovette ripiegare abbandonando la maggior parte dell'equipaggiamento.

Per celebrare la loro vittoria, i rodiesi decisero di costruire una gigantesca statua in onore di Helios, il loro dio protettore. La costruzione fu affidata a Caletus che aveva già costruito statue di ragguardevoli dimensioni. Il suo maestro Lisippo aveva costruito una statua di Zeus nella antica agorà di Taranto ritenuta per la sua altezza pari a 40 cubiti (18 metri).

1964 (830) Ulisse. Figlio di Anticlea e di Laerte, da parte materna Ulisse è pronipote di Ermes.  Re di Itaca, sposo di Penelope, padre di Telemaco, Ulisse, terminata la guerra di Troia, desiderò di ritornare agli affetti familiari e alla nativa Itaca dopo dieci anni passati a Troia.

Suo è l'espediente del cavallo di legno che permise ai Greci di penetrare e conquistare la città, grazie alla costruzione di un grande cavallo. Ma a causa dell'odio di un dio a lui nemico, Poseidone, ne viene impedito. Costretto da continui incidenti e incredibili peripezie, dopo altri dieci anni, grazie anche all'aiuto della dea Atena, riuscirà a portare a compimento il proprio ritorno a casa. Ma prima dovette affrontare Ciclopi, i Lotofagi,  il gigante Polifemo, incontrare il dio dei venti Eolo, le pericolose sirene, i mostri Scilla e Cariddi, incontrare  sull'isola di Ogigia la dea  Calipso, conoscere Nausicaa nell’isola dei Feaci e  combattere l’ultima battaglia contro i Feaci che volevano usurpargli il trono e ricongiungersi finalmente con la moglie e col figlio.

1964  (833)  Rapimento di Cefalo. Nel mondo greco sono molto frequenti i rapimenti. In questi era solitamente coinvolta una figura divina e una mortale, e alla fine colui o colei che era mortale diventava immortale dopo la morte. Di solito al rapimento seguiva  lo stupro, che simboleggia in modo molto violento il passaggio dal selvaggio al civile. Questo perché si pensava che la donna e quindi il femminile in generale fosse qualcosa di completamente diverso dal maschile e più in particolare e fosse qualcosa di selvaggio, incontrollabile e non civilizzato che sarebbe diventato  civile una volta unito al maschile e quindi attraverso il matrimonio, momento d’entrata della donna in società, ma anche attraverso il parto.

Ci sono però pervenuti anche alcuni esempi di rapimenti compiuti da una divinità femminile nei confronti di un mortale. Uno di questi è il mito di Eos e Kephalos, reso noto grazie a un verso dell’Iliade, in cui Eos recupera il figlio ucciso da Achille. Eos è una divinità greca australe che vola e porta qualcuno in cielo, rappresentando quindi la speranza di vita dopo la morte. Questa divinità si rispecchia nella Mater Matuta, suo corrispettivo latino. La Mater Matuta viene spesso rappresentata con attorno tanti infanti, simboleggiando il legame con la maternità che è l’unica cosa in grado di sconfiggere la morte. L’elemento femminile garantisce la continuità della vita, infatti in questo caso è la dea che rapisce il mortale e portandolo verso il cielo lo porta anche verso la vita. Eos diventa quindi l’archetipo della speranza di salvezza. L’amore di Eos per Cefalo fu ricco di contrasti, per la fedeltà di Cefalo stesso alla propria sposa, Procri. Eos allora gli suggerì di mettere alla prova l’amore della compagna: lo trasformò in uno straniero e lo mandò da Procri nella località di Torico: vi arrivò carico di splendidi doni, davanti ai quali la fedeltà di Procri vacillò: essa stava per cedere allo straniero, quando questi rivelò la propria identità. In preda al rimorso e alla vergogna, ma anche offesa per quel sotterfugio, Procri fuggì da Torico e si rifugiò a Creta. Qui essa guarì Minosse, re di Creta, dalla terribile malattia che sua moglie Pasifae gli aveva causato con un magico sortilegio: ogni volta che egli avvicinava una donna, animali ripugnanti - serpenti, millepiedi, scorpioni - si sprigionavano dal suo corpo. In segno di gratitudine Minosse (secondo altri la dea Artemide) le donò un cane e una lancia portentosa, che non mancava mai il suo bersaglio; con questi doni Procri tornò in patria. Ancora innamorata del marito giovane e bello e gelosa dei suoi possibili amori, Procri volle a sua volta metterlo alla prova: trasformatasi con l’aiuto di Artemide in un bellissimo giovane, gli si presentò con il cane e la magica lancia. Incapricciatosi di quei doni portentosi, Cefalo accondiscese, pur di ottenerli, alle profferte amorose del giovane; ma questi rivelò allora la sua vera identità. Ne seguì, inevitabilmente, la riconciliazione tra i due; ma non la fine della gelosia di Procri, che continuava a temere le insidie di Eos, specialmente quando lo sposo usciva per la caccia. Alla fine fu proprio la magica lancia da lei donatagli a rivelarsi fatale: Cefalo la colpì con la terribile arma, inavvertitamente, e la uccise, mentre essa lo seguiva, a caccia, appostata dietro un cespuglio: Cefalo l’aveva scambiata per un animale in agguato.

Secondo un’altra versione del mito, Cefalo e Procri furono separati non dalla morte ma da Eos, che rapì   Cefalo e lo portò con sé. Dall’unione tra Eos e Kephalos nascerà poi Fetonte.

1967 (915)  Penelope. E’  una figura della mitologia greca, figlia di Icario e di Policaste (o di Peribea secondo qualcuno), moglie di Ulisse, madre di Telemaco e cugina di Elena.

Il nome Penelope significa Anatra: l'origine di questo nome curioso va ricerca in un mito che circonda la sua nascita. Icario, appena nata, la gettò in mare, ma qui la bambina venne tenuta a galla da alcune anatre e deposta sana e salva a riva: a questo punto Icario la accolse con se e la chiamò Penelope.
Penelope è appunto famosa per la tela di Penelope: mentre Ulisse, il marito, era in giro per la guerra di Troia, i Proci, nobili del luogo, la assediavano affinché si risposasse con uno di loro. Allora Penelope disse che avrebbe fatto la sua scelta quando avesse finito il drappo funebre per il padre di Ulisse, Laerte. Solo che di giorno la tesseva e di notte la disfaceva. Scoperta a causa di un'ancella traditrice, Penelope viene salvata in extremis dal ritorno di Ulisse.

Penelope e Ulisse ebbero tre figli: Telemaco, Arcesilao e Poliporte. In alcuni miti, Penelope non è così fedele a Ulisse: avrebbe avuto una relazione col dio Ermes, da cui sarebbe nato Pan.

1969  (975Efesto (Vulcano nella mitologia romana). Era la divinità del fuoco terrestre inteso in senso positivo, il fuoco come elemento di civiltà. 

Secondo la maggior parte degli studiosi era figlio di Zeus e di Era mentre per Esiodo sarebbe nato solo da Era la quale, alla vista di un figlio così brutto, lo scaglio giù dal cielo cadendo in mare dove rimase per nove anni in una grotta curato da Teti e Eurinome ed è in quella grotta che si dice fece la sua prima officina di fabbro. Una volta cresciuto costruì uno splendido trono che donò alla madre Era e dopo varie vicende le si affezionò tanto da prendere sempre le sue difese. Zeus un giorno irritato perché difendeva sempre la madre lo scagliò anche lui dall'Olimpo ed Efesto cadde nell'isola di Lemno. Secondo alcuni fu in seguito a questa caduta che divenne zoppo.

In ogni caso Efesto è ricordato come un grande fabbro: sono sue la creazione del carro del sole, i fulmini e lo scettro di Zeus, la corazza d'oro di Eracle, l'elmo di Ares, le armature di Achille e di Enea, il tridente di Poseidone e tante altre.

Per ironia della sorte, Efesto, il più brutto degli dei ebbe (secondo la maggior parte degli studiosi) in moglie Afrodite, la più bella delle dee. In onore di Efesto si celebravano le Efestie, le Apaturia e le Calceia.

E' di Efesto anche la creazione della prima donna, Pandora, per ordine di Zeus .

 

1972  (1088)   Gaia o  Gea  Dea primordiale, quindi la potenza divina, della Terra.  Progenitrice dei titani e degli dei dell’Olimpo. Da sola, e senza congiungersi con nessuno, Gaia genera Urano quindi, sempre per partenogenesi, i monti, le Ninfe dei monti e Ponto.

Unendosi a Urano, Gaia genera i Titani , Oceano, Coio, Creio, Iperione, Iapeto, Theia , Rea, Themis , Mnemosyne, Phoibe, Tethys e Kronos. Dopo i Titani, l'unione tra Gaia e Urano genera i tre Ciclopi e i Centimani Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile.

Urano, tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gaia, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe nella loro "mostruosità". Allora la madre di costoro, Gaia, costruisce dapprima una falce e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe a non uscire dal suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Kronos, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto lo evira. Il sangue versato dal membro evirato di Urano gocciola su Gaia producendo altre divinità: le Erinni ( Aletto, Tesifone e Megera), le dee della vendetta, i terribili Giganti  e le Ninfe Melie.

Ponto genera Nereo  detto il "vecchio", divinità marina sincera ed equilibrata; poi, sempre Ponto ma unitosi a Gaia, genera Taumante, quindi Phorcy, Cetó  dalle belle guance, ed Eurybie.

Infine Gaia e Urano generano Typheo. Questo essere gigantesco, motruoso, terribile e potente viene sconfitto dal re degli dèi, Zeus, e relegato nel Tartaro insieme ai Titani, da dove spira i venti dannosi per gli uomini.

 

 

Urano (1089). Urano è la personificazione del Cielo in quanto elemento fecondo. Nell'opera di Esiodo, Teogonia, egli è figlio e coniuge di Gea (la Madre Terra). Altri poemi e racconti ne fanno il figlio di Etere (il Cielo superiore), senza che, in questa tradizione risalente alla Titanomachia, ci sia rivelato il nome della madre. Molto probabilmente quest'ultima era Emera (la personificazione del Giorno). Secondo la teogonia orfica, Urano e Gea sono due figli della Notte.

Secondo la tradizione esiodea Urano si unì con Gea e la fecondò gettando su di essa fertili gocce di pioggia, dando così vita alle prime divinità mostruose. Gea generò per primi Briareo, Cotto e Gige detti Ecatonchiri, che avevano cento braccia e cinquanta teste ciascuno ed erano insuperabili per la forza fisica e la statura. Dopo di loro gli partorisce i Ciclopi, Arge, Sterope e Bronte, ognuno dei quali aveva un solo occhio in mezzo alla fronte.

Urano, nel timore di venire spodestato dai suoi forti figli, mise in catene i Ciclopi e li gettò, man mano che nascevano, nel Tartaro, ossia nelle viscere di Gea (detta anche Gaia). Da Gea Urano ha altri figli, detti Titani: Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeteo, e Crono, il più giovane; e delle figlie, dette Titanidi, Tethys, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Dione e Tia. Gea, ripugnata dall'atto del marito, persuase i Titani ad aggredire il padre e consegnò a Crono una falce da lei fabbricata. Così Urano, colto di sorpresa dal figlio proprio mentre stava per unirsi nuovamente con Gea, fu evirato. I suoi genitali vennero gettati in mare presso Cipro e dalla spuma marina formatasi nacque Afrodite, mentre le gocce di sangue che caddero sul suolo fecondarono un'ultima volta la terra, dando vita alle Erinni, ai Giganti ed alle Ninfe Melie. Detronizzato Urano, i Titani riportarono alla luce i fratelli che erano stati gettati nel Tartaro e consegnarono il potere a Crono.

Una tradizione diversa è riferita da Diodoro Siculo riguardo a questo dio. Costui sarebbe stato il primo re degli Atlanti, un popolo molto pio e giusto, che abitava sulle rive dell'Oceano. Egli avrebbe insegnato loro a coltivare la terra, a vivere civilmente ed inventò il calendario secondo il movimento degli astri. Alla sua morte gli sarebbero state rese grandi onori divini ed essendo stato un grande astronomo, col passare del tempo, fu identificato col Cielo.

In questa tradizione si attribuiscono ad Urano 45 figli, 18 avuti da Tite (identificata poi con Gaia), e proprio per questo chiamati Titani. Le sue figlie furono Basileia ("la Regina"), più tardi Cibele, e Rea, soprannominata Pandora. La bellissima Basileia succedette al trono del padre e sposò il fratello Iperione, dal quale ebbe Helios e Selene (ovvero il Sole e la Luna). Diodoro menziona come figli di Urano anche Atlante e Crono. Platone vi mette anche Oceano e Teti.

L'eterogeneità della genealogia di Urano è dovuta al fatto che essa sia una commistione di molte leggende e racconti, ma soprattutto un'interpretazione simbolica di cosmogonie dotte; così Urano non ha praticamente nessuna parte nei miti ellenici.

 

 

1973  (1129) Zeus (Giove). Secondo la mitologia greca oltre ad essere il dio supremo di tutti gli dei era una divinità celeste dispensatrice di luce, di calore e da lui dipendevano tutti gli eventi atmosferici era infatti anche il re del tuono, dei lampi, dei fulmini mediante i quali manifestava la sua approvazione o no. La sua casa era l'Olimpo dal quale regolava tutto l'ordine universale e nelle sue mani era il destino di tutti gli uomini anche se la sua volontà era sottoposta ad una volontà suprema, quella del Fato le cui leggi e decisioni neanche il potente re degli dei poteva cambiare.

Aveva diversi soprannomi tra i quali ricordiamo: Zeus Horkios in quanto il suo nome rendeva sacri i giuramenti; Zeus Xenios come dio dei vaticini e dell'ospitalità; Zeus Efestios come difensore del focolare domestico; Zeus Soter come salvatore del popolo.

La mitologia racconta che sia nato da Rea e da Crono e dopo alterne vicende detronizzò il padre Crono e divenne il re degli dei.

Ebbe come prima moglie Metis che fu inghiottita da Zeus per paura che un suo figlio lo detronizzasse. Successivamente ebbe come mogli Temi, Dione, Maia, Demetra, Persefone, Eurinome, Mnemosine, Leto, che furono tutte ripudiate per un motivo o per un'altro (anche se molti storici non concordano sul fatto che avesse con tutte loro "regolarizzato" la sua posizione). Alla fine sposò la sorella Era.

Accanto alle moglie ufficiali però ebbe numerosissime avventure sia con altre dee che con donne mortali tanto che il divertente Luciano così lo descrive (Dialoghi, XIII - Trad. L. Settembrini):

" Zeus essendo portato all'amore e gran femminiere, tosto riempì il cielo di figlioli, alcuni procreati con le celesti sue pari, ed altri bastardi con le donne mortali per le quali egli diventò ora oro, e toro, e cigno, ed aquila e prese più forme dello stesso Proteo. La sola Minerva (Atena n.d.r.) egli partorì dal suo proprio capo, avendola a caso concepita dal suo cervello. E dicono che ei trasse Bacco mezzo formato dal ventre della madre, percossa dal fulmine e se lo chiuse in una coscia e lo portò, e infine si fece un taglio quando sentì i dolori del parto."

Per queste sue continue avventure gli storici lo descrivono sempre in lite con la moglie Era ma dalla quale però non si separò mai.

1976    (1306/9)  Antiche favole greche. Le illustrazioni si riferiscono alla favola  “I dodici mesi” i cui personaggi sono una povera donna con cinque figli. La stessa davanti a un mucchietto di monete d’oro.

 

1990 (1752/4)  Le muse.  Sono divinità della religione greca, figlie di Zeus e di Mnemosýne (la "Memoria") la loro guida è Apollo. L'importanza delle muse nella religione greca era elevata: esse, infatti, rappresentavano l'ideale supremo dell'Arte, intesa come verità del "Tutto" ovvero l'«eterna magnificenza del divino».

Esistono diverse tradizioni riguardo all’origine delle muse. Secondo Pausania, Zeus generò con Mnemosine tre muse giacendo con lei per nove notti: Melete (la pratica), Mneme (il ricordo) e Aede (il canto), indicate con il nome di Mneiai. Altri autori affermavano che fossero figlie di Urano e Gea, altri ancora vedevano Armonia, figlia di Afrodite quale loro progenitrice e Atene quale loro luogo natio.. Eumelo di Corinto cita altre tre muse, Cefiso, Apollonide e Boristenide, affermando che il loro padre fosse il divino Apollo. Mimnermo fa riferimento a due generazioni di muse, figlie rispettivamente di Urano e Zeus. Le tradizioni sono discordi anche riguardo al numero delle Muse. Tre muse venivano venerate anche a Sikyon e Delfi,con i nomi di Mese, Nete e Ìpate. Cicerone narra di quattro muse: (Telsinoe, Melete, Aede, Arche), sette (le sette muse erano venerate a Lesbo), otto secondo Cratete di Mallo o infine nove. Il numero di nove finì per prevalere in quanto citato da Omero ed Esiodo. Quest'ultimo le enumera nella sua Teogonia, ma senza specificare di quale arte esse siano le protettrici.

Secondo l'ordine di Erodoto (Storie), i loro nomi erano:

Clio, colei che rende celebri, la Storia, seduta e con una pergamena in mano;

Euterpe, colei che rallegra, la Poesia lirica, con un flauto;

Talia, colei che è festiva, la Commedia, con una maschera, una ghirlanda d'edera e un bastone;

Melpomene, colei che canta, la Tragedia con una maschera, una spada ed il bastone di Eracle (Ercole);

Tersicore, colei che si diletta nella danza, la Danza, con plettro e lira;

Erato, colei che provoca desiderio, la Poesia amorosa, con la lira;

Polimnia, colei che ha molti inni, il Mimo, senza alcun oggetto;

Urania, colei che è celeste, l'Astronomia, con un bastone puntato al cielo;

Calliope, colei che ha una bella voce, la Poesia epica, con una tavoletta ricoperta di cera e uno stilo.

1995(1865/9) Leggenda degli argonauti e la conquista del Vello d’oro.  Gli Argonauti, gruppo di circa cinquanta eroi, che, sotto la guida di Giasone, diedero vita ad una delle più note ed affascinanti narrazioni della mitologia greca: l'avventuroso viaggio a bordo della nave Argo  li condusse nelle ostili

terre della Colchide, alla conquista del vello d'oro. Gli eroi erano accorsi alla chiamata degli araldi inviati in tutta la Grecia per organizzare quella spedizione che Pelia, re di Iolco, aveva richiesto a Giasone, figlio di suo fratello Esone. Pelia aveva usurpato il trono a suo fratello Esone, legittimo erede al trono, e lo aveva fatto imprigionare insieme al resto della famiglia. Lo avrebbe liberato insieme a tutta la famiglia  solo se Giasone fosse riuscito ad impadronirsi del Vello d’oro, che era custodito nella Colchide. Un’impresa ritenuta impossibile. Giasone e riuscì nell’intento con l’aiuto dei suoi guerrieri e soprattutto con l’aiuto di Medea, figlia del re della Colchide, la quale si era innamorata di lui.

2007  (BF 43)  Mitologia. Il dio Asclepio o Esculapio.  Figlio di Apollo e, secondo una tradizione, di Coronide, che avrebbe tradito il dio per un mortale quando era incinta. Apollo la punì con la morte, ma dal corpo di lei, che ardeva sul rogo avrebbe tratto il piccolo ancora vivo. Secondo altri la madre di lui sarebbe la figlia del predone Flegia. Sedotta da Apollo durante un saccheggio del padre nel territorio di Epidauro, mise al mondo e abbandonò il bambino ai piedi di una montagna. Il piccolo sarebbe stato allattato da una capra e custodito da un cane. Asclepio fu educato dal centauro Chirone e alla sua scuola divenne abilissimo nell'arte della medicina, fino a scoprire il rimedio per far resuscitare i morti, ottenuto col sangue colato dalle vene della Gorgone. Zeus vedendo un gran numero di resurrezioni compiersi ad opera di Asclepio, temendo che fosse sovvertito l'ordine del mondo, lo fulminò, e Apollo per vendicarlo uccise i Ciclopi che avevano fabbricato il fulmine. Il suo culto fu particolarmente vivo a Epidauro, nel Peloponneso dove fiorì una scuola di medicina. Tra i discendenti di Asclepio va nominato Ippocrate. Asclepio corrisponde nel culto romano a Esculapio; gli era sacro il gallo e veniva rappresentato con un bastone sul quale erano avvolti dei serpenti, talvolta accompagnato da una capra o da un cane.

2008(2456 e 2460) La sirena e Alessandro Magno. Una leggenda vuole che Alessandro il Macedone, durante la sua spedizione militare in oriente, avesse trovato la sorgente della vita eterna, e avesse raccolto un po' di quell'acqua in un vaso, affidandolo alla sua sorellastra, che era una gorgone (descritta come una bella donna, e definita regina del mare). La donna però rovesciò l'acqua dell'immortalità, e così Alessandro fu condannato anche lui a morire come tutti gli uomini.

Fino alla metà del '900, fra i pescatori greci era diffusa la superstizione che di notte la Regina del mare si avvicinasse alle barche e domandasse se Alessandro era ancora vivo. I pescatori sapevano che la risposta da dare era "Alessandro il Grande vive e regna per sempre!" altrimenti la Gorgone avrebbe scatenato una tempesta terribile, affondando l'imbarcazione.
Una versione tarda arriva dalla valle dove sgorga la fonte della vita eterna. Si racconta che l'acqua della vita eterna venne attinta  e bevuta dal cuoco di Alessandro (che  diventò un demone) e da sua figlia che diventò una  nereide del mare. Costei, pentita di aver sottratto all'eroe l'immortalità, si avvicina alle barche dei pescatori e chiede loro: “Alessandro è ancora vivo?” Se la risposta è negativa la nereide scatena la tempesta; e perciò i pescatori rispondono sempre: “Sì vive e regna”.

 

 

Arione e la sua lira.  La versione più antica della storia è narrata da Erodoto: Arione era un musico di Lesbo e aveva ottenuto dal suo padrone - il tiranno di Corinto - il permesso di percorrere la Magna Grecia e la Sicilia, per arricchirsi con il suo canto. Quando volle tornare in patria, i marinai della nave su cui era imbarcato ordirono un complotto per ucciderlo e derubarlo dei suoi guadagni. Tuttavia gli apparve in sogno Apollo che lo avvertì del pericolo e gli promise il suo aiuto. Quando i marinai lo aggredirono, Arione chiese - e ottenne - che gli si accordasse di cantare un'ultima volta. Al suono della sua voce, un branco di delfini accorse verso la nave. Arione, fidando nell'aiuto promesso, si tuffò e fu raccolto da un delfino, che lo condusse illeso a riva. Giunto in salvo, Arione dedicò un ex-voto ad Apollo e tornò alla nativa Corinto, dove raccontò la sua avventura al suo padrone. Quando la nave raggiunse la città, il Tiranno chiese ai marinai cosa ne fosse stato di Arione, e quelli lo dissero perito durante il viaggio. A quel punto Arione si mostrò e i colpevoli furono messi a morte. In ricordo di quell'evento, Apollo trasformò la lira di Arione e il delfino in costellazioni.

 

2009   (2493/7) Teseo e il Minotauro. Il Minotauro, figura mitologica, era un essere mostruoso e feroce metà uomo metà toro. Era figlio del Toro di Creta e di Pasifae regina di Creta. Il suo nome proprio è Asterio o Asterione.

Minosse re di Creta pregò Poseidone di inviargli un toro, come simbolo dell'apprezzamento di lui quale sovrano, promettendo di sacrificarlo in onore del dio. Poseidone acconsentì e gli mandò un bellissimo e possente toro bianco di gran valore. Vista la bellezza dell'animale, però, Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie. Poseidone allora, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae, moglie di Minosse, del toro stesso. Nonostante quello fosse un animale e lei una donna, ella desiderava ardentemente accoppiarsi con esso e voleva a tutti i costi soddisfare il proprio desiderio carnale. Vi riuscì nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita per lei dall'artista di corte Dedalo. Dall'unione mostruosa nacque il Minotauro, termine che unisce, appunto, il prefisso "minos" (che presso i cretesi significava re) con il suffisso "taurus" (che significa toro).

Il Minotauro aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro. Era selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall'istinto animale.

Minosse fece rinchiudere il Minotauro nel Labirinto di Cnosso costruito da Dedalo. La città di Atene, sottomessa allora a Creta, doveva inviare ogni anno (secondo altre fonti: ogni tre od ogni nove anni) sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana. Allora Teseo, eroe figlio del re ateniese Ègeo, si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Arianna, figlia di Minosse, si innamorò di lui e quando entrò labirinto gli  diede il celebre "filo d'Arianna", un gomitolo (di filo rosso, realizzato da Dèdalo) che gli avrebbe permesso di non perdersi una volta entrato. Quando Teseo giunse dinanzi al Minotauro, attese che si addormentasse e poi lo pugnalò (secondo altri, lo affrontò e lo uccise con la spada).

 

Ulisse e le sirene.  Le Sirene sono un'altra personificazione dei pericoli del mare, demoni marini, metà donne e metà uccelli; il loro padre era il dio-fiume Acheloo  e la madre la musa Melpomene, oppure la musa Tersicore. Sono menzionate per la prima volta nell'Odissea. Alcuni affermano che fossero due, altri tre (Ligia, Leucosia  e Partenope), altri quattro. I marinai affermavano che le Sirene col loro canto attiravano i marinai e se ne cibavano. Secondo la leggenda gli Argonauti passarono loro vicino, ma Orfeo cantò tanto melodiosamente, che i marinai della nave "Argo" non ebbero voglia di ascoltarle. Solo Bute si lanciò in mare, ma fu salvato da Afrodite.

Anche Ulisse solcò quelle acque, ma, preavvertito da Circe, ordinò ai suoi uomini di tapparsi le orecchie con la cera; lui, invece, si fece legare ad un albero della nave per poterle ascoltare, vietando ai compagni di slegarlo, qualunque supplica avesse loro rivolto. La storia racconta che le Sirene, indispettite dal proprio insuccesso, si buttarono in mare e affogarono.

 

Talos e i Dioscuri. Si dice che Talos,  figlio di Cres e padre di Efesto, fosse una creatura fatta di bronzo, altri hanno affermano che era un toro dato da Zeus a Europa, o da Efesto a Minosse, il guardiano di Creta. Si racconta che Talos, custodito nell’isola di Creta, eseguisse il giro dell'isola tre volte al giorno, e quando incontrava degli intrusi li prendeva a sassate. La sua natura di bronzo suggerisce che egli potrebbe essere stato un sopravvissuto dalla Età del Bronzo . 

 

Bellerofonte e Pegaso. Si racconta che Bellerofonte, un giovane nato a Corinto, arrivato alla corte di Lobates, re della Licia, per consegnargli una lettera sigillata, fosse da questi benevolmente accolto. La lettera conteneva un sinistro messaggio:  «Il latore della presente deve essere messo a morte subito, perché ha ingannato mia moglie."

Lobates si trovò nell’impossibilità di ubbidire a quella richiesta perché sarebbe venuto meno alle sacre leggi dell’ospitalità. Pensò, quindi, al modo di far uccidere Bellerofonte da altri.

A conoscenza del coraggio del giovane, gli chiese di liberarlo da un mostro che sputava fuoco e che uccideva i suoi sudditi. Si trattava della Chimera, un essere con la testa di un leone, il corpo di una capra e la coda di un drago. Nessuno era mai riuscito a batterlo. Chi lo aveva affrontato era morto.

Bellerofonte prima di partire per l’impresa consultò un veggente, che gli consigliò  di  catturare  Pegaso, un cavallo selvaggio alato, di montargli in groppa e di combattere la Chimera. Era un’impresa quasi impossibile ma Atena, apparsagli in sogno, gli consigliò come fare e, al risveglio, gli fece trovare delle briglie d’oro. Pegaso si lasciò così catturare.

Quando Bellerofonte si trovò davanti alla Chimera che sputava fuoco dalle fauci, riuscì a ficcarle in bocca una palla di piombo che, fondendosi al calore, le bruciò le viscere. Pegasus, alla fine dell’avventura, abbandonò Bellerofonte e,  volato sino all’Olympo,  divenne il portatore dei fulmini di Zeus.

 

GRENADA

1972 (420/23)  Robin Hood   Eroe leggendario della letteratura popolare inglese. Sarebbe vissuto tra il 1160 e il 1247. Postosi alla testa di un gruppo di fuorilegge che si nascondeva nella foresta di Sherwood. vicino alla cittadina di Nottingham, tramava imboscate ai danni dei gruppi di viaggiatori che attraversavano la foresta. Li depredava dei loro beni e  poi li spartiva col popolo. Nella loro tenuta color verde, che serviva da ottimo mimetismo tra i boschi, Robin e i suoi tennero testa alle truppe dello sceriffo e combatterono per difendere la loro terra dall’invasione dei normanni. Nemico di Giovanni Senza Terra e fautore dei seguaci di Riccardo Cuor di Leone, Robin difese quest’ultimo, prendendo parte alla lotta contro la nobiltà e il clero.  Numerose le leggende legate al suo nome e le ballate ispirate alle sue gesta di infallibile arciere, al suo stretto legame con i suoi arcieri, in particolare con Little John. La migliore ballata è Robin Hood e Guy  di Gisborne.  Walter Scott si ispirò alla sua figura quando scrisse Ivanhoe. Sembra che Robin Hood sia realmente esistito.

  

 

2000  (3769/74 + BF 562)  Fiaba: Il bambino blu

 “Al bimbo in blu ci penso io. La pecora è nel prato. la mucca è nel grano. Dove si trova il ragazzo che si prende cura delle pecore? E 'sotto il mucchio di fieno appena addormentato. Vuoi svegliarlo? No, non  farlo perché di sicuro si mette a  piangere.”

 

2000   (3829AE-AK+BF 574Q) La vecchietta che viveva in una scarpa  Una vecchietta, che viveva in una scarpa, si lamentava di non aver nulla da fare. Un giorno, una fata, che aveva udito suoi lamenti, andò a trovarla e le chiese che cosa volesse fare. La vecchietta disse che voleva una casa più accogliente. La fata gliela diede.  Dopo un po’ di tempo la vecchietta si lamentò ancora, dicendo che voleva una villa con giardino e un servo. Detto fatto e la vecchia fu felice ma solo per  poco perché, in seguito,  chiese alla fata una reggia e di diventare duchessa. La fata, che cominciava a seccarsi per le ripetute richieste, la esaudì.  Ma quando la vecchietta  domandò di diventare prima regina e poi papessa, la fece ritornare a vivere nella scarpa in cui l’aveva trovata all’inizio della vicenda. Chi troppo vuole nulla stringe.

 

 

2000 (3829BN a 3829 BT) Filastrocca: Il gatto e il violino. Una filastrocca recita:  ”Ho visto coi miei occhi saltare sulla Luna/ Una mucca mezza bianca e mezza bruna, / Un cane che rideva, un gatto col violino / E un piatto che ballava insieme a un cucchiaino.”La figura del gatto col violino risale agli antichi egizi e al culto di Bubaste , la dea protettrice di tutti i felini, raffigurata con un gatto al fianco e col suo strumento preferito: il sistro. Si trattava di uno strumento musicale formato di un corpo di metallo a forma di archetto, attraversato da sbarrette metalliche e dotato di una impugnatura. Quando veniva agitato, le sbarrette urtando tra di loro emettevano suoni diversi. Spesso era ornato con una effigie di gatto. Col trascorrere dei secoli il sistro non è stato più usato, il suo posto è stato occupato dal violino.

2000 (3829CG a 3829CM) Filastrocca.La piccola pastorella..  “Little Bo-Peep ha perso le sue pecore, e non sa  più dove trovarle. Sono rimaste sole, e dovrai tornare a casa, e portare la coda dietro di loro

 

 

GROENLANDIA

 (Dall’ Enciclopedia Italiana Treccani (1932). Voce “Religione e mitologia”

Religione e mitologia. - Solitario nel deserto di ghiaccio l'Eschimese è isolato dal mondo intero: innumerevoli potenze misteriose lo circondano e mandano malattie e disgrazie. Gli animali da caccia devono essere trattati in modo speciale per assicurarsi che appaiano in tempo: di qui un gran numero di comandamenti e divieti spesso difficili a capirsi. Le pelli delle foche prese nell'inverno durante la caccia al tricheco non possono essere lavorate fino a marzo, quando le foche partoriscono. Le carni di animali di acqua e di terra non devono essere cotte contemporaneamente nello stesso recipiente. Il sangue umano è odioso ai mammiferi acquatici: perciò le donne che hanno avuto un aborto devono confessarlo apertamente affinché non manchino tali animali; la confessione pubblica del peccato rende possibile alla società di paralizzarne gli effetti.

La divinità principale è, specialmente per gli Eschimesi centrali, la "signora dei mammiferi del mare" Sedna (Avilayoq). Essa risiede nel mondo inferiore, nel fondo del mare, e ha un solo occhio. Quando è offesa dagli Eschimesi tiene indietro gli animali acquatici e in questo caso lo sciamano deve farle visita e togliere dai suoi capelli ogni impurità; questo sudiciume è il deposito di tutti i peccati degli uomini sulla terra e specialmente degli aborti dissimulati delle donne. Esiste anche una "signora degli animali di terra" (Pukimna), ma è assai meno importante. Il protagonista nella battaglia contro i poteri nemici è lo sciamano (Angekok). Egli manda via le malattie e assicura la caccia con l'aiuto dei suoi genî tutelari; la sua anima in estasi viaggia sul fondo del mare o verso la luna e gli spiriti parlano con diverse voci attraverso di lui. Esiste anche una lingua propria degli sciamani, che differisce dall'ordinaria, e nemmeno gli Eschimesi cristiani si sono liberati dalla credenza nel potere di questi stregoni. Un animismo pronunziato dà un'anima alle cose viventi e a quelle inerti. L'Eschimese delle regioni centrali seppellisce i suoi morti avvolti in pelli sotto un mucchio di pietre: nell'Alasca li depone su piattaforme o in casse appoggiate su pali. La paura dello spirito del morto si mostra nei numerosi tabù che sono da osservare in caso di decesso, come pure nell'usanza di non nominare più il defunto: se egli portava il nome di un animale, questa parola deve essere eliminata dalla loro lingua. La rappresentazione dell'al di là è abbastanza perfezionata. Vi sono tre cieli sovrapposti uno all'altro: chi muore di morte violenta va nel più basso; chi soccombe ad una malattia va dapprima nella casa di Sedna, dove resta un anno, e di là viene mandato al secondo cielo; gli annegati vanno subito nel terzo e più alto cielo, poiché è nella caccia, durante la quale si può annegare, che la società ha il maggior interesse. I suicidi, come nocivi alla società, finiscono in un luogo oscuro, dove girano con la lingua penzoloni, e le donne che hanno dissimulato un aborto vanno nel mondo inferiore. Nel viaggio nell'al di là vi sono anche ostacoli da sormontare, come ponti di ghiaccio e corde. Gli astri hanno un'importanza religiosa minima. Numerosi miti raccontano della trasfigurazione degli uomini in stelle. Manca l'idea dell'eroe civilizzatore, così comune in Amenca. Anche le favole di animali sono scarse. Nelle numerose leggende tutto si svolge con naturalezza; e ciò si verifica anche nelle storie degli eroi.

 

1957 (30)  La madre del mare. Racconta la storia della Sedna o Nuliajuk, la dea del mare, Signora di Tutti gli Animali, la Più Terribile degli Spiriti, per cui Nulla è Impossibile. Era la protettrice delle foche.

 

1966  (56/8) Il bambino e la volpe.  La bambina e l’aquila.  Il tuffalo e il corvo.

 

1977       (113) Storia di un pescatore eschimese

 

 

1981  (116)  Il guidatore di renne e la larva

 

 

1997  (297)  L’orso del mare .  Si tratta di una leggenda Inuit. Un orso polare dalle dimensioni enormi, così grande da superare profondi fiordi, quasi camminasse toccando il fondo, terrorizzò a lungo la popolazione. Si racconta che avesse un fiato così caldo da sciogliere i ghiacci e una bocca tanto enorme da ingoiare enormi iceberg.

 

 

2004  (402/3)  Mitologia nordica. L’uomo e la luna.    La luce dell’aurora

 

 

2006  (441/2)  Mitologia nordica.  La madre del mare, pesci e foche. Asiaq,  la padrona del vento, delle renne e dei cacciatori in kaiak.

 

 

2007 (488/9)  Miti groelandesi. Gli scogli. Un inuit in kaiak di fronte agli spiriti degli scogli. Leggenda dell’Orso del lago.

 

GUATEMALA

 

2013  (673) El Sombreron. Una leggenda racconta la storia di una bella ragazza, Celina. Aveva  occhi neri e grandi e lunghi capelli ondulati . Tutti L’ammiravano.

Una sera de passanti videro un carro tirato da quattro muli mentre passava davanti alla casa di Celina. Uno dei due disse: “ Mi sembrano i muli di Sombreron” « Dio non voglia! " disse l'altro, e corsero via.  Intanto Celina, mentre stava per  addormentarsi, udì una  musica dolce e una voce  tenue che sussurrava: "Tu sei la colomba bianca come il fiore di limone , o tu mi darai il tuo amore o ti farò morire di passione ".

Da quel giorno, ogni notte, Celina continuò a udire quella musica. E una notte non poté più resistere alla curiosità e si affacciò al balcone per vedere chi fosse l’uomo che cantava. Vide  un bel giovane che indossava lucenti stivali di pelle con speroni d'oro, il quale cantava, ballava  e suonava la chitarra sotto le sue finestre. Da allora, la ragazza non cessò più  di pensare a quell'uomo. Non mangiava,  viveva solo nell’attesa che lui tornasse sotto le sue finestre. Si sentiva come stregata. I vicini di casa consigliarono ai genitori di  inviarla in un convento in modo da allontanarla da ogni tentazione perché sapevano che quell’uomo era un pericoloso tentatore e rubacuori. E così avvenne: Celina fu rinchiuso nel Convento di Santa Cecilia.  Ma da quel giorno la ragazza sprofondò nella tristezza. Le mancavano le canzoni e la musica di Sombreron. Non mangiava più e deperiva. Nel frattempo l'uomo stava impazzendo per  cercarla ovunque.

Un  giorno la ragazza morì di dolore. Il suo corpo fu portato in casa dei genitori. E quella notte tutti udirono un canto triste, melanconico e doloroso. Era Sombrerón, che stava affogando nel suo dolore e  cantava alla sua amata : "... ay ay amata mia, quando passerò per questa strada avrò sempre un fazzoletto con cui  asciugare tra i sospiri le mie lacrime”.

Coloro che,  percorrendo la strada dove Celina abitava, hanno incontrato Sombrerón  affermano di averlo veduto sempre con le lacrime agli occhi mentre cantava dolcemente: «Che male ho fatto per aver perduto il mio amore. Perché l’amore  che per tutti è gioia provoca in me un dolore così cocente?”  E tutti, udendo le sue parole, partecipavano alle sue sofferenze. Si dice che il giorno di Santa Cecilia , si vedono sempre quattro muli presso la tomba di Celina e per l’aria vaga una canzone dolce : "O mio cuore,  simile a un mazzo di fiori di limone, non potrò mai dimenticare di averla amata tanto.

2013 ( 674) Leggenda di Tatuana. Ad Antigua, in Guatemala,  una vecchia  donna vedova, che viveva nel quartiere del Calvario, versava nella povertà più grande. I suoi vicini a malapena le rivolgevano la parola perché credevano che fosse una strega.

Un giorno chiese alla fornaia di darle un  pane a credito, ma non ottenne che un rifiuto. Allora la donna disse: "Io so che suo marito l'ha lasciata , ma posso farlo tornare a voi . Prendete questo pezzo di cuoio e stasera,  alle  otto, col pezzo di cuoio colpite per tre volte un cuscino,  poi metteteloo sotto e chiamate a gran voce vostro marito. Lui ritornerà”.

Grata la negoziante le diede il pane e un cesto pieno di verdure . Quella sera fece quanto le era stato detto e subito suo marito ripresentò. Da quel giorno il marito rimase fedele.

Alcuni giorni dopo, la strana vedova si ripresentò per chiederle di restituirle il pezzo di cuoio.  La  negoziante si lamentò “Se ve lo restituisco mio marito se ne andrà di nuovo”.

La vedova le rispose che lo avrebbe usato solo  per un altro lavoro . La negoziante glielo diede  e quello stesso giorno suo marito lasciò nuovamente la casa.

La fornaia si rivolse al prete e alle autorità denunciando il fatto. La vedova fu portata in prigione e accusata dei stregoneria. Ma la vedova, circuendo i carcerati organizzò  un piano di fuga.

Con un pezzo di carbone disegnò sul muro della cella una barca, pronunciò alcune parole magiche poi “salì sopra la bar5ca” e scomparve.  Nella cella rimase solo un forte odore di zolfo. Da quel giorno nessuno la rivide più o ancora oggi la ricordano col nome di Tatuana.

Alcuni storici riferiscono che questo personaggio visse nel corso degli ultimi anni della città di Santiago de los Caballeros .

2013 (676) Xocomil. Il Lago di Atitlán, maestoso specchio di acqua azzurrissima e Parco Nazionale, patrimonio dell'Umanità Unesco, si trova in prossimità due vulcani, alcuni fiumi e di una dozzina di minuscoli villaggi indios: Panajachel, San Antonio Palopó, Santiago.

E’ noto per varie leggende  sorte tra le tribù sparse lungo le rive. La più nota è quella legata allo “xocomil”  Lo Xocomil è   il "vento che porta via il peccato": agita le acque e, secondo i Maya, quando soffia, indica che lo spirito del lago sta "buttando a riva " il cadavere di un annegato, dopo essersi impossessato della sua anima.

La leggenda narra che per formare il lago di Atitlan  avessero contribuito i tre fiumi nati dai due vulcani sorti nelle vicinanze. Si racconta che ogni mattina una giovane era solita fare il bagno nelle acque dei fiumi, acque dolci e calde che la avvolgevano quasi con tenerezza. La ragazza, era una fanciulla sottile, con i cappelli neri, dalla pelle morbida e di incomparabile bellezza. Era la figlia del capo della regione. Il suo nome era Citlatzin che  significava "piccola stella". Cantava con dolcezza e giocava con l’acqua come se fosse un qualcosa di vivo che l’avvolgeva. .Un giorno si innamorò di lei un giovane, Tzilmiztl, figlio di un falegname.. Alla ragazza il giovane piacque subito e divennero amanti sebbene le condizioni sociali fossero diverse e il loro matrimonio impossibile.

 

Nel frattempo  Citlatzin continuò a prendere il bagno nei fiumi ma chi l’avesse  osservata bene avrebbe notato che non cantava e che non giocava più nelle loro acque cristalline. C’era qualcosa nell’acqua che le dava fastidio. Dopo qualche mese cominciarono ad avvenire cambiamenti nel corpo Citlatzin . Le acque dei fiumi, che  conoscevano bene le forme del suo corpo,  si accorsero che le sue forme stavano  mutando. Sapevano che non era ancora venuto il tempo in cui poteva sposarsi e non riuscivano a comprenderne il perché.  Stavano morendo di curiosità  così,  per poterlo capire, decisero di chiedere al vento quello che stava accadendo. Il vento rivelò loro gli incontri con Tzilmiztli e furono accecati dalla gelosia  tanto da decidere di fare qualcosa per separare i due amanti. Gli chiesero di portare da loro i due innamorati.  Quando ciò avvenne  spinsero Tzilmiztli ad entrare nelle loro acque che divennero subito tumultuose e il giovane affogò. Quando Citlatzin comprese quello che stava accadendo decise di non poter vivere senza Tzilmiztli e volontariamente entrò nelle acque e in mezzo a furia del vento afferrò una mano dell’amato per affondare negli abissi con lui. I fiumi nel vedere Citlatzin decisa a porre fine alla sua vita con Tzilmiztlisi infuriarono ulteriormente e formarono correnti d'aria che ricoprirono tutta la regione. Così nacque il vento Xocomil. Le acque dei non dimenticarono mai il tradimento della ragazza da loro amata e ancora oggi quando il vento si leva  protestano per il suo peccato.

2013 (675)  La Llorona . E’ una donna fantasma che cammina per le strade della città in cerca dei suoi figli. La leggenda racconta che una donna della buona società di nome Marisa López Figueroa, giovane e bella, sposò un uomo anziano, responsabile e amorevole che la viziò come se fosse stata  una bambina. Sapendo  che alla sua giovane moglie piaceva folleggiare in società, lavorò instancabilmente per soddisfare le esigenze economiche della consorte, che, sentendosi coccolata, sperperò tutto quello che il  marito guadagnava.  Marisa Lopez ebbe quattro figli, educati dalla servitù perché la madre non si occupava di loro.  Passarono diversi anni e il marito cadde ammalato e morì lasciando la moglie  senza denaro, incapace di sfamare i figli.

Per un certo tempo la signora Figueroa fece fronte alla povertà vendendo i mobili di casa, poi i gioielli. Alla fine, non riuscendo più ad aiutare i figli, salì su una carrozza e si diresse al fiume dove li gettò in acqua. Anche lei li seguì gettandosi tra le acque nel fiume.

La leggenda narra che nel giorno della tragedia Marisa Lopez  esce dalla sua tomba per attraversare la città su una carrozza gridando, urlando, in cerca dei suoi figli. Le donne che in  quella notte la sentono urlare chiudono le finestre e chiunque  incroci la carrozza con la donna che urla avvertono paura e provano per lei misericordia e pietà.

Uno scheletro vestito di nero  guida la carrozza trainata da cavalli di fuoco . Un giorno , quattro amici , vincendo la paura, seguirono la carrozza che correva ad alta velocità attraverso le strade del centro di Aguascalientes in prossimità del fiume e la videro scomparire tra i flutti .

 

Guernsey

1981 (217)   Fiaba

 

GUINEA REPUBBLICA

1968  (355/62 +P.A. 82/5 )Fiabe:  I genietti del monte Nimba. Il narratore. La luna e le stelle. Lan il piccolo buffalo. I Niananabla e i coccodrilli. Leuk, la lepre e il tamburo. Il cacciatore e l'antilope femmina.  Malissadio, la fanciulla e l'ippopotamo.L'eredità del vecchio Faja.  Soumangou  rou Kante ucciso da Djegue. Piccolo Goume, il figlio del leone.

 

Anno 2011  (610/3)  Racconti di Natale. Pierino e il lupo. Un canto di Natale di Dickens. La pastorella e lo spazzacamino  di Andersen

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