“Conoscere Nicolò attorno ad una tavola imbandita, in piacevole compagnia, è stata una gradevole esperienza. Rivederlo sdraiato nell’erba, intento ad accarezzare Atheno, un ghepardo, da lui definito”un cucciolone mansueto come una capretta indifesa”, ha suscitato in me uno stupore inatteso. Questo è stato il  nuovo aspetto con cui mi si presentò quando lessi una intervista,  corredata da fotografie, pubblicata su “La Gazzetta del Lunedì” del 22 ottobre, a cura del giornalista Andrea Ferro,  .  

Sapevo che Nicolò era iscritto alla facoltà di Veterinaria, che pochi erano gli  esami ancora da sostenere e che era desideroso di fare esperienza sul campo.  Ma che il ‘primo campo’ fosse la Namibia e tra i suoi primi pazienti vi fossero un ghepardo, licaoni, cercopitechi, cuccioli di coccodrillo, caracal ... non me l’aspettavo. La prassi, per un giovane che sta per affrontare la carriera di veterinario,  sarebbe stata quella di iniziare con i nostri animali domestici, quelli che vivono nelle nostre case e nei nostri giardini. Probabilmente Nicolò la pensa altrimenti: lui ama prendere le cose partendo dalle più ardue. Due le frasi che più gli si attagliano: “Per aspera ad astra” e “Prendere il toro dalle corna”. E chi gli può dar torto!

L’intervista rilasciata al giornalista Ferro si  concude con: “[Nicolò]  un giorno vorrebbe tornare in Namibia con una laurea in tasca e lo stesso, ‘bestiale’, entusiasmo”. Una previsione che per me è già una realtà perché Nicolò, forse ora ne se ne rende conto, ma in Africa ha contratto una malattia (per me una delle più piacevoli). E’ il ‘mal d’Africa’. Una malattia che ha richiamato alla mia memoria Joy Adamson e la sua leonessa Elsie, Dian Fossey e i suoi gorilla di montagna, Jane Goodall e i suoi  scimpanzé.

Il  Mal d’Africa è  una malattia che  subito si insinua nella mente e subito si impadronisce di te quando ti trovi nell’immensa savana, dorata di giorno dai raggi del sole, ammantata di notte da ombre vinte dai raggi della luna e dai bagliori delle stelle, che in Africa sembrano più vicine. Basta alzare un dito per sfiorarle

E’ una malattia, caro Nicolò, dalla quale ti auguro di non guarire.

Namibia, un volontariato animale   (Nicolò Penso)

 

Essere veterinario per me, in quanto studente, significa dedicare la propria vita alla salute animale: parliamo di una disciplina medica molto difficile nel rapporto con il paziente in quanto non parlante, esattamente come accade in pediatria.

Quest’ anno per le mie vacanze estive ho ricercato un’ esperienza che fosse formativa più che turistica e che mi permettesse di raggiungere una maggiore empatia con gli animali, lavorando a stretto contatto con loro, accudendoli, dando loro da mangiare, magari gestendo le loro terapie o semplicemente stando loro vicino per ricevere ogni sensazione che essi fossero in grado di trasmettere.

Tutto questo è stato possibile alla Harnas Wildlife Foundation nei pressi di Gobabis, Namibia; un luogo in cui il benessere animale viene messo al primo posto e che si prefigge di salvaguardare la biodiversità africana con un’ opera di recupero e re immissione in ambienti protetti quali parchi naturali. Essenzialmente la fondazione si compone di un’azienda agricola centrale (che raccoglie oltre agli animali da reddito anche quegli animali selvatici che necessitano di cure particolari) circondata da un immenso groviglio di recinzioni che si addentra nella terra dei boscimani.

Queste recinzioni sono di due tipi: il primo tipo contiene una sola specie di animali ciascuna; animali quali leoni, ghepardi, leopardi, licaoni, caracals (che per chi non lo sapesse sono dei gran gattoni di aspetto simile alle per noi più familiari linci) e babbuini, che vengono nutriti e controllati con frequenza giornaliera.

Il secondo tipo di recinzione viene definito lifeline ed è il cuore del progetto di recupero di Harnas: in quest’area sono inseriti gli animali per cui si vuole tentare il rilascio in natura. Essi vengono seguiti da lontano dai ricercatori tramite apparecchi radio e viene monitorata la capacità di sopravvivenza in un ambiente che viene gestito dall’uomo in maniera solo marginale.

Il progetto è estremamente ambizioso e vasto e in quanto tale i costi di mantenimento sono alquanto elevati; è qui che entra in gioco il progetto volontari di Harnas, iniziato nel 2001. Ragazzi da tutto il mondo, di differente provenienza culturale ed estrazione sociale decidono di mettersi in gioco per un periodo che può andare dalle due settimane ai tre mesi, prestando la propria opera affiancando i boscimani e le guide nel duro lavoro necessario affinchè il progetto sopravviva di giorno in giorno.

I volontari vengono divisi per motivi logistici in quattro squadre: houndogs, crocs, owls e snoobabs (inverso di baboons). Il nome di ogni squadra riflette il motivo per cui è stata creata e simboleggia gli animali di cui ci si prende cura, infatti ognuno di questi gruppi ha il compito particolare di accudire determinati animali presenti nella fattoria, dividendosi così i compiti.

Alcuni animali necessitano di cure particolari nell’essere sfamati, emblematici in questo senso sono i ghepardi e la civetta. Per i ghepardi è necessario essere in quattro (uno per ogni ghepardo, ma non nel senso che siano i volontari lo spuntino!), ognuno tiene in mano una ciotola contenente un “pezzo di asino” ed entrando nel recinto si esclama: “cheetahs up” così i ghepardi si posizionano sulla loro piattaforma e mentre i volontari vanno loro incontro, arrivati alla giusta distanza ordinatamente prendono ognuno il proprio pezzo di carne dalla ciotola. E’ un operazione molto spettacolare e infatti viene svolta sotto l’occhio pagante dei turisti.

La civetta Popeye è sicuramente l’animale che nessuno vuole mai sfamare perchè necessita ogni giorno di un topo: questo viene scelto dal terrario dal volontario di turno, schiantato contro un gradino in modo da ucciderlo e poi offerto alla civetta. Quando è stato il mio turno ho accettato un po’a malincuore e ho compiuto quanto andava fatto, ma una volta arrivato dalla civetta questa non era più sul suo solito albero! I sensi di colpa mi attanagliavano per aver ucciso un innocente topino senza motivo ma per fortuna Popeye era semplicemente su un albero vicino, che dovetti scalare per porgerle il lauto pasto.

Ovviamente l’attività svolta più di frequente da tutti è il food prep ovvero la preparazione del cibo e la somministrazione dello stesso agli animali includendo anche pulizia e il controllo del benessere e del comportamento, attività che viene svolta due volte al giorno. Sono presenti comunque numerose altre attività, come ad esempio le interazioni (tenere compagnia agli animali all’interno delle loro recinzioni interagendo quindi con loro; possibile con caracals, cavalli, babbuini, suricati, cuccioli di varie specie e ghepardi) le passeggiate (in cui gli animali vengono portati lontano dalla fattoria e lasciati liberi di sgranchirsi le gambe sotto lo stretto e attento seppur qualche volta maldestro controllo dei volontari; effettuato con i babbuini, i cuccioli e i ghepardi), passeggiate a cavallo (sia per principianti che per esperti), lezioni sugli animali (su ghepardi, leoni e leopardi, tenute dall’espertissima ricercatrice del progetto), farmworks (in cui si affiancano i boscimani nei lavori di routine quali riparazioni e trasporto di legname), cheeky cheetahs (trattasi non di ghepardi ma di assistenza nella scuola dei bimbi boscimani) e infine outside feeding e tour (in cui si raggiungono in macchina i recinti esterni e si nutrono i grandi felini, licaoni e babbuini lanciando il cibo attraverso le recinzioni, cibo che nel caso dei leoni può essere rappresentato da un emitorace d’asino, il che può richiedere notevole forza per il lancio).

Una figura a parte che viene scelta tra i volontari, normalmente optando per una persona di estrazione veterinaria è l’animal care taker. E’ una figura molto importante e di responsabilità che si occupa di gestire le terapie decise dal veterinario del centro e di controllare che gli animali siano in salute, nutriti abbastanza e nel modo giusto e con acqua sempre disponibile, che il comportamento sia normale e che i recinti siano puliti. Per fare questo deve fare una volta al giorno il giro completo della fattoria e almeno una volta alla settimana il tour per controllare anche il benessere degli animali tenuti all’esterno.

Questo era infatti il mio compito in quanto studente di veterinaria, nel periodo in cui ho svolto questo ruolo oltre alle mansioni di controllo gestivo diverse terapie: pillole per l’epilessia per Kaptain, il cane della proprietaria di Harnas, crema al cortisone sul naso di Jaboo, il cucciolo di licaone (operazione che andava svolta mentre veniva nutrito a causa della mordacità, e nonostante ciò i morsi sono stati molteplici), antibiotico dentro una banana due volte al giorno per un cercopiteco con una ferita aperta sulla coda, pulizia con soluzione fisiologica e antibiotico per l’occhio di un cucciolo di coccodrillo (operazione che richiedeva almeno due paia di mani); inoltre nel pomeriggio preparavo il latte in polvere per i cuccioli di caracal, li prendevo in braccio e poi li nutrivo e li accudivo.

Nonostante tutti questi compiti era facile ritagliarsi del tempo libero durante la giornata, tempo che veniva spesso utilizzato nell’interazione uomo-animale, vero punto cardine di Harnas: all’ interno della fattoria era permesso, con la dovuta attenzione e preparazione, entrare nella maggior parte delle recinzioni e gabbie e una volta lì si iniziava stando semplicemente seduti, tastando le reazioni dei pelosi occupanti che una volta vinta l’iniziale diffidenza verso gli intrusi di turno regalavano tutto l’affetto di cui erano capaci, in relazione al carattere e all’attitudine di chi li era andati a trovare. Sicuramente uno degli animali più amati è Atheno il ghepardo. Atheno ha quattordici mesi, ed è quindi ancora un cucciolone sebbene abbia già raggiunto pressoché la stazza di un adulto, adora la compagnia e le coccole dei volontari, che ricambia con sonore fusa. Nonostante ciò è in cantiere l’inizio del suo processo di rilascio, che inizierà appena sarà entrato interamente nell’età adulta.

Un’ altro tipo di interazione molto interessante è quella con i babbuini: sono animali estremamente energici e vivaci, con cui è molto difficile rapportarsi; l’ingresso nella loro recinzione è permesso solo in presenza di una guida, ed è assolutamente vietata l’interazione con i babbuini di grande stazza data la forza notevole e la potenza nei morsi che possono produrre. Se stanno facendo qualcosa di fastidioso è consentito prenderli e lanciarli via ma assolutamente importante è evitare qualsiasi suono di dolore, non importa quello che vi stiano facendo e quanto male si stia provando. Personalmente ho emesso un gemito mentre il capobranco mi stava tirando i capelli e per tutta risposta ho ricevuto un dolorosissimo morso. Piccolo aneddoto: ero entrato nella recinzione lasciando le scarpe, calze e ogni altro oggetto al di fuori come da prassi; le manguste hanno pensato che fosse divertente rubarmi le calze e correre per tutto il prato portandole in bocca! Mi chiedo ancora dove siano finite...

Concludendo, il tipo di vita che si conduce ad Harnas permette per qualche tempo di lasciarsi alle spalle tutte le preoccupazioni e gli intrighi tipici del mondo civilizzato, abbinando il duro lavoro all’interazione con animali unici, stringendo amicizie per la vita e permettendo di confrontarsi con le diverse culture nel mondo senza il freno dei pregiudizi, dove non importa la razza, la provenienza o la ricchezza; tutti lavorano e sanguinano allo stesso modo nell’aspra e allo stesso tempo incantevole cornice della bushmanland namibiana, uniti dalla voglia di mettersi in gioco e dall’amore per gli animali.

 

Di seguito l'album fotografico e l'articolo di Andrea Ferro pubblicato il 22/10/2012 sulla Gazzetta del Lunedìl

 

         

 

 

Agosto 2012