CAPITOLO  OTTAVO

 

DESIRE’  NISARD

 

1) L’opera letteraria di Desiré Nisard. 

2) Ripresa nell’opera nisardiana dello schema letterario classico.

3)  Contrasto tra ideale classico e ideale romantico in Nisard.

 

 

 

1)    L’opera letteraria di Desiré Nisard. 

 

Desiré Nisard esplicò la  sua attività letteraria proprio in quel periodo in cui il Romanticismo s’era fatto facile maniera e in cui la maggior parte dei critici aveva cercato di far pendere la bilancia dalla parte della libertà e s’era applicata a difendere i diritti dell’immaginazione e l’iniziativa del genio.

Nisard dopo aver combattuto con tenacia contro tale romanticismo, direttamente nel Manifeste contre la littérature facile del 1833, e indirettamente in Les poètes latins de la decadence del 1834, era diventato il depositario e l’interprete del dogma classico.

La verità, vera o falsa che fosse, era che, secondo lui, una letteratura inciampica e traballa per lungo tempo finché non tocca un punto di stabilità, punto che rappresenta il più alto grado raggiunto da tale letteratura. Dopo di che si ha l’inizio della decadenza. Per Nisard il culmine coincide col XVII secolo; l’inizio e la decadenza con i periodi precedenti il Gran Siècle e con quelli che lo seguirono.

Fatta giustizia del Medioevo, egli veniva a riconoscere, nell’epoca di Luigi XIV, l’ideale artistico per eccellenza. Alla nuova critica romantica che considerava l’opera d’arte come traduzione dello spirito contemporaneo, Nisard sostituiva l’antica poetica del gusto classico, immobile in una sua astratta perfezione. In base a questa sua concezione il critico veniva nell’ Histoire de la littérature française a giudicare i vari scrittori paragonandoli con quelli del “Grand siècle” e inoltre teneva l’opera di Boileau – che, secondo lui, aveva colto lo spirito del XVII secolo in modo mirabile – come un libro importantissimo e quasi infallibile. Se dal punto  di vista generale la concezione nisardiana era alquanto ristretta, tuttavia ci si accorse subito che i paragoni, i confronti tra i vari scrittori e il suo ideale espresso all’inizio del libro erano un vero esame di maturità per tali scrittori e molti ne uscirono depurati di quella parte inutile e menzognera che fino ad allora li aveva accompagnati. Ciò fu dovuto in parte al carattere antierudito di Nisard che gli impedì di cogliere tutto ciò che di curioso vi era nella vita e nell’opera di ogni autore e a tralasciare ogni cosa inutile, ogni cosa capace di riempire pagine di frivolezze. “Il est le contraire de ceux qui donnent au public des papiers plutot que des idées”, così lo giudica Sainte-Beuve (1).

Ma è proprio nel momento in cui propone il suo sistema che Nisard cade, se non in difetto, almeno in una limitazione. Egli pone infatti all’inizio della sua opera una definizione dell’”esprit français” e in base a tale definizione giudica tutta la letteratura francese conservando solo le opere e gli uomini che trova conformi o analoghi alla sua definizione. Non c’è, quindi, da stupirsi se in tutto ciò che tratta egli rilevi tale “ésprit français”, perché la definizione di tale “esprit” era in precedenza tratta proprio da tali uomini e da tali opere. Si tratta quindi di un circolo vizioso, e tali circoli viziosi non convincono affatto.

Nisard considerato da questo punto di vista è un conservatore eccessivo. Mentre tutta la critica romantica era portata ad indagare sulle relazioni che esistevano tra l’opera e la società, fra l’opera e la circostanza della loro comparsa, Nisard si preoccupava di esaminare l’opera in se stessa (cosa che faceva esclamare  al Lanson: “ce qui y manque le plus c’est le sens historique” (2) e di indagare solo su ciò che la precedette.

Che una tale critica sia errata non si può dire, ma che fosse limitata e fuori dalle esigenze che la critica aveva in quegli anni, sì.

Al di fuori di tale concezione, l’opera si presenta come un insieme di brevi discussioni l’una che spiega e che annuncia la seguente.

Un merito di Nisard fu di ricordare ai romantici il difetto in cui essi spesso e volentieri cadevano e cioè di fare una letteratura eccessivamente personale.  La letteratura classica non ammetteva ciò e in fondo alla teoria nisardiana delle “verités générales” c’era l’idea che una letteratura troppo personale talvolta rischia la caducità. Il principio delle “verités générales” ha condotto il Nisard a concepire la storia della letteratura francese in un modo originale e fecondo e gli ha ispirato una idea che è come la trama di tutto il suo libro e gli assicura un valore filosofico. Il vero eroe di tutta l’opera nisardiana è “l’ésprit français” che il critico rappresenta come un tipo. Lo spirito francese tale e quale Nisard lo concepisce è una certa ragione non speculativa ma pratica che non si lascia dominare dall’immaginazione né dalla sensibilità, una ragione che ricerca il vero, il vero solido e provato della vita morale. Tutto ciò che sembra astratto, arbitrario, viene tralasciato: E’ una ragione che non si allontana mai dal senso comune, che cerca di essere libera da qualsiasi pregiudizio, che tenta di mettere l’uomo al di sopra di ogni cosa e di obbedire alle regole senza diventarne schiava, Questo è l’”ésprit français” che Nisard cerca negli autori, negli scrittori francesi; ed esaminando tali scrittori alla luce di tali idee, aggiunge assai spesso ad ognuno di essi un tratto nuovo, un aspetto nuovo che prima mancava.

In tutta la sua opera non cercheremo quindi la critica minuziosa e precisa che abbiamo riscontrato in La Harpe o in Voltaire, né le vedute  di letteratura comparata  che facevano parte dell’opera di Villemain, né le bellezze che Sismondi descrive nella sua opera e neppure le indagini biografico-psicologiche di un Sainte-Beuve, ma, considerando il contributo dell’opera nisardiana, ci dovremo sempre riferire a quella teoria dello spirito francese che – sebbene limitata – ha aiutato la comprensione di molti scrittori.

Di un difetto dovremo ancora parlare ed è che Nisard, con la sua aderenza troppo perfetta alla ragione generale, ha perduto di vista quella che è l’importanza della ragione individuale ed essendo troppo conservatore, non ha dato la parte giusta, per quel che riguarda la letteratura, all’immaginazione inventiva ed ha troppo misconosciuto la parte di ingegno personale degli scrittori.

Per comprendere meglio la sua opera  gioverà riportare una pagina che su di lui scrisse Sainte-Beuve: “Si le livre de M.Nisard termine  ainsi qu’il a été conçu et sans que l’auteur ait jamais devié de sa ligne principale, peut  être consideré, d’après le point de vue didactique et moral qui y domine, comme une protestation contre le gout du temps, il en est à la fois un témoignage, et il emporte plus d’un signe par la nouveauté du détail, par la curiostité des idées et de l’expression: ce dont je le loue. Il rend surtout témoignage du caractère et du talent de l’auteur – un caractère ami du bien et jaloux du mieux  un de ces esprit comme il-y-en a peu, fixés et non arrétes, défendu par des principes, et qui reste ouvert au bonnes raisons, un ésprit qui a en soi son moule distinct, et qui imprime a tout ce qu’il traite ou ce qu’il touche un certain composé bien  net de sagacité, de savoir, de moralié et de style – qui y met sa marque enfin”(3).

 

 

2)    Ripresa nell’opera nisardiana dello schema letterario classico. 

 

Desiré Nisard col suo Manifeste contre la letterature facile (1833) batte in breccia le idee romatiche. Rimprovera ai contemporanei di aver dimenticato la lezione dei grandi classici, e la sua concezione letteraria ritorna a considerare il secolo di Luigi XIV e l’importanza del sovrano. Basta leggere il capitolo VII del libro terzo dell’Histoire de la littérature française interamente dedicato all’influenza di tale sovrano, considerato e sotto l’aspetto di re e sotto quello di uomo.

Nisard spinto dal desiderio di ricercare una moralità  nell’opera letteraria altro non fa che rimettere in vigore lo schema classico, allora assai in decadenza: “ ce que j’ai osé faire... ç’a été de mettre en rélief, dans l’examen historique de nos chefs-d’oeuvre, le côté par le quel ils  intéressent la conduite de l’ésprit et donnent la règle des moeurs” (3).

Proprio all’inizio della sua opera Nisard fa una sottile distinzione tra “histoire littéraire d’une nation et histoire de sa littérature” (5). La prima comincia con i primi “begayements” nella lingua che poi diverrà nazionale: per la seconda, invece “il y a une littérature le jour ou il y a un art” (6). A noi interessa vedere quando tale giorno arriva; giorno che oltre a segnare l’inizio della storia letteraria, segna anche il punto di partenza dell’idea di Nisard.

L’arte raggiunge la perfezione attraverso tre stadi successivi. Nel primo non si ha arte alcuna, ma solo un indistinto e confuso ricordo dell’arte antica, Nel secondo stadio, al ricordo dell’arte antica, succede lo studio dei documenti, la ricerca di idee generali che lo spirito va catalogando. Molte cose saranno vagliate, alcune saranno assimilate, altre gettate via; e sarà su queste cose apprese che si baserà il terzo stadio e “enfin, à une certaine époque unique éclatent dans le même peuple la perfection du génie particulier de ce peuple e la perfection de l’ésprit humain” (7). Solo il secondo e il terzo stadio interessano lo schema di Nisard; “Nous sommes fixés sur l’époque ou doit commencer l’histoire de cette la littérature: c’est cette seconde époque ou l’art parait et ou l’ésprit français esprime des idées générales dans un language definitif.” (8). Questa seconda epoca inizia nello schema nisardiano col Rinascimento e l’influenza dell’ ”ésprit français” si manifesta per la prima volta in Marot e Margherite de Valois. D’un balzo si era ritornati all’Art poétique di Boileau, là dove il critico diceva che all’arte confusa degli antichi era successo Marot il primo che “montra pour rimer des chemins tout nouveaux (Art poétique, v. 122, canto I).

L’éclat ébluissant de l’ésprit français” viene poi dal critico concretizzato in  quel Seicento che abbiamo visto così elogiato sia dai contemporanei sia da coloro che seguirono. Lo schema di Nisard, quindi, pur approfondendo con la sua personale cultura lo studio di quel secolo, pur aggiungendovi una indagine su quella che era la spiritualità francese, risentiva tuttavia le critiche degli scrittori del Seicento e di quelli del Settecento. Boileau, col suo codice poetico, è sempre presente; e Boileau per Nisard è “la plus éxacte personnification dans notre pays de l’Ésprit de discipline et de choix, de la régle qui nous enjoint de nous proportioner, de nous approprier  aux autres, de donner le plus haut degré de gènéralité a nos pensées” (9).

Anche Voltaire si insinua nelle pagine di Nisard, come già era penetrato nelle pagine di Villemain, accetta da Voltaire la divisione delle quattro epoche di Pericle, Augusto, i Medici e Luigi XIV. Anche secondo Nisard il Re Sole aveva avuto durante il suo secolo una grande importanza in campo politico e letterario: “en France... l’oeuvre de l’unité et l’oeuvre littéraire se consomment simultanéement sous Louius XIV” (10). Dopo il Seicento comincia la decadenza.

Chateaubriand aveva visto che la maggior parte degli scrittori settecenteschi non aveva fatto altro che imitare il Seicento e questo a sua volta si era esaurito nell’imitazione degli antichi. Il XVIII secolo aveva in conclusione bevuto ad una fonte quasi esausta e quando ormai l’acqua si era mescolata al fango del fondo. I risultati erano, quindi, secondo Chateaubriand, poco felici. Nisard, al contrario, prima ancora di iniziare la trattazione del secolo dei lumi avanza delle riserve. Si è sempre sostenuto che gli scrittori del Settecento si debbono leggere alla luce di quelli del Seicento; ma ciò per Nisard è possibile solo se si segue nei settecentisti quella tradizione che deriva direttamente dal secolo di Luigi XIV.

S’il est vrai que plus on voit les choses  de haut plus ont les voit dans leur vérité, le dix-septième siècle étant le point le plus haut d’ou l’on puisse régarder les choses de l’ésprit en France, c’est de cette hauteur, ou l’on respire la moderation et  la sèrénité, qu’on jugera le plus équitablement ce que le seixième siècle a fait pour préparer la perfection des léttres françaises, et ce que le dixhuitème a fait pour n’en pas dechoir” (11).  Se poi il Settecento è un’epoca di decadenza, è precisamente nelle sue  idee, nelle sue verità che vuole esprimere che dobbiamo ricercarne la causa. Così si conclude lo schema di Nisard e “tale approfondimento se aveva il merito di sollevare ancor più la poesia del Seicento al valore di un modello unico ed insuperato, peraltro, facendo del classicismo la sola espressione perfetta della bellezza artistica con una astrazione che si richiamava ad una realtà storica soltanto in apparenza precludeva la comprensione delle infinite possibilità del genio creatore” (12).

Lo schema letterario che una tradizione di oltre due secoli e mezzo aveva costruito e che Nisard accettò completamente, portò il critico a negare totalmente il valore artistico dei secoli medievali, Nel  suo modo di concepire la storia letteraria, Nisard considerava il Medioevo appartenente all’“Histoire littéraire” della nazione francese e non all’”Histoire de sa littérature”. Se non si parlava più di secoli oscuri perché l’opera di Villemain, di Sismondi e tutti gli altri studi medievali cominciavano a far crescere di mole e di interesse il patrimonio riguardante quei secoli, Nisard tuttavia trovava ancora il modo di tacciarli di oscurantismo. Nel Medioevo, prima epoca della formazione della letteratura francese, “il n’y a pas d’art; il n’y a pas que un souvenir oscure et confus de l’art antique. A’ cette lueur qui éclaire ses premiers pas, l’ésprit français marche avec tant de lenteur, qu’il paratit  à quelques-uns reculer” (13), Tale passo ci riporta direttamente all’Art poétique di Boileau.

L’indagine di Nisard sul Medioevo, che occupa tutto il primo libro della sua storia letteraria, serve a preparare l’avvento dell’”ésprit” nella letteratura del XVII secolo e a delineare la formazione del concetto artistico, L’autore, quindi, soggiogato dallo schema classico, perdeva contatto con quegli studi che faticosamente s’erano affacciati alla ribalta letteraria europea e ritornava al verso di Boileau: “Debrouiller l’art confus de nos vieux romancier” (Art poètique, v. 118).

La legge fisica che dice che ad agni azione corrisponde una reazione contraria, diventa con Nisard legge letteraria. L’opera nisardiana, come giustamente nota Lanson, altro non è che  “une oeuvre de combat, venue après la défaite” (14), è una reazione al Romanticismo considerato l’epoca dei versificatori eruditi. Per Nisard con la fine del Settecento tutto è stato detto in campo letterario e per quel che riguarda l’Ottocento è meglio tacere e parlar d’altro.  “la France – scrive in Les poètes latins de la decadencea atteint au dix-septième siècle et au dix-huitième la plus haute civilisation littéraire des temps modernes; elle est en chemin d’atteindre, au dix-neuvième siècle  la plus haute civilisation  industrielle et politique” (15) A questa conclusione il critico giunge dopo un profondo esame sulla storia della perfezione artistica. Egli già aveva affrontato l’argomento nella Histoire de la littérature française ma in Les poètes latins de la decadence vi ritorna con spunti nuovi e con un approfondimento maggiore delle cause e degli effetti. La perfezione artistica passa attraverso tre epoche distinte: “l’époque des poètes primitifs; l’époque des poétes littérateurs; l’époque des versificateurs érudits” (16).

La prima epoca si manifesta attraverso due caratteri essenziali: necessità ed ingenuità, l’una cosa è conseguenza dell’altra perché la necessità esclude l’idea dell’arte e là dove non c’è arte c’è sempre ingenuità sia di contenuto sia di forma.

Après les poètes primitifs, qui sont à eux seuls toute une époque poétique, viennent les littératures locales, et ce qu’on appelle vulgairement les  âges d’or des belles lettres, lesquels sont personnifiées dans un certain nombre de princes comme on dit le siècle d’Auguste, le siècle de Périclès, le siècle des Medicis, le siècle de Louis XIV” (17) . Vi è in questa affermazione l’esatto schema di Voltaire.

Nella terza epoca l’arte soffoca l’erudizione e regna sulle rovine di quest’ultima. Ormai ogni cosa viene presa in prestito purché possa dare un “lambeaux de poésie” e la conclusione, il risultato è “une poésie desesperé” fatta di contorsioni, di disordini, simile ad uno che in procinto di annegare cerca di afferrarsi ad ogni cosa. Per Nisard però l’Ottocento, che coincide con questa terza epoca, potrebbe benissimo affogare e non sarebbe certo lui a gettare la fune della salvezza; “la langue française est marqué de tous les symptomes de la décadence; mais la France ne s’en émeut pas, car elle sait que sa grande mission littéraire est consommée” (18). Rimane l’avvenire ma Nisard non è così fiducioso. Fiduciosa poteva essere una Stael che affidava ad un  futuro quella perfezione dello spirito umano che aveva creduto veder trionfare con la Rivoluzione francese. Nisard è piuttosto scettico e se può accadere che l’avvenire riservi una nuova epoca d’oro (dopo Pericle s’era avuto Augusto, dopo Augusto i Medici, dopo i Medici Luigi XIV) “ont est pas si fou d’esperer une telle chose d’une nation si merveilleusement douée que la notre”. (19)

Ma questa negazione del ripetersi di un gran secolo nell’ambito della letteratura francese non viene più così categoricamente sostenuta venticinque anni dopo, quando il critico, nel 1861, compone il quarto tomo della sua Histoire. E’ subito da notare che non  si ha  alcun mutamento di posizione in lui; al contrario è proprio la sua fede nello schema classico che gli fa scrivere il passo che conclude tutto il libro: “On m’accusera pas moins d’avoir éstimé mediocrement mon temps. Si l’on inventait pour  le dix-sepième siècle un titre superieur de grand je dirais volontiers  que les soixante premiéres années du dix-neuvième siècle sont plus de la moitié d’un grand siècle. Je pourrais même affirmer que le nom lui en restera, si l’ésprit français resserre son union,  au moment relachée, avec les deux antiquités, ses deux immortelles nourices. C’est la meilleurs education... et là est la force du génie français...” (20).

 

 

 

3)    Contrasto tra ideale classico e ideale romantico in Nisard

 

 

Le indagini critiche di tutti gli autori sinora trattati si sono sempre orientate verso una forma di libertà ed hanno sempre cercato di difendere i diritti dell’immaginazione e l’iniziativa del ‘génie’. Desiré Nisard, invece, nella polemica romantica si schiera decisamente dalla parte opposta e si inchina di fronte all’autorità e alla regola in letteratura. L’adesione di Nisard a concetti antiromantici, gli deriva dall’aver esaminato troppo profondamente quello che per lui è il più grande protagonista della letteratura francese: l’ésprit.  E’ infatti mediante uno studio di questo ‘ésprit’ che il critico può concepire una storia veramente originale. La sua è una critica tutta giudizi e in lui ciò che conta sono non le indagini biografiche, le vedute di letteratura comparata, le questioni morali o le meditazioni individuali: ciò che conta per lui è la teoria.

Brunetiére ha voluto stroncare troppo recisamente l’opera di Nisard quando scrisse: “Avec tous ces defauts, et peut être en partie à cause d’eux, Nisard, dans l’histoire de la  critique moderne représente donc quelque chose. Seulement ce quelque chose, il se trouve que nous n’en avons pa besoin” (21), e ciò Brunetiére lo diceva quando notava in Nisard la preoccupazione di dare una stabilità alla tradizione ormai pericolante e in qualche parte piena di rovine. Sta di fatto che così giudicando si perde di vista una parte dell’opera nisardiana; il critico non ha cercato di rifare nelle sue pagine ciò che era già stato fatto da altri scrittori del suo tempo, di seguire idee già diffuse, ma ha tentato una cosa cui nessuno fino allora aveva pensato: una filosofia della letteratura francese.

Riassumendo una pagina della Storia della storiografia del secolo XIX di Benedetto Croce, si comprenderà meglio il perché un’opera letteraria concepita con le direttive di Nisard (riguardante uno sviluppo filosofico letterario e non storico letterario) sia apparsa come la pecora nera nel periodo romantico.

Nell’Ottocento (22) si affermò ed ebbe grande importanza la cosiddetta “critica storica della letteratura”. Fra tutte le interpretazioni che furono date, quella più accessibile e coerente fu la seguente; “una critica storica” stava a significare: critica condotta esclusivamente su documenti e su testi lasciando da parte l’estetica. Tale posizione poteva essere giustificabilissima soltanto se, una volta compiuti gli studi, ci si fosse ritornati sopra, completandoli con l’aiuto dell’estetica, della filosofia, le sole – scrive Croce – che ci possono dare una metodica conoscenza dell’oggetto. Ma ogni studioso, trovando assai semplificato il lavoro di critica, lo continuava seguendo la prima via ed ignorando totalmente la seconda. In ciò consiste appunto uno degli errori della critica romantica;  è, infatti, facendo appello ad una critica estetica, a principi filosofici che possano darci veri e propri criteri di analisi, che si arriverà ad avere una critica veramente oggettiva.

Nisard ha cercato in qualche modo di avvicinare la sua opera a tale criterio, ed è questo che fa esclamare al Brunetiére: “Je suis ancore gené ou désappointé, dans une histoire de la littérature française – come quella di Nisard – de trouver si peu d’histoire” e raramente mi è capitato di trovare “une critique toute en jugements” (23).

Nisard a causa delle sue idee antiromantiche, non  deve essere tacciato solo del nome di conservatore, ma si deve tener conto che fu, forse, il primo, in Francia, a cercar di togliere la critica da quell’incomoda posizione che Croce, con fine umorismo, paragona a quella della gru di Chicnibbio che, dormendo “in un pie’ dimorava”, sul piede cioè della filologia; e fu forse il primo a far sì che essa, quando avrebbe dovuto porre a terra l’altro piede, trovasse un qualcosa di solido su cui appoggiarlo.

Resta ora da vedere il modo in cui i termini Classico e Romantico vengono a fronteggiarsi nell’opera di Nisard. Troviamo alla fine della sua opera Les poètes latins de la decadence questa frase: “Il est difficile que j’evite un rapprochement entre la poésie de l’époque de Lucain et celle de notre temps” (24); basta quindi sapere in quale considerazione Nisard tenga Lucano, per capire come egli giudichi il suo tempo.

L’epoca romantica è per Nisard un’epoca di decadentismo. Nella sua triplice divisione della letteratura, quella romantica occupa il terzo posto: quello della letteratura erudita  (25).

Col giungere del Romanticismo la filosofia se n’è andata completamente, cedendo il posto all’erudizione; e con la filosofia sono andate anche le ultime illusioni, quelle che ancora davano un fascino alla poesia. La poesia viene, quindi, a trovarsi alla mercé di ognuno; e quello che per i romantici era un bene (portare la poesia a contatto del popolo, renderla popolare) è per Nisard un errore.

Il poeta romantico è colui che non potendo più produrre grandi effetti con piccoli mezzi, cerca di sintetizzare tutti i grandi mezzi per produrre piccoli effetti; è colui che chiama a soccorso tutto ciò che può inspirargli brani poetici, e cerca la poesia nella descrizione, nell’erudizione, nella storia, nelle religioni morte e nelle superstizioni locali, e per quello che poi riguarda la lingua “il retourne toute la langue des grands écrivains, il lui impose tous les essais; il la viole au besoin pour mieux la séduire; il la fait hurler comme pour la punir d’avoir eu des époques et des organes privilegiés” (26). Da ciò  deriva che solo la forma esiste in poesia e la forma per Nisard ha oppresso il fondo poetico e la poca ispirazione che resta somiglia più ad una agonia che non ad una ulteriore trasformazione della poesia. Il Romanticismo è soffocato da due cose: l’erudizione e la descrizione (27); la prima prova o che il poeta è impotente o che non sapendo che farsene delle sue facoltà poetiche cerca di applicarle ad un tema di fantasia preso dall’antichità. La descrizione prova invece che là dove essa abbonda c’è povertà di pensiero e che il soggetto è stato allungato con accessori: “et là ou je vois tous ensemble l’erudition et la description, je me demande ce qui reste à l’invention”(28).

Il Classicismo, al contrario, coincide a detta di Nisard, con una certa ragione pratica che non si  lascia dominare dall’immaginazione e dalla sensibilità che, pur non essendo una ragione fredda e astratta, si anima e si colora e cerca in ogni luogo il vero solido e sicuro della vita morale.

Della poesia antica, sia greca o medievale (29), rileva la grandezza quando scrive che Omero, Dante Shakespeare “tout à la fois rois et protecteurs de leur oeuvre” sono infinitamenet più grandi di tutti coloro che vennero dopo e che scrissero perché favoriti dalle circostanze o protetti da qualche gran principe. Quei tre giganti della poesia composero le loro opere senza l’appoggio del popolo, della patria o di un  re. Nonostante ciò e forse a causa di ciò, Nisard preferisce l’epoca dei poeti letterati, di quelli di minor importanza, di quei classici che però diedero all’umanità maggiori conoscenze, più tesori di ragione e senso pratico, più luce.

Dante, Omero, Shakespeare scrissero per gente di cultura pari alla loro, mentre i classici tentarono di fare da intermediari tra l’ispirazione poetica sublime e il popolo. La letteratura classica ha dunque un carattere di necessità non universale (come le poesie primitive) ma locale e nazionale e ad essa è affidato il compito di fissare la lingua che creata dalla poesia primitiva, vaga ancora indecisa finché  qualche scrittore non venga a coordinare il più grande sviluppo delle idee con il più grande perfezionamento della forma.

Una osservazione conviene ora fare sul modo in cui viene condotta la polemica classico-romantica in Nisard. Seguendo troppo da vicino quella che è la ragione generale dell’opera d’arte egli è venuto sempre più estraniandosi e perdendo di vista l’apporto della ragione individuale. Nisard fu un conservatore e lo si nota in quel suo preferire la ragione conservatrice alla ragione che scopre. Se in lui qualche pagina risulta arida e fredda lo si deve proprio a quel suo evitare di dare una parte giusta all’immaginazione inventiva e di misconoscere troppo completamente la personalità d’ogni scrittore. Per Nisard nel Romanticismo non esiste che un solo genere, il lirico, sintetizzato dalla seguente frase; “le poète parle en son nom de tout ce qui l’a touché, peines, plaisirs, ésperances, regrets, impressions des grands évenements et des beautés de la nature, amours, enthousiasmes, tentation du doute, révérie, désenchantement...(30), ma non si deve credere che tutti questi sentimenti, che faranno parte di tal genere lirico, siano la vera espressione della personalità dello scrittore, e che questi abbia sentito tutto ciò che ha scritto. Ecco quindi perché Nisard è rimasto un conservatore e non  ha accettato quella letteratura troppo “facile” (come aveva definito il Romanticismo nel suo Manifesto), che sembra così personale, mentre altro non è che “une piège”, e ogni poesia “nous donne au lieu du poète lui même, l’image flatteuse qu’il veut nous laisser de lui” (31).

 

 

 

NOTE:

 

1)       Sainte-Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo XV, p. 209.

2)       G.Lanson, Histoire de la littérature française, op. cit, p. 941.

3)       Sainte-Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo XV, p. 218.

4)       D.Nisard, Histoire de la littérature française, 4 voll., Paris, 1889, Preface.

5)       D. Nisard. Op. cit, vol I, p.2.

6)       D. Nisard,    ibidem,  p. 4.

7)       D. Nisard,    ibidem, p. 6.

8)       D.Nisard,     ibidem, p. 6.

9)       D.Nisard,     ibidem, tomo2,  p. 241

10)    D.Nisard, Les poétes latins de la decadence, 4 voll. Bruxelles, 1934, tomo 3, p. 254.

11)    D.Nisard,  Histoire de la littérature française, op. cit, tomo IV, p. 51.

12)    F. Simone, La storia letteraria francese e la formazione e dissoluzione dello schema storiografico classico, op. cit., p.17.

13)    D.Nisard,  Histoire de la littérature française, op. cit., p 5.

14)    G. Lanson, Histoire de la littérature française, op. cit., p. 940.

15)    D.Nisard, Les poétes latins de la decadence, op. cit., tomo III, p. 265.

16)    D.Nisard,     ibidem,  tomo III, p. 77.

17)    D Nisard,     ibidem, p. 83.

18)    D.Nisard,     ibidem, p. 265

19)    D.Nisard,     ibidem, p. 266.

20)    D.Nisard,  Histoire de la littérature française, op.cit., p. 551.

21)    Brunetiére,  Evolutions des genres, op. cit., p.  212.

22)    B. Croce, Storia della storiografia al secolo XIX, 2 voll., Bari, Laterza, 1920, tomo II, p.97.

23)    Brunetière, Evolution des genres, op. cit., p. 212.

24)    D.Nisard, Les poètes latins de la decadence, op.cit., p. 245.

25)    D.Nisard,     ibidem,  tomo III, pp.77-93.

26)   D.Nisard,     ibidem , p. 92.

27     D.Nisard      ibidem, p. 256.

28)    D.Nisard,     ibidem, p. 257.

29)    D.Nisard.     ibidem,  pp. 82-89.

30)    D.Nisard, Histoire de la littérature française, op. Cit., tomo IV, p. 522

31)    D.Nisard,    ibidem.

 

 

 

 

CAPITOLO  NONO

 

CHARLES AUGUSTIN de SAINTE-BEUVE

 

 

1) L’opera letteraria di Sainte-Beuve. 

2) Sainte-Beuve e lo schema classico.

3) Ideale classico e  ideale romantico in Sainte-Beuve

 

 

 

1) L’opera letteraria di Sainte-Beuve.

 

Per giungere a comprendere la complessa spiritualità dell’opera di Sainte-Beuve e la molteplice versatilità del suo ingegno, conviene seguire le diverse tappe attraverso le quali l’autore è giunto alla critica e delle quali egli stesso in una nota del tomo undicesimo dei suoi Lundi ne fa l’elenco.

Dopo una fase preparatoria caratterizzata da studi sul XVIII secolo avanzato  e dopo la sua adesione alla scuola dottrinaria e psicologica del “Globe”, la sua adesione alle idee romantiche rappresenta una delle esperienze più importanti. Nel periodo di appartenenza al Romanticismo, Sainte-Beuve venne scrivendo articoli che apparvero sul “Globe”, opere in versi e in prosa quali  Vie et poésie de Joseph Delorme, Les consolations, il romanzo Volupté e quell’opera critica assai importante per la corrente romantica Tableau historique et critique de la poésie française au XVI siècle che doveva riallacciare il romanticismo alla scuola ronsardiana saltando e combattendo tutte le teorie che due grandi secoli avevano tramandato.

In queste sue prime opere il critico già mostra quella curiosità intellettuale così viva nelle Causeries du  Lundi e va a poco a poco acquistando un’esperienza varia e profonda. Le sue critiche in quel periodo si indirizzano, non a caso, su alcuni scrittori del Seicento e del Settecento; infatti Sainte-Beuve, cercando un suo valore personale nell’ambiente romantico, tendeva a diminuire il valore di scrittori quali Boileau, Corneille, Racine che, oltre all’aver già troppo a lungo dettato legge, ostacolavano col loro persistente classicismo, lo sviluppo della concezione romantica. Ma più che fare una polemica vera e propria, ci sembra che Sainte-Beuve, con tutte queste sue opere di impostazione nettamente romantica, abbia piuttosto desiderato una cosa sola: sfondare nell’ambiente romantico ed avere un posto eminente in tale nuova corrente; e il carattere del suo Joseph Delorme ci spiega chiaramente questo stato d’animo e queste aspirazioni. Ma Sainte-Beuve non riuscì in questo suo intento ed egli stesso, a poco a poco, venne sempre più prendendo coscienza della sua mancanza di ‘génie’ poetico, della sua mancanza di immaginazione e dell’interdizione all’alta lirica. Cosa evidente in queste sue opere giovanili.

Nonostante Sainte-Beuve come poeta sia una figura di scarso rilievo, tuttavia a lui va il merito, nella poesia romantica, di aver avvertito alcune nuove esigenze dell’animo francese e di aver offerto il modello di una poesia familiare, ma ricca di intime notazioni e di velate confidenze, d’una poesia che avrà il suo posto e la sua importanza nella corrente romantica ottocentesca. Sainte-Beuve quindi, fallito il suo tentativo romantico, si allontana progressivamente dal cenacolo di Hugo. Avvenimenti politici (oltre a quelli letterari),  il suo amore per Mme Hugo, ma più ancora l’evoluzione del suo pensiero contribuiscono a tale allontanamento.

Rotti i contatti col Romanticismo, Sainte-Beuve, dopo la Rivoluzione del 1830, si sente  attratto dal Sansimonismo, poi dalle idee di Lammenais, dal Calvinismo, dal Metodismo; ma tutte queste tendenze furono da lui solamente sfiorate in quanto nessuna lo attrasse definitivamente; il critico stesso, sempre nella nota biografia dei Lundi, scrive: “Dant toutes ces traversées, je n’ai jamais aliené ma volonté et mon jugement... et je n’ai jamais engagé ma croyance...” (1)

E’ forse da tutte queste influenze nuove e diverse che si sente trasportato verso la critica, ma siamo più propensi a credere che non fossero questi contatti a spingere il critico per tale via, e che egli avesse già una idea precisa a proposito in quanto – sempre nella stessa nota - conferma di aver ogni volta dato le più vive speranze agli appartenenti di qualsiasi corrente che tentassero di convincerlo e di convertirlo, ma non per intimo convincimento, bensì per la curiosità, il desiderio di veder tutto, di guardare  e contemplare ogni cosa da vicino di cercare e trovare il vero relativo ad ogni cosa e ad ogni organizzazione era per lui una esperienza nuova, uno studio psicologico, morale importante in vista, certo, del futuro lavoro critico. Sainte-Beuve voleva sentirsi sicuro nei suoi lavori e tale sicurezza gli poteva solo derivare dal conoscere profondamente ogni corrente. Quindi, attraverso tutte queste esperienze, perviene alla formazione di un metodo che starà alla base di tutte le sue indagini.

Sainte-Beuve concepisce l’indagine critica come un’inchiesta oggettiva e completa su un’opera o su un autore. Il critico vuole conoscere tutto sul soggetto preso in esame, e assai spesso i suoi ritratti assomigliano ad una di quelle miniature del Trecento in cui l’artista ha cercato di raffigurare ogni minimo particolare. Sainte-Beuve interroga il suo soggetto, lo anatomizza scindendolo nelle varie parti e ognuna di queste vienne ancora a sua volta suddivisa e studiata. Abitudini, costumi, manie, relazioni, amicizie, tutto è analizzato; e cosa di cui bisogna tener conto per capire l’importanta e le bellezza di Sainte-Beuve, è che quasi mai il critico si lascia prendere la mano dai dettagli e sempre, in qualsiasi punto della lettura, l’artista studiato si presenta in tutta la sua compostezza. Il lavoro che Sainte-Beuve fa è proprio quello del pittore: egli ci dipinge a poco a poco la figura dell’autore, spiegandocene ogni parte non appena composta e la sua fervida immaginazione e la sua cultura ne fanno godere la bellezza.  In questi suoi ritratti il critico dà spesso l’impressione non di analizzarer uno scrittore qualsiasi ma se stesso, proprio per quel vagliare certi elementi secondari e minimi che tendono a sfuggire; e questo sistema, confessa Sainte-Beuve, fa parte proprio del suo metodo critico. Per meglio capire uno scrittore (2) bisogna penetrare in lui, riprodurlo in tutti i suoi minimi aspetti; bisogna farlo muovere e parlare come s’era mosso e aveva parlato ai suoi tempi, seguirlo in tutti i suoi movimenti materiali e morali, metterlo in poche parole di fronte alla realtà, di fronte a quei piccoli fatti comuni a tutti, i quali talvolta fanno sorgere grandi idee.

Questo sistema non è nuovo in quanto, sebbene in minor misura, l’abbiamo già incontrato in Villemain. Sainte-Beuve ha però avuto il merito di aver spinto in avanti il sistema e di averlo applicato con un gusto ed una esperienza maggiore.

Per compiere questo lavoro, Sainte-Beuve aveva trovato la forma che meglio corrispondeva alla sua idea: il saggio. Ogni lunedì intraprendeva a scrivere, in modo esauriente, il suo parere su questo o quello scrittore e ne veniva fuori uno studio non molto lungo che ora prendeva a considerate la vita, ora l’opera di qualcuno; talvolta si trattava di una discussione letteraria o morale, talaltra di tutto questo messo assieme. E sono tutte queste “Causeries” che compongono la maggior parte dei suoi lavori.

Circa il gusto che tali opere dimostrano si deve notare l’atteggiamento ribelle  a qualsiasi forma dogmatica e l’atteggiamento benevolo nell’accogliere forme d’arte talvolta completamente diverse. Si deve però tener presente un fatto ed è che più il critico avanza nella sua formazione culturale, più si fa sentire il gusto della semplicità, della chiarezza, della ragione; e quegli autori classici che aveva attaccato negli anni della sua infatuazione romantica gli diventano ora assai cari.

Un’osservazione è stata fatta all’opera si Sainte-Beuve ed è che assai spesso il critico si sente attratto più dai problemi psicologici riguardanti l’uomo che non dall’opera. E’questo un errore analogo a quello già notato  in Villemain. Anche Villemain si soffermava più sull’artista e relegava alla periferia le circostanze e il periodo storico in cui l’opera s’era formata.  Lo stesso in Saint-Beuve, ma qui è l’opera che diventa la cornice e che fa da sfondo all’uomo. Nonostante ciò le Causeries du lundi sono un’opera imprtante e i saggi critici restano “un modello che senza dubbio si può eguagliare, ma che mi sembra difficile poter  superare” (3).

L’importanza dell’opera è oggi molto più apprezzata che non negli anni in cui venne pubblicata. Oggi, infatti, per qualsiasi indagine critica, il punto di partenza è Sainte-Beuve e i suoi ritratti.

Molti hanno notato la mancanza di una storia letteraria scritta da lui. Il critico aveva semplicemente trattato molti secoli ma non in ordine L’unico schema che egli ci dà per una possibile costruzione di una storia letteraria è l’elenco degli autori trattati, posti ognuno nel proprio secolo, che si trova alla fine dell’ultimo volume delle Causeries du lundi e che comprende, oltre agli autori trattati, anche gli  scrittori compresi nei Portraits contemporains e Portraits de femmes. Da questo schematico elenco balza evidente un fatto ed è la sproporzione fra la parte riguardante il Medioevo e le parti dedicate al Seicento, Settecento e Ottocento. Per il critico la letteratura francese comincia ancora col Cinquecento e se già si era lontani dallo schema classico che considerava nullo il parere del Medioevo, in quanto nell’opera di Sainte-Beuve si ha una trattazione di autori medievali che mira ad una preparazione culturale delle epoche seguenti, tuttavia si può ancora notare in lui la persistenza di tale schema.

A parte ciò, si può benissimo supplire alla mancanza di una storia letteraria col radunare tutta la sua opera in un tutto unico e organico che inizi con le sue Causeries sul Medioevo, che continui col suo Tableau du XVI siècle, con l’altra parte delle Causeries dedicate al Gran siècle e con l’opera Port-Royal. Dopo di ciò si possono porre tutti i ritratti riguardanti il XVIII secolo; l’opera Chateaubriand et son groupe littéraire che ci dà un’idea letteraria della fine del Settecento e dell’inizio dell’Ottocento; e, infine, i suoi Portraits contemporains e la parte delle Causeries dedicate ai suoi contemporanei.

Per tutto quanto concerne  il lavoro critico di Sainte-Beuve, si deve ancora ricordare che delle vie che i critici precedenti avevano lasciato, egli sceglie quella del Villemain. Approfondendola maggiormente.  Villemain, fiducioso della sua “vis oratoria” aveva stabilito le relazioni solo tra qualche grande movimento letterario e i fatti sociali che l’avevano determinato, aveva lasciato indecisa l’epoca storica corrispondente e non l’aveva quasi mai approfondita. Sainte-Beuve spinge invece a fondo tale sistema, attaccandosi all’individuo. Non più la società determina l’opera, bensì il temperamento dell’individuo.

Si è in precedenza notato che Sainte-Beuve studia troppo l’uomo e si sofferma troppo sull’indagine del temperamento dell’individuo: tutto ciò a scapito dello studio dell’opera.  Potremo aggiungere ancora alcune osservazioni che possono essere mosse all’opera.

Innanzitutto l’aver manifestato una certa gelosia e malignità nei riguardi di alcuni scrittori suoi contemporanei; l’essersi dimostrato  meschino nell’aver ridicolizzato od abbassato il merito di qualche scrittore che aveva ottenuto un successo in qualche campo A questo si aggiunga un desiderio di investigazione che rasenta talvolta il pettegolezzo. Qualcuno gli ha poi rimproverato di aver troppo insistito su autori minori, su autori di secondo ordine, ma in ciò non si può dar torto al critico infatti assai spesso accade che siano proprio questi scrittori minori a rappresentare il documento migliore della loro epoca, a cogliere meglio il gusto medio di tutto un secolo, ad essere sinceri ed espressivi.  Anche i grandi scrittori avrebbero potuto dare tutti questi ragguagli a Sainte-Beuve, ma forse il critico temeva di incorrere in qualche errore a causa dell’influenza dell’ambiente in cui tali scrittori avevano composto le loro opere; infatti – per fare un esempio – pur considerando esatta la frase del Carducci che afferma che cento corti ferraresi non avrebbero fatto l’Aminta, tuttavia dobbiamo anche tener presente il fatto che il Tasso, in certo qual modo, fu attratto dagli usi, costumi, gusti, abitudini di tale corte. Ed era forse all’aria di tali ambienti troppo circoscritti e ristretti che Sainte-Beuve voleva sfuggire nei suoi studi, per rifugiarsi, invece, in quegli scrittori medi che, facendo parte di tutto il gran pubblico, del pubblico medio potevano meglio coglierne il gusto e le aspirazioni. In ciò si vede come uno dei desideri della critica romantica, avvicinare la poesia, la cultura al popolo medio, spingesse il critico ad indagare proprio sui gusti e sui sentimenti di quel pubblico.

 

 

 

2)  Sainte-Beuve e lo schema classico. 

 

In Francia chi diede  un avvio decisivo alla critica fu La Harpe – il primo che abbia intuito il metodo storico ed abbia cercato di applicarlo – seguito dalla Stael, Chateaubriand e altri; ma l’uomo che ideò il più originale e completo rinnovamento della critica fu l’autore delle Causeries du lundi. Con Sainte-Beuve la critica applica nuovi metodi e parte da diversi punti di vista; la psicologia, la fisiologia entrano a far parte della critica e non solo,ma anche l’opera non è più esclusivamente posta in confronto col tempo in cui venne elaborata, ma con l’autore medesimo, col suo temperamento, con la sua educazione.

Prima ancora di parlare dell’influenza dello schema classico sull’opera di Sainte-Beuve, dobbiamo citare una sua frase che serve a far meglio comprendere, a delineare il suo carattere e a spiegare perché in lui si incontri uno schema che riflette quello classico, uno che accetta il Romanticismo e ne ricerca addentellati nella letteratura del XVI secolo e uno che lo allontana da quest’ultimo schema. Nelle Causeries du lundi scrive: “les suites en littérature ne valent jamais rien” (5). Ecco perché il critico passa attraverso ogni schema senza fossilizzarsi in alcuno; ecco perché non appena ha afferrato una cosa subito se ne allontana; per lui continuare ciò che altri hanno cominciato è  vano ragionare.

Dal suo incontro col Romanticismo, impersonificato in Hugo, germoglia una della sue opere critiche Le tableau de la poésie françaises au XVI siècle. Nonostante qualche critico (6) abbia voluto farne “un nouveau manifeste, mais plus discrete, du Romantisme”, si deve tuttavia notare come esso rispecchi ancora il vecchio schema classico. Da un lato Sainte-Beuve ha assai ben giudicato quando ha considerato l’ambiente di Ronsard e della Pléiade e quando lo ha paragonato a quello in cui vennero a trovarsi i romantici dopo il XVIII secolo. La Pléiade aveva sfruttato le migliori opere dell’antichità non perché esse erano morali ma perché belle e perché Ronsard e compagni avevano avuto coscienza che il loro secolo era assai povero e la povertà derivava, per Sainte-Beuve, anche dal fatto che il Medioevo era rimasto totalmente indifferente all’influsso degli antichi. Scrive a tal proposito: ”Au Moyen Age (et je parle des rares époque et des heures riantes, s’il y a eu des heures riantes au Moyen Age) on ne conaissait pas assez l’antiquité...”(7). Con tale opera il critico veniva a creare una tradizione al Romanticismo, strappando alla letteratura francese un periodo che il classicismo aveva dimenticato; ma la sua idea non si fermava a questo punto. Sainte-Beuve era troppo conscio del fatto che per la prima volta, dopo quasi trecento anni, si riparlava o, per meglio dire, lui parlava della Pléiade, di un gruppo tanto disprezzato dai classici; oltre a ciò la critica di Boileau aveva lasciato una traccia troppo profonda sul suo spirito, perché lui potesse allontanarsi dai seguenti versi:

Ronsard...par une autre méthode,

reglant tout, brouilla tout, fit un art à sa mode”  (Art Poétique, Canto I, vv 123-124)

Che ancora Sainte-Beuve fosse legato alla critica di Boileau e si trovasse nell’impossibilità di fare una critica oggettiva del Seicento e Settecento,  lo confessa nelle Causeries du lundi. In un articolo dedicato a Boileau. Scrive: “S’il m’est permis de parler pour moi même, Boileau est un des hommes qui m’on le plus occupé depuis que je fait de la critrique et avec qui j’ai le  plus vécu en idée. J’ai souvent pensé à ce qu’il était, en me réportant à ce que nous avait manqué a l’heure propice et j’en puis aujourd’hui parler; j’ose le dire dans un sentiment très vif et très présent”. (8).  Il giudizio di Boileau è, quindi, accettato senza riserve perché Boileau fu il legislatore, il Maometto del Seicento (per usare una metonimia), come Luigi XIV ne era stato l’Allah. “Saluons et reconnaissons aujourd’hui la noble et forte armonie di Grand siècle. Sans Boileau et sans Louis XIV qui reconnaissait Boileau comme son Controlleur General du Parnasse, que serait-il arrivé? (9)

Altre testimonianze di questa sua ammirazione per i secoli classici le troviamo in molte altre pagine delle sue opere. Sainte-Beuve che, nell’articolo De la tradition en littérature, parlando dell’ultimo classico diceva “Le dernier des classique pour nous a été Chateaubriand” (10) non si  accorgeva che la tradizione classica era penetrata troppo nelle leggi, nelle istituzioni nel più intimo degli spiriti, perché la si facesse finire ai primi anni dell’Ottocento e con Chateaubriand. Egli stesso aveva accettato lo schema classico molto profondamente e se ne era servito per le sue considerazioni.

In un articolo su Molière considera il sedicesimo secolo come “une vaste decomposition de l’anciènne societé religeuse, catholique, feudale; l’avénement de la philosophie dans les ésprits et de la bourgeoisie dans la societé” (11); mentre il XVII secolo ebbe il compito di riparare a questo disordine e, per quello che riguarda la letteratura, a quella “irrivérénce des Marots, Rabelais, Renier, à la littérature payénne, grecque, epicuréenne de Ronsard, Baif, Jodelle (12), succede quella di Malerbe, Corneille ed altri.  “Le dix-septième siècle – conclude alla fine di questo suo panorama su due secoli – en masse fait digue entre le seizième et le dix-huitième qu’il separe”. (13).

In tutta l’opera di Sainte Beuve si nota come egli cerchi continuamente di non chiudere il periodo classico tra due compartimenti stagni, ma di cercare di introdurlo in una evoluzione della cultura considerando e quanto è stato fatto prima di esso – il che è utile come introduzione – e quanto si è venuto facendo dopo di esso – il che serve a comprenderlo meglio e a meglio spiegarlo. Ma non sempre il critico è limpido nei suoi giudizi. L’avere “vécu en idée” molto tempo con Boileau, ha portato assai spesso Sainte-Beuve ad un errore di metodo, cioè a costruire proprio due compartimenti stagni, uno al principio e uno alla fine del secolo d’oro, e a considerarlo come canone indiscutibile di bellezza poetica e artistica. Tale errore avrebbe potuto portare Sainte-Beuve ad una sterile indagine sulle possibilità del genio creatore se si fosse fossilizzato in un unico schema. Ma troppe erano le vie letterarie che lo tentavano ed alle quali egli si affidava totalmente.

Tale gusto classico lo ritroviamo in una delle sue opere maggiori, Port-Royal. In essa il continuo contatto col XVII secolo lo distoglie dal Romanticismo a cui era legato,  e una concezione più saggia e ponderata lo allontana dall’ambiente scapigliato al quale aveva appartenuto per molto tempo. E forse fu il suo desideriodi sfuggire al Romanticismo che gli fornì l’argomento di Port-Royal; argomento a cui la sua educazione universitaria e classica era più portata. Da notarsi però il fatto che il classicismo professato in Port-Royal non era quello ricavato dai canoni seicenteschi o settecenteschi ma, come dice Giraud, si trattava di un “classicisme élargi par le romantisme” ma in fondo “authéntique tout de même” (14).

L’influsso romantico gli era giunto attraverso Victor Hugo. Il momento per la sua conversione alle nuove idee fu ben scelto. Il critico, allora poeta, scriveva versi cercando di effondere la sua sensibilità sofferente e inquieta nella sua opera Joseph Delorme. Il Romanticismo lo accolse benevolmente in qualità di poeta e lui, critico, si pose a cercare una tradizione per tale movimento e la trovò  nei poeti della Pléiade. La sua critica si volse in  quel periodo ad abbassare o innalzare scrittori che avevano seguito o avversato il Romanticismo ed arriva a trovare  vene romantiche là dove fino ad allora si era considerato tutto classico. A differenza del Moreau che ricerca “le classicisme des romantiques”, in quelle prime critiche Sainte-Beuve scopre “il romanticismo dei classici”. Una conseguenza di quel suo primo contatto con i romantici fu un animarsi, un colorirsi della sua prosa fino ad allora piuttosto scialba. Afferma lui stesso: “La conversation de Victor Hugo m’ouvrit des jours sul l’art et me révéla aussi les secrets du métier, le doigté, si je puis dire, de la nouvelle méthode” (15).

Si suole porre il suo distacco dal Romanticismo militante nel momento in cui Hugo troncò ogni relazione con lui a causa di Mme Hugo, della quale Sainte-Beuve si era innamortato. Ma questo non è che un indizio, un cercare di racchiudere la data in termini più ristretti e precisi.

Alla base di questo suo distacco dal Romanticismo c’è sempre quel desiderio del critico di essere “rompu aux metamorphoses” di voler conoscere ogni movimento per impossessarsene  e per poterlo così’ aggiungere al proprio bagaglio culturale. Inoltre Sainte-Beuve s’è allontanato dal Romanticismo quando si accorse che ad esso non aveva più nulla da chiedere e che ad esso mancava il culto della verità; quando vide la maggior parte dei poeti abbandonarsi senza freni, senza controlli a tutti gli istinti della loro natura e a tutte le sciocchezze della loro vanità. Se però se ne allontana, non lo rinnega; dà a questo il suo addio solo perché egli cerca la verità e il Romanticismo, a suo giudizio, non la possiede. Ma quel nuovo genere di bellezza che il movimento gli aveva offerto, quell’armonia della frase, prima troppo dura, queste due cose erano rimaste in lui.

Lo stesso Sainte-Beuve avvertì il suo distacco sal Romanticismo e chiaramente lo esprime nei suoi Portraits contemporains: “Romantisme, humanitarisme, ce sont là des formes de passion et comme de maladies, que les jeunes talents doivent presque nécessairement traverser; ils deviennent d’autant plus mürs qu’il s’en dégagent plus completement. On ne passe point indifférement sans doute par se divers systémes,  on en garde des impressions, des teintes, un pli; main enfin l’on en sort quand on a un talent capable de  maturité. Ce  qui est bon à rappeler c’est qu’on en sort jamais, aprés tout, qu’avec le fond d’enjeu qu’on y apporte, je veux dire avec le talent propre et personnel; le reste était déclamation, appareil d’école, attirail facile à prendre...” (16).   Ci pare però che Sainte Beuve erri nel dire che dal Romanticismo si esce portando seco solo il proprio talento personale, perché proprio lui, dando l’addio ai romantici, portò via un nuovo genere di bellezza e una armonia che venne in seguito sempre più inserendo nelle sue critiche.

Sainte-Beuve l’abbiamo visto sin qui a contatto dei classici, l’abbiamo visto a contatto dei romantici ed in seguito staccarsene e scegliere una sua via. Il critico stesso alla fine del terzo volume dei Portraits littéraires ci descrive in un frammento autobiografico il suo ‘curriculum vitae’ letterario, filosofico e morale (17).

In esso ci dà una vaga idea  di ciò in cui consiste la sua vera critica e di come egli vada raccogliendo gli schemi letterari precedenti ed elaborandoli per fare una critica tutta sua. Agli inizi risentì gli influssi della teoria che voleva la razza alla base di ogni letteratura e gli influssi di quel criticismo tedesco che stava prendendo campo nell’Europa del Midi. Ma la sua mente critica, aperta a tutte queste influenza, rifiutava di accoglierne qualcuna in particolare.

Fu il corso di Villemain e i suoi studi su di esso che gli indicarono la vera via.Villemain nei suoi Tableaux aveva cercato di fare delle biografie dei vari letterati, ma pur profondendo notizie,aneddoti, non era riuscito a dare quel quadro completo che era nelle intenzioni di Sainge-Beuve. Bisognava al Tableau di tutto un secolo sostituire  il Portrait o l’indagine su ogni autore; lo sguardo non si doveva fermare sull’insieme di una pinacoteca ma sul valore d’ogni singolo quadro. E per comprendere meglio tale valore, Sainte-Beuve volle sezionare ogni scrittore, studiarne tutte le possibili esistenze del suo essere per poi ricomporlo in un  tutto  unico, in un quadro che rappresentasse tutta la portata, tutto il valore della sua opera letteraria. Egli voleva fare l’anatomia dello scrittore-spirito come forse le sue prime aspirazioni, i suoi primi studi in medicina, l’avevano portato a fare l’anatomia dell’uomo materia. E’ in questa critica anatomica, fisiologica e morale che Sainte-Beuve indugia per molto tempo toccando moltissimi argomenti. Le Causeries du lundi possono essere   definite una serie di monografie, una ricerca che parte dalla letteratura per giungere alla scienza delle anime o, come voleva Sainte-Beuve “à l’histoire naturelle des esprits” e questa sua idea  lo portava verso quella corrente che verrà chiamata positivismo, la quale cercava di condurre tutti i dati di conoscenza ad un sistema sperimentale. Le idee di Taine lo tentarono ma non vi aderì mai completamente; forse aveva intuito che a lungo andare “la race, le milieu,le moment” avrebbero dato solo formule e non fatti; ed è per questo che ancora oggi si guarda più a lui che non a Taine. Oltre a ciò quella sua rara facoltà d’assimilazione, il suo gusto la sua curiosità per tutto ciò che rappresentava un nuovo tentativo, il suo rispetto per la tradizione, fanno di Sainte-Beuve un grande critico, il massimo esponente dell’Ottocento letterario francese.

 

 

 

3)  Ideale classico e  ideale romantico in Sainte-Beuve

 

Non rimane ora che vedere Sainte-Beuve a contatto delle due maggiori tendenze del suo secolo e cercare di capire la sua posizione nella polemica.. Analizzando l’opera poetica Joseph Delorme (alias Sainte-Beuve) si riuscirà meglio a scoprire il suo Romanticismo.

Joseph Delorme è un uomo timido, taciturno, tormentato da un complesso di inferiorità; è il tipico giovane romantico che passa le sue giornate “Les coudes sur les genous etr le front dans les mains” per pensare alle innumerevoli voci interiori, ai misteriosi sussurri di un’anima che si sveglia alla vita. Una sensibilità estrema lo porta continuamente verso la poesia. Se nelle opere di Joseph l’arte non ha grande importanza, tuttavia questa a poco a poco si viene perfezionando a contatto di “lectures vive et courtes  qui fondent l’ âme ou la  brûlent” (18). E queste letture sono “tous les romans de la famille  de Werther et de Delphine; le peintre de Saltzbourg, Adolphe, René, Edouard, Adèle, Thérèse, Aubert et Valerie; Senancour, Lamartine et Ballanche; Ossian, Coowper et Kirke White” (19).

Tali letture però se possono consolare il suo animo non possono conservare la ragione costretta ad allontanarsi e a perdere ogni suo prestigio. Ma ciò a Joseph non importa granché; sa di dover morire e vuol solo godere “l’effet de lumière au soir sur les nouages groupés au couchant, et des mille aspects d’un vert feuillage clairsemé dans l’horizon bleu “ (20); e poco gli può giovare se il cielo in quegli ultimi anni gli invia amici poeti come lui, “quelques uns avec gloire” che cercano di strapparlo dalla sua solitudine.

Sainte-Beuve romantico si è voluto analizzare psicologicamente in questo personaggio. E come il suo Joseph Delorme, in tutto quanto l’ambiente romantico, lo scrittore non fu che uno spettatore dei grandi drammi che determinarono il trionfo di alcuni suoi contemporanei, ma lasciarono lui nell’ombra. Dall’esame psicologico che fece del suo personaggio, ci si rende conto che il critico capì che non poteva pretendere di dare una nota nuova alla poesia romantica, e tale idea è più chiaramente accennata nelle Causeries du lundi: “ce que j’ai voulu en effet dans Joseph Delorme, ç’a été d’introduire dans la poésie française un exemple d’une certaine naiveté souffrante et douloureuse” (21). Purtuttavia non è possibile disgiungere Sainte-Beuve dal Romanticismo del suo tempo, e se anche a lui sembra di non  aver detto nulla di nuovo, dobbiamo però con lui convenire che per gusto, studi, sentimenti, Joseph appartenne a quella scuola poetica che “André Chenier legua au XIX siècle du pied de l’echafaud, et dont Lamartine, Alfred de Vigny, Victor Hugo, Emile Deschamps, et dix autres après eux ont recueilli, decoré, agrandi le glorieux héritage” (22).

Per giungerer alla definizione di classico Sainte-Beuve nel suo articolo “Qu’est qu’un classique?” (23), parte dalla stessa  spiegazione che si è data in precedenza, ma in più aggiunge una breve indagine sull’importanza che la parola ebbe presso gli Enciclopedisti. Nel primo dizionario dell’ “Academie” (1694), “classico “ è quell’ “auteur ancien fort approuvé et qui fait autorité dans la matière qu’il traite”, mentre nel 1835 la definizione diventa assai più vaga e si esaurisce nel concetto che “classici” sono coloro “qui sont devenus modèles dans une langue quelconque”.  Di modelli e di regole si viene quindi a parlare proprio in vista del nuovo movimento romantico, che va appunto contro tali regole, propugnando la libertà in campo artistico. Tali definizioni però non bastano più a Sainte-Beuve in quanto appaiono troppo anguste.

Un vrai classique, comme j’aimerai à l’entendre definir, c’est un auteur qui a enrichi l’ésprit humain, qui en a réellement augmenté le trésor, qu’il lui a fait faire un pas de plus, qui a decouvert quelque vérité morale non equivoque, où ressaisi quelque passion éternelle dans ce coeur où tout semblait comme exploré; qui a rendu sa pensée, son observation où son invention, sous une forme n’importe laquelle, mais large et grande, fine et sensée, saine et belle en soi; qui a parlé a tous dans un style a lui et qui se trouve aussi celui de tout le monde, dans un style nouveau sans neologisme, nouveau et antique, aisement contemporain de tous les âges” (24).

Questa di Sainte Beuve è una interpretazione nuova, una definizione che pone il classicismo sotto una luce nuova. La polemica classico-romantica non si riferisce più ad una epoca di regole opposta ad un’epoca di libertà; ma qui l’ideale classico di Sainte-Beuve trascende, e quello classico (com’era inteso prima di lui) e quello romantico. Il classicismo di Sainte-Beuve è il sistema di indagine che ogni scrittore si dovrebbe proporre  e che consiste, non  nell’imitare ma nel sentire, nel penetrare. Nell’ammirare e nell’essere allo stesso tempo se stessi nell’opera che si concepisce.

La diade classico-romantico viene quindi risolta in una una visione superiore che racchiude entrambi i termini e li annulla. I termini, classico, romantico restano quindi solo come designazioni, idee generali e della loro utilità lo stesso  Sainte-Beuve ce ne dà un esempio al termine del suo articolo. Scrive che solo quando il gusto di ognuno di noi è formato e solo quando ognuno di noi non sente più lo stimolo o l’invidia di nuove scoperte, allora subentra un irresistibile desiderio di predilezione: “on s’en tient à ses amis, a ce qu’un long commerce a éprouvés.  Vieux vin, vieux livres, vieux amis” (25).

E qualunque autore esso sia, gli si chiederà “un entretien de tous les instants, une amitié qui ne trompe pas, qui ne saurait nous manquer, et cette impression habituelle de serenité et d’aménité qui nous reconcilie, nous en avons souvent besoin, avec les hommes e avec nous mêmes” (26). Ma prima di abbandonare la polemica, si deve ricordare che l’opera romantica  di Sainte Beuve ebbe una originalità sua propria che fece scuola. Il suo Joseph Delorme, come l’autore stesso dice, (27)  ha espresso nella poesia alcuni dettagli pittoreschi e domestici che i maggiori romantici avevano disdegnato, ha trovato un tesoro umile prediligendo una poesia sconosciuta; e se anche ha lasciato i pianti, i sospiri, i furori sacri ad altri poeti ha purturttavia “eu sa  part à la grande oeuvre” ed ha anche lui “apporté sa pierre toute taillé au seuil du temple” (28).

 

 

 

NOTE:

1)       Sainte Beuve, Causeries du Lundi, op. cit, tomo XI (notes et pensées)

2)       Sainte-Beuve, Portraits contemporains, 5 voll., Paris, 1808-1809, tomo I, p. 182.

3)       V.Giraud, Port-Royal et Sainte-Beuve, Paris, p. 265.

4)       Ecco ancora quanto Giraud scrive  nel suo libro Port-Royal de Sainte-Beuve a proposito della costruzione di una storia letteraria in Sainte-Beuve: “Così munito e così documentato, è alla letteratura france che ritornava di preferenza.  Aveva percorso, frugato in tutti i sensi e non vi sarebbe nulla di più facile che estrarre dalla sua opera tutto un corso familiare di letteratura nazioinale, un po’ irregolare forse, di proporzioni un poco diseguali  - gli scrittori migliori vi sarebbero rappresentati molto più abbondantemnente dei grandi – ma dove ben poche opere essenziali sarebbero assenti. Il Medioevo, che non aveva  studiato a lungo ma che non amava molto, vi occuperebbe senza dubbio, non molto spazio; ma sui nostri quattro grandi secoli letterari, quanti studi... ritratti ... visioni... giudizi... formule felici... (pp.281.282).

5)       Sainte-Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo I, p. 391.

6)       A. Bellesort, Sainte Beuve et le XIX siècle, Paris, 1927, p. 39.

7)       Sainte-Beuve, Causeries du lundi,op. cit., tomo XIII, p. 135.

8)       Sainte-Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo VI, p. 495.

9)       Sainte-Beuve,     ibidem, tomo VI, p. 511.

10)    Sainte-Beuve,     ibidem, tomo XV, p. 358, nota 1.

11)    Sainte-Beuve,  Nouveaux portraits littéraires et critique, Bruxelles, 1836, tomo II, p. 287.

12)    Sainte-Beuve,     ibidem,  p. 288.

13)    Sainte Beuve,     ibidem,   p. 289.

14)    V. Giraud, Port-Royal de Sante-Beuve, op. cit., p. 192-.

15)    Sainte-Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo XI, p. 532.

16)    Sainte-Beuve, Portraits contemporains, op.cit., tomo II, p.535.

17)     “Je suis l’ésprit le plus brisé et le plus rompu aux metamorphoses: J’ai commencé franchement et crument par le XVIII siécle le plus avancé, par Tracy, Daunau, Lamarck et la phisiologie: là est mon fond véritable. De là je suis passé èpar l’école doctrinaire et psycologique di Globe, mais en faisant mes réserves, et sand y adhérer. De là j’ai passé au romantisme poétique, et par le monde de Victor Hugo, et j’ai eu l’air de m’y fondre. J’ai traversé ensuite, ou plutot cotoyé le saint-simonisme, et presque aussitot  le monde de Lammenais ancore trés catholique. En 1837, à Lausanne, j’ai cotoyé le calvinisme et le méthodisme,et j’ai du m’efforcer à l’interesser. Dans toutes ses traversées je n’ai jamais aliené sma volonté et mon jugement (hormis au moment dans le monde de Hugo et par effet d’un charme), je n’ai jamais engagé ma croyance, mais je comprenais si bien les choses et les gens que je donnai les plus grandes espérances aux sinceres qui voulaient me convertir, et qui me croyaient déjà à eux. Ma curiosité, mon desir de tout voir, de tout régarder de près mon extrème plaisirs à trouver le vrai relatif de chaque chose et de chaque organisation, m’entrainaient à cette série d’ésperiences, qui n’on été pour moi qu’un long cours de phisiologie  morale” . Da Portraits Littéraires)

18)     Sainte-Beuve, Poésies, Bruxelles, Laurent, 1834, p. 31.

19)     Sainte-Beuve,     ibidem,  p. 31.

20)     Sainte-Beuve,     ibidem, p. 34..

21)     Sainte- Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo X , p. 82 (nota 1)

22)     Sainte-Beuve, Poésies, op. cit., p. 46.

23)     Sainte-Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo III, pp. 35-55.

24)     Sainte-Beuve,    ibidem, p. 42.

25)     Sainte-Beuve.    ibidem, p. 54

26)     Sainte-Beuve,    ibidem, p. 55.

27)     Sainte-Beuve.  Poesies, op. cit., p. 47.

28)     Sainte-Beuve.     ibidem,

 

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